giovedì 16 giugno 2011
Preghiera di Comunità Una - Traccia per la riflessione - Gruppo Fuoco
Letture della festa della Santissima Trinità, anno A

 

A immagine della Trinità


Con questa settimana riprendiamo il Tempo Ordinario, quello che penso debba essere considerato il tempo “normale” per il cristiano e quindi, se vogliamo, il più importante. Sì, perché mi pare valga il paragone con la vita quotidiana: una persona ad esempio è viva e allegra se lo è nella vita di tutti i giorni, e non solo nelle feste o quando si concede una “botta di vita”! Tempo Ordinario, dunque, tempo per vivere ogni giorno con l’eco nel cuore della Buona Notizia ascoltata nei tempi forti.
Alla ripresa del Tempo Ordinario, dopo la Pentecoste, la Chiesa mette la Festa della Trinità, che ricapitola un po’ la nostra fede, quella che dichiariamo ogni volta che ci facciamo il segno della croce “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” e ogni volta che recitiamo la preghiera più ripetuta nella Liturgia delle Ore, il Gloria. La Chiesa non tenta però di darci una spiegazione teologica. L’intento delle letture proposte dalla liturgia è quello di dare solo dei flash per cogliere il volto di Dio, ossia per capire meglio in quale Dio crediamo.

Breve introduzione. Lunedì sfogliavo l’ultimo numero della rivista “E-il mensile” appena arrivato, e ho letto un breve saggio di Giulio Giorello, intitolato “L’ebbrezza della scelta”, in cui, di fronte a scelte personali, ad esempio in materia di testamento biologico, discute del dilemma tra l’autonomia decisionale dell’individuo e il dover seguire le indicazioni di una qualche “autorità superiore”, siano esse autorità politiche o religiose o esperti medici. Giorello conclude: “Ma io non vorrei mai ... che Dio per chi ci crede, o l’Essere o la natura per chi è di altro avviso, si rivelasse un tiranno teologico o metafisico. Non può essere lecito – persino per chi non aderisce ad alcuna fede religiosa – vederlo invece come un compagno delle nostre lotte e delle nostre speranze: clemente e misericordioso?”. Mi ha fatto pensare: “ma guarda che immagine di Dio facciamo arrivare al mondo intorno a noi!”. Siccome sono ignorante, ho cercato in Internet chi è Giorello e ho scoperto che è un filosofo e matematico, i cui interessi sono indirizzati verso i temi del rapporto tra scienza, etica e politica. Si definisce “ateo metodologico”, che non pretende di dimostrare che Dio non esiste ma rivendica la libertà nell’impostare le questioni filosofiche e scientifiche. In una recensione del suo libro “Senza Dio” si dice: “L’autonomia dell’individuo, l’assenza di dogmi o autorità a cui sottomettersi sono infatti la forza dell’ateismo che, come evidenzia brillantemente Giorello, «non sta nel dimostrare che Dio non c’è, bensì nel rifiuto di riconoscerlo come un padrone».” Ecco, torno alla sensazione che avevo avuto subito alla fine della lettura del suo articolo: l’immagine di Dio che diamo fuori della comunità dei credenti è quella di un Dio padrone e tiranno, mentre lo stesso Giorello, ateo dichiarato, si domanda se non potremmo vederlo come “un compagno delle nostre lotte e delle nostre speranze: clemente e misericordioso”. C’è davvero sete di un Dio clemente e misericordioso!
 

In quale Dio crediamo

La nostra fede di cristiani ci presenta un Dio ben diverso da quello che noi stessi lasciamo intravedere al di fuori. Già nella prima lettura di oggi, presa dal libro dell’Esodo, vediamo che Dio già nell’Antico Testamento, veniva percepito come «Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di grazia e di fedeltà». Già! Credo che ciascuno di noi possa rendersi conto che Dio avrebbe avuto tanti motivi per arrabbiarsi con noi, anche a livello personale e individuale. Quelle volte che qualcuno aveva così chiaramente bisogno del mio aiuto e io me ne sono battuto l’anima... quelle volte che, per orgoglio, ho tenuto il muso per anni ad un parente... quelle volte che ho messo al primo posto la carriera, le cose, il mio onore, il mio comodo, e tutte le relazioni di affetto sono passate in secondo piano... Sì, se Dio fosse stato un padre normale, chissà quante volte mi avrebbe preso per i capelli e sbattuto la testa sul tavolo! E invece ha avuto pazienza, mi ha lasciato libero di scegliere e sbagliare, ha aspettato che arrivassi a rendermi conto.
Gesù però va ancora oltre, molto oltre. A Nicodemo dice: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito ....  Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui». Sì, lo so, l’abbiamo sentito tante volte che non ci fa impressione. Ma il punto è il solito: se crediamo che Gesù, il Cristo, fosse il Figlio di Dio, come lui stesso proclamava, e come attestato dai segni che compiva e dalla sua resurrezione che gli apostoli ci hanno testimoniato anche a costo di dare loro stessi la vita, allora non possiamo scivolarci sopra con facilità. Immaginiamoci un attimo di essere al posto di Nicodemo, soli con Gesù che ci dice queste cose, che ci fa questa confidenza. Cosa proveremmo? Da parte di Dio siamo alla follia, dare il proprio figlio perché il mondo si salvi! Questa sì che è una Buona Incredibile Notizia! Gesù dice una cosa straordinaria: che il Padre desidera che ci salviamo e ha mandato il suo Figlio per questo scopo, che Dio non desidera la nostra condanna, non è un poliziotto severo che ci aspetta al varco, mai! Dio ama di un amore sconfinato e perdona anche chi è meno amabile, chi lo rinnega, chi lo tradisce, chi lo condanna a morte. Gesù muore in croce per svelare questo volto splendido di Dio!
E la storia di Gesù ci rivela un’altra cosa: che Dio è comunione, è Trinità, un Dio unico che si manifesta a noi in tre persone, in tre modi diversi. Dio è il Padre che ama il mondo al punto da dare il suo figlio unigenito. Dio è il Figlio che dà la vita e che è una sola cosa con il Padre (“Io e il Padre siamo una cosa sola” Gv 10,30). Dio è Spirito che consola, che insegna le verità spirituali più profonde, che prega in noi con gemiti inesprimibili e ci permette di gridare “Abbà, babbo, papà”, è Spirito di vita donato dal Padre e dal Figlio.
Questo della Trinità è un mistero, nel senso che non è da capire intellettualmente con le nostre categorie umane, ma solo da accogliere. È come quando Gesù chiede: “voi chi dite che io sia?”. La risposta può essere data solo all’interno di un rapporto personale con Dio. Un rapporto in cui dobbiamo solo non occupare tutto lo spazio disponibile col nostro ego, ma aprirci all’ascolto della novità di Dio, sicuramente diversa da qualunque idea mentale possiamo essercene fatta. Il succo della questione, il volto di Dio da scoprire anche personalmente, è che Dio si rivela come comunione, famiglia, festa, danza. Dio non è l’essere solitario e immobile dei filosofi greci, bastante a sé stesso, ma spirito di amore che dà la vita e chiama l’uomo a fare parte del Regno di Dio.
 

Creati a Sua immagine

E qui viene per forza da fare una riflessione su di noi, anche come individui ma in particolare come Comunità e come porzione della Chiesa. Noi che siamo creati a immagine di Dio, che abbiamo lo Spirito di Dio dentro di noi, dobbiamo quindi convertire il nostro modo di guardare a noi stessi. Anche noi siamo fatti per la relazione, l’amore, la comunione, la fraternità. Ciascuno di noi è diverso dall’altro, eppure nel profondo siamo tutti uniti! Come dice San Paolo: “In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (Atti 17,28). Diventa quindi imperativo scoprire sempre di più questa unità nella totale ed anche entusiasta accettazione della diversità.
Essere fatti a immagine di Dio Trinità vuol dire di rifiutare di comportarci come se esistessimo solo noi, senza tenere conto delle esigenze o delle sensibilità degli altri, smettere di pretendere che gli altri, fossero anche i figli, la pensino o si comportino come noi. Chi non accetta la diversità e non ne coglie la potenziale bellezza creativa, può facilmente cadere nel conformismo, così si elimina il pericolo di esporsi e mettersi in gioco. O ancora più spesso vive in perenne competizione con gli altri, cercando di dimostrare di essere più bravo, più informato, più riuscito, più qualsiasi-cosa, e quindi alla fin fine cercando sempre di sminuire il valore dell’altro. O, infine, può essere frequentemente elemento di conflitto, avendo sempre una battaglia da combattere per il predominio, anche all’interno di un gruppo cristiano, o anche solo criticando quelli che la pensano diversamente. E lasciamo da parte i casi storici più eclatanti di emarginazione e persecuzione dei diversi, fossero essi lebbrosi, ebrei, zingari, omosessuali, o di coercizione violenta degli indio da parte dei conquistador perché abbracciassero la fede cattolica!
Se invece sento l’unione nel profondo con Dio e con tutti gli esseri, posso sviluppare la mia strada e vivere gioiosamente la mia diversità, senza alcuna gelosia o giudizio verso chi percorre strade diverse. Anzi, la diversità può allora diventare arricchimento reciproco, come del resto avviene normalmente quando un uomo e una donna si mettono insieme e formano una famiglia. Possiamo essere diversi ma uguali, diversi ma in comunione.
Ecco qui il grosso dono e impegno per la nostra Comunità e ovviamente anche per la Chiesa intera, di cui facciamo parte: essere uniti nell’amore fraterno reciproco. La Comunità è e deve continuare ad essere scuola di comunione. Ogni volta che rinunciamo all’egoismo o alla supremazia sull’altro, ogni volta che ci aiutiamo a realizzarci più pienamente, nell’accettazione delle diversità, ogni volta che ci vogliamo bene, rendiamo presente Dio tra di noi (ricordiamo: “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro.”, Mt 18,20) e rendiamo la nostra Comunità sempre più a immagine del vero volto di Dio, quello della Trinità. La vocazione della Comunità, potremmo dire, è quella di essere icona della Trinità.
Vale anche per noi l’invito e l’augurio di San Paolo nella seconda lettera ai Corinzi, seconda lettura di questa domenica: “siate lieti, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell'amore e della pace sarà con voi. Salutatevi a vicenda con il bacio santo. Tutti i santi vi salutano. La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi.” Sembra una Carta Verde in poche parole. Essere lieti, innanzi tutto. Tendere alla perfezione, senza scoraggiarci per quanto ne siamo lontani, anzi, incoraggiandoci a vicenda. Avere gli stessi sentimenti, in un rapporto quotidiano di condivisione. Vivere in pace, con noi stessi, con la famiglia, con i fratelli della Comunità e della parrocchia, col mondo che ci circonda da vicino e con quello lontano, con Dio. …   Sì, lo so, è così difficile da realizzare! Ma Paolo aggiunge anche: “e il Dio dell'amore e della pace sarà con voi”. Se solo ci crediamo un pochino che Dio, il Dio dell’amore e della pace, proprio Lui, è con me, se lo chiamiamo e lo accogliamo, questo invito di Paolo smette di essere un’utopia e diventa un programma di vita. E l’augurio finale diventa una realtà: la grazia del Signore Gesù, l’amore di Dio, la comunione dello Spirito Santo sono con tutti noi!
Compito per le vacanze: un po’ ci vedremo e un po’ siamo lontani; cerchiamo di ricordarci sempre gli uni degli altri, di esserci vicini con il cuore. E poi, incontreremo persone diverse, vedremo posti diversi, scopriremo abitudini diverse: impegniamoci a scoprire la bellezza delle diversità!