Giovedì 29 aprile 2010
Riflessione sul Vangelo di Giovanni 13, 31-35
V dom. di Pasqua anno C

Ci sono due parole tra quelle dette da Gesù che, quando le ascolto, mi viene da pensare che non sapeva quello che diceva!
Una è quella in Matteo alla conclusione del Discorso della Montagna: parte dalle Beatitudini che già non sono facili, per aggiornare la legge degli scribi e dei farisei, legata alle azioni e conclude con “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”. L’altra è quella di stasera!
 
Gesù sa che sono gli ultimi momenti con i suoi apostoli, uno lo ha già tradito, gli altri lo abbandoneranno e lo rinnegheranno e lui osa dire: “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri”.
Ma, naturalmente, Gesù sapeva bene quali mete impossibili proponeva a quegli uomini e a tutti gli uomini che nei secoli a venire si sarebbero messi alla sua sequela…un traguardo così alto che nessuno avrebbe potuto pensare di arrivarci e quindi nessuno, al contrario degli scribi e dei farisei che si pavoneggiavano agli angoli delle strade, avrebbe potuto considerarsi più santo dei suoi fratelli! Anzi i veri santi più si mettono alla sequela di Gesù e più capiscono la loro miseria.

In ogni caso leggere questa pagina di Vangelo dovrebbe, per prima cosa commuoverci nel profondo: Gesù ha poco tempo ancora da vivere e dice ai suoi discepoli quello che ha più a cuore, quello che vuole che loro ricordino più di tutto, dà loro il segno distintivo per riconoscersi: “Come io ho dato la mia vita per voi anche voi date la vita uno per l’altro, da questo vi riconosceranno come miei”.
In gruppo ci siamo chiesti: “se avessimo poco tempo per salutare le persone a noi care cosa vorremmo dire? Quali cose abbiamo capito nella nostra vita che vorremmo passare a loro perché la loro sia più piena e felice?” e non abbiamo saputo rispondere o meglio non abbiamo voluto rispondere con superficialità.
Ancora questi giorni la cronaca ha parlato di un omicidio, non ricordo dove, in una famiglia per questioni di eredità.
Siamo sicuri di aver trasmesso ai nostri figli il giusto valore dei beni materiali che certamente sono necessari per vivere ma non possono venire prima di ogni cosa? Io so con certezza che l’amore non è un’illusione ma un qualcosa di concreto che si percepisce e, dove c’è, anche la fatica e il dolore diventano davvero più umani. Io ricordo degli esempi concreti ma sicuramente anche tutti voi ne avreste da portare a testimonianza.
 
Ma l’amore a cui ci chiama Gesù non è un amore fine a sé stesso, non finisce nel rapporto tra il Padre, il Figlio e il discepolo ma è un amore che vorrei chiamare “comunitario e missionario”.
 
Comunitario perché: Gesù ci ama tutti gratuitamente e al di là dei nostri meriti. San Paolo nella lettera ai Romani dice che “Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori , Cristo è morto per noi.” Quindi quando ci chiede di amarci come lui ci ha amato ci chiede di amarci tra noi prima di tutto così come siamo per questo è un amore che crea comunità.

La legge dell’amore vuole che si sia pronti anche a rinunciare alle proprie idee personali  e ai propri vantaggi per cercare di venire incontro a quelli degli altri; che ci si disponga ad ascoltare piuttosto che pretendere la precedenza nel parlare, sottolineare i pregi e le virtù del fratello piuttosto che rilevare i suoi difetti. Nell’amore fraterno rientra anche la correzione fraterna che deve però essere solo fine al bene dell’altro e non alla sua umiliazione.
Anche su questo punto ci siamo fatti in gruppo un po’ di domande sull’importanza di far crescere sempre più fra noi rapporti fraterni.

Ma l’amore è anche missionario! “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri”.
Cristo non ha dettato il comandamento dell’amore ai nemici e agli estranei se non dopo averlo imposto ai suoi discepoli.  Tanto per non risparmiarvi un pensiero della Tanzania mi ricordo che, quando avevo chiesto  a padre Paolo come facesse ad evangelizzare nei villaggi mi aveva risposto che era molto facile: “bastava far vedere che i cristiani si aiutavano fra di loro e in un ambiente dove tutto era difficile, dove gli anziani, specialmente le donne rischiavano di esse bruciate come streghe, dove gli idoli chiedevano offerte e facevano vivere nel terrore del malocchio, un gruppo di persone che si aiutavano anche gratuitamente era un richiamo irresistibile”.
Il discepolo è invitato a riversare amore sempre anche sulle persone al di fuori della sua famiglia e della sua comunità con le stesse caratteristiche di gratuità.
Quindi concludo con una citazione dall’enciclica di Benedetto XVI “Deus Charitas Est”:
"Chi esercita la carità in nome della Chiesa non cercherà mai di imporre agli altri la fede della Chiesa. Egli sa che l'amore nella sua purezza e nella sua gratuità è la miglior testimonianza del Dio nel quale crediamo e dal quale siamo spinti ad amare. Il cristiano sa quando è tempo di parlare di Dio e quando è giusto tacere di Lui e lasciar parlare solamente l'amore. Egli sa che Dio è amore e si rende presente proprio nei momenti in cui nient'altro viene fatto fuorché amare. Egli sa che il vilipendio dell'amore è vilipendio di Dio e dell'uomo, è il tentativo di fare a meno di Dio. Di conseguenza, la miglior difesa di Dio e dell'uomo consiste proprio nell'amore."

Quando ho sentito che l’amore fraterno vissuto valeva più di mille prediche illuminate? Credo che io e la mia Comunità possiamo essere tanto più missionari in questo mondo che diciamo sempre più indifferente e laicizzato tanto più viviamo l’amore? Lo crediamo noi? Spero proprio di sì.