4 novembre 2017
Con Marco alla scoperta di Gesù
5° tappa: Cap. 4, 1-34

Il brano che leggiamo stasera è il primo discorso di Gesù che troviamo nel vangelo di Marco, ed è uno dei pochi riportati. Si tratta di insegnamenti di Gesù sul tema della crescita del regno di Dio, espressi sotto forma di parabole.

Marco già nel 1° capitolo aveva riassunto, con una frase densa di significato, l’insegnamento di Gesù sul regno, «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino”, che Claudio ha commentato nel nostro primo incontro.

Ora riprende lo stesso tema, approfondendolo, ed usa appunto il linguaggio delle parabole.

Il termine parabola vuol dire anche enigma, cioè una specie di indovinello, che lascia all’ascoltatore il compito di comprendere, lo spinge a interrogarsi, lo coinvolge in prima persona e lo impegna alla ricerca del senso. Ma questa ricerca funziona solo se ti lasci interrogare, se ti lasci mettere in discussione, cioè se non hai già le risposte prefabbricate.

Ma perché Gesù parla in parabole? Intanto perché non può spiegare a noi in altro modo le realtà spirituali, che sono al di sopra delle nostre possibilità di comprensione. San Tommaso d'Aquino, dopo tanto approfondimento teologico, alla fine parla di Dio come "inconoscibile". E Gesù. nel vangelo di Giovanni, dice a Nicodemo: "Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo." Le cose del cielo, il Regno di Dio, non sono cose da poter "spiegare" razionalmente; di esse si può dare solo un "profumo", ed è quello che Gesù fa con le parabole, ed è in questo modo che vanno colte. Se le vogliamo prendere alla lettera, rischiamo di fare come quei ciechi, in un raccontino riportato da De Mello, che chiedono che cos'è il colore verde; a uno vien detto che è come una musica dolce e all'altro che è come un velluto morbido... e quando i due ciechi si trovano e ne parlano tra loro, finisce che si prendono a botte, perché uno sostiene che è come una musica dolce e l'altro come un velluto morbido. Se avessero saputo davvero di cosa parlavano, avrebbero semplicemente chiuso bocca!

Quindi disponiamoci in questo modo ad ascoltare le parabole di Gesù, per cogliere in esse come un profumo delle realtà spirituali, come un indizio in una caccia al tesoro. Queste realtà andranno poi afferrate con lo spirito, distaccandosi dalla nostra pretesa di "capire", ma anche allora non potranno essere "spiegate" scientificamente.


Mc 4,1-9: 
Cominciò di nuovo a insegnare lungo il mare. Si riunì attorno a lui una folla enorme, tanto che egli, salito su una barca, si mise a sedere stando in mare, mentre tutta la folla era a terra lungo la riva. 2Insegnava loro molte cose con parabole e diceva loro nel suo insegnamento: 3«Ascoltate. Ecco, il seminatore uscì a seminare. 4Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. 5Un'altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c'era molta terra; e subito germogliò perché il terreno non era profondo, 6ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. 7Un'altra parte cadde tra i rovi, e i rovi crebbero, la soffocarono e non diede frutto. 8Altre parti caddero sul terreno buono e diedero frutto: spuntarono, crebbero e resero il trenta, il sessanta, il cento per uno». 9E diceva: «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!»

La prima parte della parabola del seminatore si apre (4,3) e si chiude (4,9) con l’imperativo dell’ascolto, “Ascoltate!” e “Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti”. Quindi Gesù ci invita ad un ascolto autentico: ascoltare è prestare attenzione a un altro, e con "altro" non penso solo alla persona che ci parla, ascoltare è anche porsi in un atteggiamento interiore di disponibilità ad accogliere un messaggio nuovo, magari in contrasto con quello che già sappiamo (o crediamo di sapere) o con le nostre idee… ascoltare è essere disposti a mettersi in discussione... provare a guardare quello che succede da un diverso punto di vista.
E Gesù è venuto per dire: chi ascolta la Parola del Padre mio, costui mi è madre, fratello e sorella.

Questa parabola inizia con la figura di un seminatore che esce a seminare… Questo seminatore è Gesù stesso. Lui è come uno che va a seminare. E cosa fa uno che semina? Butta via delle cose utilissime. Noi non ci pensiamo, ma il frumento è buono da mangiare: ci si fa il pane e il pane è il cibo. Allora questo seminatore un po’ incosciente: butta via una quantità di grano che gli poteva servire per mangiare per dei mesi! È quel che fa anche Gesù: semina dappertutto la Parola. Non sta a guardare se c'è un sentiero o se la terra è dura, non guarda se ci sono dei rovi o dei sassi… Dio lascia cadere il seme nel cuore di tutti gli uomini, perché tutti sono chiamati alla salvezza. Nessuno è discriminato perché il suo terreno è sassoso o pieno di spine.  Dio è ottimista: lascia cadere il seme anche sulla strada, dove non sembra avere nessuna possibilità di attecchire!   

In questa parabola, Gesù ci lascia in sospeso circa i risultati della semina, mentre descrive in lungo e in largo le difficoltà: gli uccelli, i sassi, i rovi… perché anche la nostra vita è piena di difficoltà, a volte fino alla disperazione.  I semi sul sentiero sono portati via dagli uccelli: un fallimento… poi c'è una piccola illusione che la semina riesca (con i semi caduti sul terreno sassoso) … e invece al primo sole…; poi un'altra illusione… qui forse veramente cresce qualcosa… macché… il seme è soffocato dai rovi! Un fallimento totale! A questo fallimento totale Gesù contrappone: eppure, seminando, il seme cade anche sul terreno bello e buono. E cosa capita sul terreno? Qualcosa di eccezionale!

Anche oggi, con i mezzi moderni usati in agricoltura, se si semina un sacco di grano, si può arrivare ad ottenere un raccolto di 30 sacchi o qualcosa di più… Al tempo di Gesù, in Israele, dalla semina di un sacco di grano era già un successo raccoglierne sette-otto sacchi.

Quando Gesù dice che dava il trenta, il sessanta e il cento per uno, cosa avranno pensato gli ascoltatori? “È già impossibile il trenta per uno, il sessanta lo è ancora di più; il cento per uno è oltre ogni assurdo”. Così è per la Parola di Dio: incontra molte difficoltà, ma il risultato non solo è immensamente grande, contro ogni apparenza, ma è veramente qualcosa di più. La parola di Dio germina comunque nonostante tutte le nostre resistenze.

Attenzione però: in questa, come nelle prossime due parabole, il regno è paragonato a un seme… che è una cosa viva in trasformazione, e i risultati non sono immediati… il chicco deve trasformarsi in piantina, crescere, maturare, prima di portare frutto… ci vuole tempo, pazienza, coltivazione…

Il messaggio centrale della parabola è la speranza contro ogni speranza. Cioè la certezza che, al di là di tutto, quel che avviene, proprio come nella semina, può trasformarsi in bene.

E poi, se ripensiamo alla nostra esperienza passata, possiamo accorgerci davvero come la Parola, al di là e al di sopra di tutte le difficoltà che incontriamo e di tutte le resistenze che le opponiamo, porti frutto. Anche se la butti via, ti rimane dentro e al momento giusto viene fuori.

Hanno trovato nella tomba dei faraoni dei chicchi di grano di cinquemila anni fa... Messi sotto terra, hanno prodotto ancora la spiga… dopo cinquemila anni. La Parola è così, come un seme, entra in me, la lascio lì, ma anche dopo anni e anni, questa Parola non perde mai la sua forza... e può ancora germogliare!


Mc 4,10-12: 
[10] Quando poi fu solo, i suoi insieme ai Dodici lo interrogavano sulle parabole. Ed egli disse loro: [11] «A voi è stato confidato il mistero del regno di Dio; a quelli di fuori invece tutto viene esposto in parabole, [12] perché:
guardino, ma non vedano, ascoltino, ma non intendano,
perché non si convertano e venga loro perdonato».

Qui c’è da fare una precisazione sulla traduzione del versetto 12, che è una citazione del profeta Isaia, soprattutto riguardo la parola “perché non…” nella seconda riga della citazione. La parola “perché” traduce un’espressione aramaica che può significare sia “affinché non…”, sia “finché non" o a meno che non…”. La citazione fatta da Marco, quindi, dovrebbe essere tradotta così: “affinché

guardino, ma non vedano, ascoltino, ma non intendano,
a meno che si convertano e venga loro perdonato”.

Al versetto 11, troviamo l’espressione “Quelli di fuori”. Si tratta di coloro che non sono disposti ad accogliere la parola. La contrapposizione tra “A voi è stato confidato” e “a quelli di fuori” non si riferisce a gruppi di persone definite: “voi” e “quelli di fuori”, ma ad una disposizione d’animo che può cambiare: a tutti è possibile chiudersi o aprirsi alla luce del messaggio che Gesù dà attraverso la parabola.

Come dice padre Alberto Maggi: “Il messaggio di Gesù̀ non è rivolto a una religione, ad una nazione, ad una razza. Il messaggio di Gesù̀ è universale perché risponde al desiderio di pienezza di vita che è universale. Ogni persona, in qualunque latitudine, in qualunque religione, in qualunque razza ha dentro di sé un desiderio di pienezza di vita e il messaggio di Gesù̀ non fa altro che risvegliarlo.”

I discepoli stessi non comprendono e allora interrogano Gesù: è quanto è chiesto di fare anche a noi oggi… tutte le volte che diveniamo consapevoli - ed esserne consapevoli è già un dono - di essere fra coloro che guardando non vedono e ascoltando non intendono, dovremmo interrogarci, ricercare dentro noi stessi, e chiedere a Dio di darci la luce per vedere cosa ci impedisce di accogliere il messaggio del regno… nella certezza che, come dice Ermes Ronchi è possibile vivere meglio, per tutti, e il Vangelo ne possiede la chiave.”

Mc 4,13-20: 
[13] Continuò dicendo loro: «Se non comprendete questa parabola, come potrete capire tutte le altre parabole? [14] Il seminatore semina la parola. [15] Quelli lungo la strada sono coloro nei quali viene seminata la parola; ma quando l'ascoltano, subito viene satana, e porta via la parola seminata in loro. [16] Similmente quelli che ricevono il seme sulle pietre sono coloro che, quando ascoltano la parola, subito l'accolgono con gioia, [17] ma non hanno radice in se stessi, sono incostanti e quindi, al sopraggiungere di qualche tribolazione o persecuzione a causa della parola, subito si abbattono. [18] Altri sono quelli che ricevono il seme tra le spine: sono coloro che hanno ascoltato la parola, [19] ma sopraggiungono le preoccupazioni del mondo e l'inganno della ricchezza e tutte le altre bramosie, soffocano la parola e questa rimane senza frutto. [20] Quelli poi che ricevono il seme su un terreno buono, sono coloro che ascoltano la parola, l'accolgono e portano frutto nella misura chi del trenta, chi del sessanta, chi del cento per uno».

Gesù stesso spiega il significato della parabola: incapacità di ascolto e di accoglienza, superficialità, distrazioni e preoccupazioni, brama di possesso … sono questi gli ostacoli che lo spirito oppone all’ascolto e all’accoglienza della parola. Dalla durezza del cuore che impedisce alla parola di entrare in me, allo stupore che prova l’ascoltatore quando il seme penetrando sconvolge e forza la crosta dura della terra, facendola fiorire in modo inaspettato, ci sono tutta una serie di atteggiamenti intermedi di resistenza sui quali la parabola ci invita a riflettere.

Ma il seme della parola non può essere bloccato: è destinato a sbucare fuori dalla mia terra avara… le mie difficoltà possono essere superate, se oriento il mio cuore alla gioia del raccolto.

La prima difficoltà è forse costituita dal razionalismo, cioè dal considerare la ragione come strumento esclusivo della conoscenza e dell'acquisizione della verità. La nostra mente è orgogliosa, ha la pretesa di poter spiegare tutto. Questo atteggiamento ci impedisce di aprirci all’accoglienza del dono della parola che supera ogni intendimento umano.

La seconda difficoltà è la sfiducia: brutte notizie dalla televisione e dai giornali, ecc. ecc. … guardiamo quello che succede intorno a noi con la convinzione che tutto stia peggiorando in modo inarrestabile!!!  Non ci viene il sospetto che anche il regno di Dio stia crescendo in modo inarrestabile?  Anche se noi non lo “vediamo”?  Così rischiamo di spegnere la capacità di cogliere il senso più profondo e vitale della realtà.

La terza difficoltà è il denaro: a volte diventa un idolo che ci promette benessere, sicurezza, ecc.   solo miti che invece di realizzare la nostra felicità, diventano dei fini in sé stessi e ci rendono schiavi.

Mollare la presa, abbandonarci nelle mani di Dio, sforzarci di vedere il bello che c’è in ogni persona, in ogni luogo - basta volerlo cercare! - per uscire dalla palude del pessimismo e disporci ad accogliere il seme.

Ma io sono terreno buono? Cosa devo fare per esserlo? La risposta di Curtaz (che Claudio ci ha già fatto conoscere in una sua riflessione) mi piace molto e la voglio riportare: “Ogni volta che mi riconosco in uno dei terreni precedenti, ho la possibilità di diventare terreno buono”.

Mc 4,21-25: 
[21] Diceva loro: «Si porta forse la lampada per metterla sotto il moggio o sotto il letto? O piuttosto per metterla sul lucerniere? [22] Non c'è nulla infatti di nascosto che non debba essere manifestato e nulla di segreto che non debba essere messo in luce. [23] Se uno ha orecchi per intendere, intenda!».

[24] Diceva loro: «Fate attenzione a quello che udite: Con la stessa misura con la quale misurate, sarete misurati anche voi; anzi vi sarà dato di più. [25] Poiché a chi ha, sarà dato e a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha».

Gesù ribadisce il messaggio della parabola precedente, spostando l’attenzione dal frutto che nasce in abbondanza dal seme, alla luce, che Gesù è venuto a portare nel mondo…

Come nella parabola del seminatore si sottolinea la necessità di non soffocare il seme del regno di Dio, così questi versetti ci spronano a non chiudere gli occhi dinanzi alla luce.  A non nasconderla, ma anzi, a diffonderla.

Gesù luce del mondo non rivendica soltanto a sé stesso questa caratteristica, ma tutti quelli che accolgono il suo messaggio diventano persone “luminose”. Allora noi tutti siamo chiamati ad essere luce per gli altri. Quello che riceviamo dalla sua parola non va tenuto per noi, ma deve essere condiviso per farne dono all’altro.

"E proseguì dicendo loro: attenzione a ciò che state per ascoltare". Ancora una volta Gesù richiama ci invita all’ascolto.

"La misura con la quale misurate, sarete misurati anche voi, anzi vi sarà aggiunto in più”

In questa sola frase, c’è la realtà meravigliosa della vita del credente che accoglie il messaggio di Gesù: Dio regala vita a coloro che trasmettono vita agli altri.

Gesù perciò ci garantisce che tutto quello che noi facciamo per gli altri non è una diminuzione della nostra esistenza, noi quando mettiamo la nostra vita al servizio degli altri non perdiamo assolutamente niente. È meraviglioso: l’individuo che mette la propria esistenza al servizio degli altri non solo non diminuisce, ma arricchisce.

La frase di Gesù che troviamo al versetto 25 lascia interdetti: “Poiché a chi ha, sarà dato e a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha”. La domanda è: che cos’è che uno “ha”? Non si riferisce certo ai beni materiali, ma alla disponibilità all’ascolto autentico della Parola e alla volontà di accoglierla.

Accogliendo la parola del Signore, lasciandoci trasformare dal suo amore, diventiamo sempre più capaci di amare, aperti e disponibili. È come un ciclo che si autoalimenta. Chi invece chiude il suo cuore all’ascolto della Parola, chi non dà spazio all’amore, alla benevolenza e al perdono ricevuti da Dio interrompe quel ciclo, si autoesclude dalla tenerezza dell’amore di Dio, la sua capacità di amare si atrofizza e si trova senza più nulla. Non ha più nemmeno quello che credeva di possedere. È diventato vuoto, arido.

Mc 4,26-29: 
[26] Diceva: «Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra; [27] dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa. [28] Poiché la terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga. [29] Quando il frutto è pronto, subito si mette mano alla falce, perché è venuta la mietitura».

È proprio questo il modo con cui il regno di Dio viene, e non c’è niente da fare! È come il grano che, una volta affidato alla terra, cresce da sé e non importa se il contadino dorma o vegli, che sia giorno o notte. È inutile che il contadino si dia da fare nel campo, non farebbe che calpestare ciò che ha seminato. Gesù ci parla di un miracolo infinito di cui non ci stupiamo più: alla sera vedi un bocciolo, il giorno dopo si è aperto un fiore. Senza alcun intervento esterno. In queste cose affonda la radice della grande fiducia di chi crede: le cose di Dio, l'intera creazione, il bene crescono e fioriscono per una forza interna, che viene da Dio. Nonostante le nostre resistenze e distrazioni, nel mondo e nel cuore di ognuno il seme di Dio germoglia e si arrampica verso la luce.

Questa parabola afferma la priorità assoluta di Dio e manda alla malora ogni forma di efficientismo religioso, che cerca di far crescere il regno con la propria attività, secondo i criteri mondani della produzione! Dopo la fatica e la pena per la semina, non c’è altro da fare che aspettare, con pazienza, ed aver fiducia!

Rimane aperto tutto il problema della nostra responsabilità e partecipazione all’azione di Dio. Ma in questi versetti, per prima cosa, siamo chiamati ad aver fiducia, a guardare il mondo e la storia con gli occhi lieti e sereni del contadino che osserva il campo seminato, dove poco o nulla è ancora spuntato, e immagina già le messe… da questo atteggiamento nasce una nuova forza interiore, che ci fa muovere non più affidandoci alle nostre sicurezze e capacità, ma con la serena consapevolezza che nulla possiamo senza Dio! E se questa fiducia anima il nostro agire diveniamo, con le nostre piccole opere, portatori di salvezza, allora possiamo essere protagonisti attivi dell’azione di Cristo nel mondo.


Mc 4,30-34: 
[30] Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? [31] Esso è come un granellino di senapa che, quando viene seminato per terra, è il più piccolo di tutti semi che sono sulla terra; 
[32] ma appena seminato cresce e diviene più grande di tutti gli ortaggi e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra».
[33] Con molte parabole di questo genere annunziava loro la parola secondo quello che potevano intendere. [34] Senza parabole non parlava loro; ma in privato, ai suoi discepoli, spiegava ogni cosa.

Questa parabola contrappone il granello di senapa, il più piccolo di tutti i semi, e il grande albero che ne nascerà. Il granello non salverà il mondo, noi non salveremo il mondo, ma, dice Gesù, da quel granello nascerà un grande albero, gli uccelli verranno e vi faranno il nido. Alla sua ombra accorreranno in molti, verranno per riprendere fiato, trovare ristoro, fare il nido… è l'immagine della vita che riparte e vince. mammolette
Allora questa parabola ci dice che il Regno di Dio cresce da cose piccole, per la misteriosa forza segreta delle cose buone, per l'energia propria della bellezza, della tenerezza, della verità, della bontà. Se noi vogliamo essere campo di Dio, dobbiamo continuare ad accogliere e custodire i semi dello Spirito, nonostante l'imperversare di tutti i "nemici" che possono venire anche fuori, ma che, soprattutto, abitano dentro noi stessi.
Un seme deposto dal vento nelle fenditure di una muraglia è capace di viverci; è capace, con la punta fragilissima del suo germoglio, di aprirsi una strada nel duro dell'asfalto. Gesù sa di aver immesso nel mondo un germe di bontà divina capace di spezzare la crosta arida dei nostri  cuori e di far fiorire i nostri deserti
Tutta la nostra fiducia è in questo: Dio è all'opera nella storia e dentro di me, in silenzio e con piccole cose.