20 ottobre 2018
Con Marco alla scoperta di Gesù
Decima tappa: Cap. 9,2-29

Siamo entrati nella seconda parte del Vangelo di Marco. Sei giorni dopo che Pietro ha riconosciuto Gesù come il Cristo e che Gesù ha rimproverato aspramente Pietro di ragionare "secondo gli uomini" e non aver capito niente della sua missione (“Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”), Gesù si manifesta trasfigurato a tre discepoli, come a dare loro un nuovo orizzonte di luce, per proseguire però con l'opera paziente di cercare di far capire che tipo di Messia lui è e cosa significa avere fede.  Cominciamo con il primo brano, quello della Trasfigurazione.

Ascoltatelo!

Nel racconto dell'evento della Trasfigurazione, Marco intende portarci ad una comprensione più profonda di Gesù, Figlio di Dio e Messia della croce: l'episodio costituisce il vertice della manifestazione di Gesù e la conferma da parte di Dio Padre delle parole di Pietro, che lo avevano riconosciuto come il Cristo. Ma tutto il vangelo, tutta la nostra vita, si incentra su questo punto: chi è Gesù? Da questa domanda dipende tutto: per Marco sarà possibile riconoscere Gesù come il Figlio di Dio solo al termine del percorso sulla croce (Mc 15,39). All'inizio siamo in balia di fraintendimenti che ci portano a vedere in Gesù il guaritore, colui che ci aiuta nei problemi quotidiani della nostra vita, il liberatore da ogni male e dall'oppressione politica; in un secondo tempo ci scandalizza l'idea di un Dio debole, limitato, sofferente (seconda parte del vangelo di Marco). Scrive Giovanni nella sua prima lettera: "Dio è amore!". Se Dio è amore allora questo si rivela solo nella condivisione fino al dono totale di sé. L'amore di Dio per ciascuno di noi non poteva altro che rivelarsi sulla croce! 

Il brano della trasfigurazione si rifà come linguaggio alle teofanie dell'AT (Es 24,15-18 [1]; 34,29-30 [2]; 40,34-38): qui in realtà il termine greco indica non tanto una apparizione, ma una metamorfosi: non è più Dio che in qualche modo si manifesta sotto forma umana, ma è la natura umana di Gesù che si manifesta, si trasforma nella piena luce divina. Insomma non è più Dio che scende verso l'uomo, ma l'uomo che sale verso Dio, partecipando della sua gloria.
La trasfigurazione posta al centro dell'itinerario terreno di Gesù, in Marco sta al posto dei racconti di resurrezione: come per Gesù anche per noi, suoi discepoli, indica che la resurrezione già si opera nella vita di chi segue Gesù, di chi ha orecchi attenti per ascoltare la voce del Padre che ci chiama ad amare, e giungerà al suo compimento nel momento finale del nostro cammino.

Mc 9,2-8:   (Trasfigurazione)
Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: "Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia". Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: "Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!". E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.

Marco pone un intervallo tra quanto successo in precedenza, la confessione di Pietro, e il momento della trasfigurazione, al contrario di quanto gli capita molto spesso quando usa l'avverbio "subito": in questo caso parla di un evento avvenuto "sei giorni dopo", cioè nel settimo giorno, giorno simbolico della fine della creazione e del riposo di Dio, ma anche del dono della Legge al Sinai e per noi della passione e resurrezione di Gesù. Ciò ci impone di ricordare come la via che ci propone il Cristo non porta ad umani trionfi ma al dono supremo della vita in nome dell'amore e Gesù sa benissimo che per affrontare tutto questo è necessario avere momenti nei quali rinforzare la nostra fede, momenti per fare esperienza di Dio.
Per vivere in pienezza questi momenti il vangelo ci suggerisce alcune modalità:

1) "su un alto monte": il monte nella mentalità ebraica rappresentava il mondo di Dio, allora salire sul monte va ad indicare l'impegno dell'uomo a superare ogni logica umana, dove ciò che conta è solo l'interesse personale, per entrare nella logica di Dio e vivere secondo il  suo progetto. 

2) "in disparte": ognuno di noi è chiamato a fare esperienza di Dio, ma tale esperienza è assolutamente personale. Se si è distolti da tante altre voci, non si può fare esperienza di Dio e comprendere appieno la sua proposta.

3) "loro soli": se è vero che l'esperienza di Dio è assolutamente personale, questa esperienza è fatta all'interno di una comunità. È nella comunità che la mia fede trova alimento, si misura con la concretezza della vita, si rinforza nella testimonianza.

4) L'apparizione di Elia e Mosè che parlano con Gesù, dove Mosè rappresenta la Legge, mentre Elia compendia in sé i profeti; insomma tutta l'Alleanza antica è presente all'evento della manifestazione: Mosè ed Elia parlano con Gesù, entrano in comunione con lui; insomma non rendono soltanto testimonianza in favore di Cristo, ma attestano che Gesù è veramente il traguardo ultimo della storia della salvezza, è il compimento di tutte le promesse e di ogni speranza: è l'uomo nuovo primogenito di una umanità nuova. L'esperienza di Dio si nutre, viene guidata da un rapporto fecondo e continuo con la Parola di Dio, con quella storia della salvezza per la quale Dio dall'eternità tenta di ricostruire con l'umanità quel rapporto da lei interrotto con il peccato originale (Gn 3,9 [3])
Pietro vorrebbe fermarsi a questa manifestazione folgorante di Gesù che si rivela nella pienezza della luce pasquale. È una caratteristica dei discepoli, ed in quanto tali anche nostra, quella di starsene a contemplare la gloria, senza percorrere il faticoso cammino di sei giorni, cioè di tutta l'esistenza. Preferiamo costruirci le tende delle nostre certezze piuttosto che affidarci nelle dolci mani di questo Dio nostro Padre/Madre(Ap 21,3-5 [4]). Sarà Dio a costruirci intorno non una tenda, ma una nuvola, simbolo della sua costante e tenerissima presenza; da essa esce quella parola definitiva "Questi è il Figlio mio prediletto, ascoltatelo!", che sola può salvare, realizzare la nostra vita.

Ma la trasfigurazione non può concludersi in un'unica esperienza mistica di Dio; essa incide direttamente sulla nostra vita, poiché chi fa esperienza di Dio vive "trasfigurato": l'esperienza della luce di Dio ovvero vivere nel suo amore ci invita a diventare noi stessi luce per i fratelli. Una volta incendiati da quell'immenso amore, non possiamo fermare il tempo, costruire le nostre tende, ma siamo chiamati a tornare tra gli uomini, ricordandoci quel primo, unico comandamento di Dio: Shemà (ascolta)!
Ascoltare è ben diverso dal sentire, poiché chi ascolta entra in rapporto con l'interlocutore, allora ascoltare Gesù significa accogliere la sua proposta di vita, una vita che si offre totalmente per amore; il nostro Dio si è lasciato crocifiggere e dall'alto di quella croce eternamente abbraccia ogni sua creatura: è in questo incredibile gesto d'amore che Dio si rivela in quanto tale a ciascuno di noi.
Anche di fronte ad una realtà che ci appare così pervasa dal male, dall'assurdo e dal negativo, ci impegniamo nella ricerca di un senso alla nostra storia, a leggere i segni della presenza attiva di Dio, cogliendone il significato. Solo l'ascolto compie il miracolo di dischiudere all'uomo il nuovo orizzonte, in cui si trova immerso. In tale ascolto tutta la realtà diventa trasparente e trova il proprio senso ultimo e definitivo, poiché solo l'amore e il dono totale di sé possono trasfigurare le strutture di peccato che oggi incatenano il mondo. Tale trasfigurazione troverà quindi il suo compimento nella liberazione totale ed integrale dell'uomo, quando avrà vinto ogni male e sarà totalmente riconciliato con Dio, con sé, con tutti gli altri e con il creato tutto. Siamo quindi invitati a trasfigurare le nostre vite, le nostre scelte, i nostri valori per trasformare con l'amore il mondo, rendendolo il posto più stupendo in cui vivere.

Prima deve venire Elia

Mc 9,9-13:   (Domanda su Elia)

Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.
E lo interrogavano: "Perché gli scribi dicono che prima deve venire Elia?". Egli rispose loro: "Sì, prima viene Elia e ristabilisce ogni cosa; ma, come sta scritto del Figlio dell'uomo? Che deve soffrire molto ed essere disprezzato. Io però vi dico che Elia è già venuto e gli hanno fatto quello che hanno voluto, come sta scritto di lui".

Dopo Mc 8,34-9,1 un secondo annuncio della sua passione inquadra la manifestazione gloriosa di Gesù sul monte, quasi a ricordarci che il Cristo giungerà alla sua gloria proprio sul trono della croce. Segue una domanda strana circa la venuta del profeta Elia: i discepoli sono ancora bloccati, chiusi nella loro idea di un Dio onnipotente e liberatore, distruttore dei nemici e protettore del popolo eletto. Questa idea impedisce loro di capire il mistero della sofferenza del Figlio dell'Uomo. Gesù risponde ricordando la figura del Battista, nuovo Elia, come prefigurazione del Figlio dell'Uomo. Occorre convertire la nostra idea di Dio dall'attesa gloriosa del re messianico a quella del servo sofferente. Gesù si rivela come il Messia, ma in modo inatteso e deludente per chi si aspetta un salvatore che ci liberi dai nostri problemi quotidiani. Egli è il glorioso Figlio dell'Uomo, che compie già ora il suo giudizio di salvezza, ma sul patibolo della croce. È sulla croce che Cristo allarga le sue braccia per accogliere tutti coloro che a Lui si vogliono affidare. Proprio per questo le note trionfali della trasfigurazione sono incorniciate dal chiaro annuncio di Gesù circa la sua passione e quella dei discepoli. Allora ecco che il segreto della gioia e della vita passa attraverso l'ignominia della croce: capire che il Cristo risorto è il Figlio di Dio rivelato nella sua sorte di crocifisso è il segreto cristiano. Nella sua vita Gesù è il Figlio di Dio nascosto che si rivela e la croce, il suo massimo nascondimento è la sua rivelazione totale: soltanto sulla croce si rivela chi è e cosa fa Gesù. Il Dio di Gesù Cristo è questo, amore donato e condiviso fino alla fine, che ci piaccia o no!

"Credo, aiutami nella mia incredulità!"

La narrazione di questo miracolo subito dopo il secondo annuncio della passione vuole aiutare la comunità a riflettere circa il suo atteggiamento di fede; Marco ci porta a verificare più seriamente che con i soli  nostri sforzi non possiamo ottenere alcun risultato. In questo episodio, che avviene di fronte alla folla come proclamazione solenne del valore messianico dell'attività di Gesù, vediamo confrontarsi l'incapacità dei discepoli di guarire l'indemoniato con la figura del padre del fanciullo che riconoscendosi incredulo viene reso capace di un grande atto di fede.

Mc 9,14-29:   (Guarigione di un ragazzo indemoniato)

E arrivando presso i discepoli, videro attorno a loro molta folla e alcuni scribi che discutevano con loro. E subito tutta la folla, al vederlo, fu presa da meraviglia e corse a salutarlo. Ed egli li interrogò: "Di che cosa discutete con loro?". E dalla folla uno gli rispose: "Maestro, ho portato da te mio figlio, che ha uno spirito muto. Dovunque lo afferri, lo getta a terra ed egli schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce. Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti". Egli allora disse loro: "O generazione incredula! Fino a quando sarò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatelo da me". E glielo portarono. Alla vista di Gesù, subito lo spirito scosse con convulsioni il ragazzo ed egli, caduto a terra, si rotolava schiumando. Gesù interrogò il padre: "Da quanto tempo gli accade questo?". Ed egli rispose: "Dall'infanzia; anzi, spesso lo ha buttato anche nel fuoco e nell'acqua per ucciderlo. Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci". Gesù gli disse: "Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede". Il padre del fanciullo rispose subito ad alta voce: "Credo; aiutami nella mia incredulità!". Allora Gesù, vedendo accorrere la folla, minacciò lo spirito impuro dicendogli: "Spirito muto e sordo, io ti ordino, esci da lui e non vi rientrare più". Gridando e scuotendolo fortemente, uscì. E il fanciullo diventò come morto, sicché molti dicevano: "È morto". Ma Gesù lo prese per mano, lo fece alzare ed egli stette in piedi.
Entrato in casa, i suoi discepoli gli domandavano in privato: "Perché noi non siamo riusciti a scacciarlo?". Ed egli disse loro: "Questa specie di demoni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera".

L'inizio del ministero di Gesù, dopo l'appello alla sequela, si apre con un esorcismo, che ha un valore programmatico. In esso si mostra il fine dell'opera di Gesù e di chi lo segue: combattere e vincere quello spirito del male che possiede l'uomo e lo tiene schiavo e lontano da Dio (Mc 1,21-28). Anche la seconda parte del vangelo, dopo un invito più specifico alla sequela, ci presenta un nuovo ed ultimo esorcismo. In questo si ribadisce in modo più esplicito in che cosa consistano la lotta e la vittoria conseguite mediante la fede nella sequela di Gesù. Si tratta di una lotta sempre più serrata e più dura, che giunge al confronto estremo e decisivo e perviene infine alla vittoria sul frutto ultimo del male. Ciò che Marco vuole mettere in rilievo è l'impotenza dei discepoli in questa lotta alla quale sono chiamati. L'impotenza dei discepoli nasce dall'assenza di Gesù (Gv 15,5: "Senza di me non potete far nulla"); questa può essere superata solo con quella fede che lo rende presente nella sua forza. Ciò che è chiaro e che nessuno può salvarsi o salvare senza Cristo; l'uomo è radicale bisogno di salvezza: il male dell'uomo non si supera con l'avere, ma con l'essere. Un "essere diverso, convertito", libero dai limiti che lo chiudono in sé. Chi pretende di salvarsi da sé, cade nel male radicale dell'uomo che è quello di credersi assolutamente autonomo e pretendere di essere lui il creatore di sé stesso, dei suoi valori e del mondo.
L'esclamazione "O generazione incredula!" svela il motivo dell'impotenza dei discepoli nella mancanza di fede da parte dell'uomo; questa incredulità è tanto pervicace da mettere addirittura alla prova la pazienza di Gesù. Gesù non è più qui, è una presenza nuova, che solo la fede sa cogliere e scorgere: solo la fede ci dà il potere di accostarci a lui, di toccarlo per sprigionarne la forza liberatrice di vita. Il demonio che tiene in schiavitù il fanciullo rappresenta il male profondo, dal quale i discepoli stessi devono essere guariti: essi sono muti, non riescono cioè ad esprimere la loro fede e a combinare nulla, perché sono sordi alla parola di Cristo. Essi non hanno accolto la parola della croce, non ascoltano la parola del Padre e non sono disposti a viverla; in altre parole essi non hanno quella fede concreta che si traduce in prassi.
Di fronte alla richiesta del padre del ragazzo, Gesù intende operare il passaggio da una fede condizionata ("Se tu puoi qualcosa abbi pietà di noi e aiutaci!") ad una fede incondizionata ("Tutto è possibile per chi crede!"), suscitando anche la preghiera perfetta, nella quale non si chiede più un aiuto qualunque, anche se importante o indispensabile, ma l'aiuto nella fede, la sola che libera dal male. La fede consiste, in radice, nel riconoscere l'incapacità fondamentale dell'umanità alla salvezza: è confessione della realtà, cioè della nostra reale impotenza. È l'atteggiamento di chi non si può aspettare più nulla da sé e si accorge che può attendere tutto dall'Altro e così lascia a Dio lo spazio di intervenire. "Credo, aiutami nella mia incredulità!" è l'esempio della preghiera perfetta, in cui si chiede a Dio la radice di ogni dono, cioè la fede in lui, che consiste nell'accettazione per sé della parola di Gesù. Questa fede rende tutto possibile, libera da ogni male e instaura il regno nella sua potenza. Contemporaneamente indica quale è la fede perfetta: infatti il padre del fanciullo, riconoscendo la propria incredulità, scopre anche cosa è la vera fede. Se la nostra fede si fonda sulla nostra sicurezza, ci troviamo subito nell'impotenza; si può invece dire con un paradosso, che la nostra fede parte dalla nostra incredulità riconosciuta e confessata davanti a Dio. La preghiera di questo padre è il riconoscimento e la confessione della propria incapacità a credere nella certezza che la fede è puro dono di Dio: Dio stesso si comunica in tutta la sua potenza e rende tutto possibile.
Questo episodio rappresenta lo scontro decisivo tra Cristo e il male: è l'ultimo e più faticoso esorcismo del vangelo, che simboleggia il travaglio (Cfr. Rm 8,18-19.22-23.26-39 [5])  che porterà alla vittoria totale. Essa avverrà solo sulla croce, e sarà vittoria anche sulla morte, il nemico ultimo dell'uomo. Tutto questo è prefigurato nel fanciullo che Gesù risvegliò e risuscitò: questo fanciullo è la prefigurazione stessa di Gesù e degli stessi discepoli, i quali, seguendo lo stesso cammino di Gesù, cioè perdendo la propria vita, riusciranno pure essi a vincere il male e a ritrovare la vita (Mc 8,34-35 [6]). Per Marco la sequela stessa di Cristo, cioè la fede si traduce in prassi fino alla sua conseguenza ultima: il dono della propria vita per amore. Per chi riesce ad uscire da questa "generazione incredula" e lo segue, Gesù è presente nella potenza della fede, per la quale il discepolo vive della sua parola e percorre il suo stesso cammino. Solo in questa fede, che ha l'occhio della preghiera, i piedi della sequela e le mani dell'azione concreta, la comunità dei discepoli di Cristo è forte, perché si è rivestita della potenza del Risorto.


Note
[1] "Mosè salì dunque sul monte e la nube coprì il monte. La gloria del Signore venne a dimorare sul monte Sinai e la nube lo coprì per sei giorni. Al settimo giorno il Signore chiamò Mosè dalla nube. La gloria del Signore appariva agli occhi degli Israeliti come fuoco divorante sulla cima della montagna. Mosè entrò dunque in mezzo alla nube e salì sul monte. Mosè rimase sul monte quaranta giorni e quaranta notti".

[2] Quando Mosè scese dal monte Sinai - le due tavole della Testimonianza si trovavano nelle mani di Mosè mentre egli scendeva dal monte - non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con lui. Ma Aronne e tutti gli Israeliti, vedendo che la pelle del suo viso era raggiante, ebbero timore di avvicinarsi a lui.

[3]  il Signore Dio chiamò l'uomo e gli disse: Dove sei?

[4] Udii allora una voce potente, che veniva dal trono e diceva: "Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con lo-ro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio. E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate". E Colui che sedeva sul trono disse: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose".

[5] Ritengo infatti che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. L'ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio[...] Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo[...] Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio. Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha prede-stinato, li ha anche chiamati; quelli che ha chiamato, li ha anche giustificati; quelli che ha giustificato, li ha anche glori-ficati. Che diremo dunque di queste cose? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il pro-prio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui? Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto? Dio è colui che giustifica! Chi condannerà? Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi! Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fa-me, la nudità, il pericolo, la spada? Come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo considerati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né pro-fondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore.

[6] Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà.