Siamo entrati nella seconda parte del Vangelo di Marco. Sei giorni dopo che Pietro ha riconosciuto Gesù come il Cristo e che Gesù ha rimproverato aspramente Pietro di ragionare "secondo gli uomini" e non aver capito niente della sua missione (“Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”), Gesù si manifesta trasfigurato a tre discepoli, come a dare loro un nuovo orizzonte di luce, per proseguire però con l'opera paziente di cercare di far capire che tipo di Messia lui è e cosa significa avere fede. Cominciamo con il primo brano, quello della Trasfigurazione. Ascoltatelo! Nel racconto dell'evento della Trasfigurazione, Marco intende portarci ad una comprensione più profonda di Gesù, Figlio di Dio e Messia della croce: l'episodio costituisce il vertice della manifestazione di Gesù e la conferma da parte di Dio Padre delle parole di Pietro, che lo avevano riconosciuto come il Cristo. Ma tutto il vangelo, tutta la nostra vita, si incentra su questo punto: chi è Gesù? Da questa domanda dipende tutto: per Marco sarà possibile riconoscere Gesù come il Figlio di Dio solo al termine del percorso sulla croce (Mc 15,39). All'inizio siamo in balia di fraintendimenti che ci portano a vedere in Gesù il guaritore, colui che ci aiuta nei problemi quotidiani della nostra vita, il liberatore da ogni male e dall'oppressione politica; in un secondo tempo ci scandalizza l'idea di un Dio debole, limitato, sofferente (seconda parte del vangelo di Marco). Scrive Giovanni nella sua prima lettera: "Dio è amore!". Se Dio è amore allora questo si rivela solo nella condivisione fino al dono totale di sé. L'amore di Dio per ciascuno di noi non poteva altro che rivelarsi sulla croce! Il brano della trasfigurazione si rifà come linguaggio alle teofanie dell'AT (Es 24,15-18 [1]; 34,29-30 [2];
40,34-38): qui in realtà il termine greco indica non tanto una
apparizione, ma una metamorfosi: non è più Dio che in qualche modo si
manifesta sotto forma umana, ma è la natura umana di Gesù che si
manifesta, si trasforma nella piena luce divina. Insomma non è più Dio
che scende verso l'uomo, ma l'uomo che sale verso Dio, partecipando
della sua gloria. |
Mc 9,2-8: (Trasfigurazione) Sei
giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse
su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a
loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun
lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro
Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro
disse a Gesù: "Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne,
una per te, una per Mosè e una per Elia". Non sapeva infatti che cosa
dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua
ombra e dalla nube uscì una voce: "Questi è il Figlio mio, l'amato:
ascoltatelo!". E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più
nessuno, se non Gesù solo, con loro. |
Marco
pone un intervallo tra quanto successo in precedenza, la confessione di
Pietro, e il momento della trasfigurazione, al contrario di quanto gli
capita molto spesso quando usa l'avverbio "subito": in questo caso
parla di un evento avvenuto "sei giorni dopo", cioè nel settimo giorno,
giorno simbolico della fine della creazione e del riposo di Dio, ma
anche del dono della Legge al Sinai e per noi della passione e
resurrezione di Gesù. Ciò ci impone di ricordare come la via che ci
propone il Cristo non porta ad umani trionfi ma al dono supremo della
vita in nome dell'amore e Gesù sa benissimo che per affrontare tutto
questo è necessario avere momenti nei quali rinforzare la nostra fede,
momenti per fare esperienza di Dio. 1) "su un alto monte": il monte nella mentalità ebraica rappresentava il mondo di Dio, allora salire sul monte va ad indicare l'impegno dell'uomo a superare ogni logica umana, dove ciò che conta è solo l'interesse personale, per entrare nella logica di Dio e vivere secondo il suo progetto. 2) "in disparte": ognuno di noi è chiamato a fare esperienza di Dio, ma tale esperienza è assolutamente personale. Se si è distolti da tante altre voci, non si può fare esperienza di Dio e comprendere appieno la sua proposta. 3) "loro soli": se è vero che l'esperienza di Dio è assolutamente personale, questa esperienza è fatta all'interno di una comunità. È nella comunità che la mia fede trova alimento, si misura con la concretezza della vita, si rinforza nella testimonianza. 4)
L'apparizione di Elia e Mosè che parlano con Gesù, dove Mosè
rappresenta la Legge, mentre Elia compendia in sé i profeti; insomma
tutta l'Alleanza antica è presente all'evento della manifestazione:
Mosè ed Elia parlano con Gesù, entrano in comunione con lui; insomma
non rendono soltanto testimonianza in favore di Cristo, ma attestano
che Gesù è veramente il traguardo ultimo della storia della salvezza, è
il compimento di tutte le promesse e di ogni speranza: è l'uomo nuovo
primogenito di una umanità nuova. L'esperienza di Dio si nutre, viene
guidata da un rapporto fecondo e continuo con la Parola di Dio, con
quella storia della salvezza per la quale Dio dall'eternità tenta di
ricostruire con l'umanità quel rapporto da lei interrotto con il
peccato originale (Gn 3,9 [3]) Ma
la trasfigurazione non può concludersi in un'unica esperienza mistica
di Dio; essa incide direttamente sulla nostra vita, poiché chi fa
esperienza di Dio vive "trasfigurato": l'esperienza della luce di Dio
ovvero vivere nel suo amore ci invita a diventare noi stessi luce per i
fratelli. Una volta incendiati da quell'immenso amore, non possiamo
fermare il tempo, costruire le nostre tende, ma siamo chiamati a
tornare tra gli uomini, ricordandoci quel primo, unico comandamento di
Dio: Shemà (ascolta)! Prima deve venire Elia |
Mc 9,9-13: (Domanda su Elia) Mentre
scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che
avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risorto dai
morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse
dire risorgere dai morti. E
lo interrogavano: "Perché gli scribi dicono che prima deve venire
Elia?". Egli rispose loro: "Sì, prima viene Elia e ristabilisce ogni
cosa; ma, come sta scritto del Figlio dell'uomo? Che deve soffrire
molto ed essere disprezzato. Io però vi dico che Elia è già venuto e
gli hanno fatto quello che hanno voluto, come sta scritto di lui". |
Dopo Mc 8,34-9,1 un secondo annuncio della sua passione inquadra la manifestazione gloriosa di Gesù sul monte, quasi a ricordarci che il Cristo giungerà alla sua gloria proprio sul trono della croce. Segue una domanda strana circa la venuta del profeta Elia: i discepoli sono ancora bloccati, chiusi nella loro idea di un Dio onnipotente e liberatore, distruttore dei nemici e protettore del popolo eletto. Questa idea impedisce loro di capire il mistero della sofferenza del Figlio dell'Uomo. Gesù risponde ricordando la figura del Battista, nuovo Elia, come prefigurazione del Figlio dell'Uomo. Occorre convertire la nostra idea di Dio dall'attesa gloriosa del re messianico a quella del servo sofferente. Gesù si rivela come il Messia, ma in modo inatteso e deludente per chi si aspetta un salvatore che ci liberi dai nostri problemi quotidiani. Egli è il glorioso Figlio dell'Uomo, che compie già ora il suo giudizio di salvezza, ma sul patibolo della croce. È sulla croce che Cristo allarga le sue braccia per accogliere tutti coloro che a Lui si vogliono affidare. Proprio per questo le note trionfali della trasfigurazione sono incorniciate dal chiaro annuncio di Gesù circa la sua passione e quella dei discepoli. Allora ecco che il segreto della gioia e della vita passa attraverso l'ignominia della croce: capire che il Cristo risorto è il Figlio di Dio rivelato nella sua sorte di crocifisso è il segreto cristiano. Nella sua vita Gesù è il Figlio di Dio nascosto che si rivela e la croce, il suo massimo nascondimento è la sua rivelazione totale: soltanto sulla croce si rivela chi è e cosa fa Gesù. Il Dio di Gesù Cristo è questo, amore donato e condiviso fino alla fine, che ci piaccia o no! "Credo, aiutami nella mia incredulità!" La narrazione di questo miracolo subito dopo il secondo annuncio della passione vuole aiutare la comunità a riflettere circa il suo atteggiamento di fede; Marco ci porta a verificare più seriamente che con i soli nostri sforzi non possiamo ottenere alcun risultato. In questo episodio, che avviene di fronte alla folla come proclamazione solenne del valore messianico dell'attività di Gesù, vediamo confrontarsi l'incapacità dei discepoli di guarire l'indemoniato con la figura del padre del fanciullo che riconoscendosi incredulo viene reso capace di un grande atto di fede. |
Mc 9,14-29: (Guarigione di un ragazzo indemoniato) E
arrivando presso i discepoli, videro attorno a loro molta folla e
alcuni scribi che discutevano con loro. E subito tutta la folla, al
vederlo, fu presa da meraviglia e corse a salutarlo. Ed egli li
interrogò: "Di che cosa discutete con loro?". E dalla folla uno gli
rispose: "Maestro, ho portato da te mio figlio, che ha uno spirito
muto. Dovunque lo afferri, lo getta a terra ed egli schiuma, digrigna i
denti e si irrigidisce. Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma
non ci sono riusciti". Egli allora disse loro: "O generazione
incredula! Fino a quando sarò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi?
Portatelo da me". E glielo portarono. Alla vista di Gesù, subito lo
spirito scosse con convulsioni il ragazzo ed egli, caduto a terra, si
rotolava schiumando. Gesù interrogò il padre: "Da quanto tempo gli
accade questo?". Ed egli rispose: "Dall'infanzia; anzi, spesso lo ha
buttato anche nel fuoco e nell'acqua per ucciderlo. Ma se tu puoi
qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci". Gesù gli disse: "Se tu puoi!
Tutto è possibile per chi crede". Il padre del fanciullo rispose subito
ad alta voce: "Credo; aiutami nella mia incredulità!". Allora Gesù,
vedendo accorrere la folla, minacciò lo spirito impuro dicendogli:
"Spirito muto e sordo, io ti ordino, esci da lui e non vi rientrare
più". Gridando e scuotendolo fortemente, uscì. E il fanciullo diventò
come morto, sicché molti dicevano: "È morto". Ma Gesù lo prese per
mano, lo fece alzare ed egli stette in piedi. Entrato
in casa, i suoi discepoli gli domandavano in privato: "Perché noi non
siamo riusciti a scacciarlo?". Ed egli disse loro: "Questa specie di
demoni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera". |
L'inizio del ministero di Gesù, dopo
l'appello alla sequela, si apre con un esorcismo, che ha un valore
programmatico. In esso si mostra il fine dell'opera di Gesù e di chi lo
segue: combattere e vincere quello spirito del male che possiede l'uomo
e lo tiene schiavo e lontano da Dio (Mc 1,21-28). Anche la seconda
parte del vangelo, dopo un invito più specifico alla sequela, ci
presenta un nuovo ed ultimo esorcismo. In questo si ribadisce in modo
più esplicito in che cosa consistano la lotta e la vittoria conseguite
mediante la fede nella sequela di Gesù. Si tratta di una lotta sempre
più serrata e più dura, che giunge al confronto estremo e decisivo e
perviene infine alla vittoria sul frutto ultimo del male. Ciò che Marco
vuole mettere in rilievo è l'impotenza dei discepoli in questa lotta
alla quale sono chiamati. L'impotenza dei discepoli nasce dall'assenza
di Gesù (Gv 15,5: "Senza di me non potete far nulla"); questa può
essere superata solo con quella fede che lo rende presente nella sua
forza. Ciò che è chiaro e che nessuno può salvarsi o salvare senza
Cristo; l'uomo è radicale bisogno di salvezza: il male dell'uomo non si
supera con l'avere, ma con l'essere. Un "essere diverso, convertito",
libero dai limiti che lo chiudono in sé. Chi pretende di salvarsi da
sé, cade nel male radicale dell'uomo che è quello di credersi
assolutamente autonomo e pretendere di essere lui il creatore di sé
stesso, dei suoi valori e del mondo. Note [1]
"Mosè salì dunque sul monte e la nube coprì il monte. La gloria del
Signore venne a dimorare sul monte Sinai e la nube lo coprì per sei
giorni. Al settimo giorno il Signore chiamò Mosè dalla nube. La gloria
del Signore appariva agli occhi degli Israeliti come fuoco divorante
sulla cima della montagna. Mosè entrò dunque in mezzo alla nube e salì
sul monte. Mosè rimase sul monte quaranta giorni e quaranta notti".[2] Quando Mosè scese dal monte Sinai - le due tavole della Testimonianza si trovavano nelle mani di Mosè mentre egli scendeva dal monte - non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con lui. Ma Aronne e tutti gli Israeliti, vedendo che la pelle del suo viso era raggiante, ebbero timore di avvicinarsi a lui. [3] il Signore Dio chiamò l'uomo e gli disse: Dove sei? [4] Udii allora una voce potente, che veniva dal trono e diceva: "Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con lo-ro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio. E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate". E Colui che sedeva sul trono disse: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose". [5] Ritengo infatti che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. L'ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio[...] Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo[...] Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio. Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha prede-stinato, li ha anche chiamati; quelli che ha chiamato, li ha anche giustificati; quelli che ha giustificato, li ha anche glori-ficati. Che diremo dunque di queste cose? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il pro-prio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui? Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto? Dio è colui che giustifica! Chi condannerà? Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi! Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fa-me, la nudità, il pericolo, la spada? Come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo considerati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né pro-fondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore. [6] Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà. |