Con il
capitolo 11 inizia la sezione, comprendente anche i capitoli 12 e 13,
che descrive l'ingresso di Gesù in Gerusalemme e diversi episodi di
insegnamenti di Gesù ai discepoli, ma anche e soprattutto di
dibattito/scontro con i capi dei sacerdoti, i maestri della legge, i
farisei e altri gruppi facenti parte delle classi dominanti. |
Ingresso messianico in Gerusalemme (Mc. 11,1-11) [1]Quando si avvicinarono a Gerusalemme, verso Bètfage e Betania, presso il monte degli Ulivi, mandò due dei suoi discepoli [2]e disse loro: "Andate nel villaggio che vi sta di fronte, e subito entrando in esso troverete un asinello legato, sul quale nessuno è mai salito. Scioglietelo e conducetelo. [3]E se qualcuno vi dirà: Perché fate questo?, rispondete: Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito". [4]Andarono e trovarono un asinello legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo sciolsero. [5]E alcuni dei presenti però dissero loro: "Che cosa fate, sciogliendo questo asinello?". [6]Ed essi risposero come aveva detto loro il Signore. E li lasciarono fare. [7]Essi
condussero l'asinello da Gesù, e vi gettarono sopra i loro mantelli, ed
egli vi montò sopra. [8]E
molti stendevano i propri mantelli sulla strada e altri delle fronde,
che avevano tagliate dai campi. [9]Quelli
poi che andavano innanzi, e quelli che venivano dietro gridavano: Osanna! Benedetto colui che viene
nel nome del Signore! [11]Ed entrò a Gerusalemme, nel tempio. E dopo aver guardato ogni cosa attorno, essendo ormai l'ora tarda, uscì con i Dodici diretto a Betania. |
L'episodio
dell'entrata di Gesù in Gerusalemme è veramente importante per la
comprensione di chi è Gesù, e al centro dell'episodio vi sono due
elementi: l'asinello e l'accoglienza della folla.
Due discepoli vengono mandati a procurare l'asinello. Nei versetti 2-6
Marco pare voglia implicitamente dichiarare la capacità di Gesù di
prevedere gli avvenimenti, ma questo appare secondario rispetto al
resto.
Quello che appare importante è la scelta di Gesù, che fa capire il tipo
di messianismo che lui realizza: egli non entra a cavallo come i re, né
su un carro come i guerrieri, ma su un semplice e umile asino, come
farebbe un qualunque contadino anche qui in Italia e in tempi recenti,
se non ancora in quelli attuali. E anche se non esplicito come in
Matteo e Giovanni, è chiaro il riferimento al messia descritto dal
profeta Zaccaria: "Ecco,
a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un
asino, un puledro figlio d'asina" (Zc 9,9)
La grandezza del Messia non sta nel potere ma nella sua umiltà: "il Figlio dell'Uomo infatti non
è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in
riscatto per molti" aveva detto Gesù ai suoi discepoli
mentre venivano verso Gerusalemme, come visto nella tappa precedente. Se non si capisce la
grandezza nell'umiltà del servizio concreto, non si capisce nulla di
Gesù e del suo messaggio.
La folla che accoglie festante Gesù questo fatto non l'ha capito, come
neppure i discepoli. La folla grida "Osanna!", che
significa "Deh, salvaci!"
ed è un'invocazione dell'aiuto di Dio, ma che probabilmente in quel
momento aveva il significato di "salvaci
dai romani!". In ogni caso, l'accoglienza della folla
descritta da Marco (e anche dagli altri evangelisti) sottolinea il
riconoscimento della sua regalità, con l'esplicito riferimento che
Marco fa al regno di Davide, nel versetto 10. Se però la folla si
aspettava un re liberatore politico non poteva poi che rimanerne delusa.
Il fatto che Gesù, in tutto il Vangelo, rifiuti un messianismo di
potere politico-religioso ci offre una breve ma interessante
riflessione: il messia regna su tutti i popoli, ma lascia tutti liberi
di organizzarsi come meglio credono nella gestione della società, come
Gesù stesso affermerà abbastanza esplicitamente quando gli chiederanno
se è lecito o no pagare il tributo a Cesare (prossima tappa, Cap.
12,13-27). La politica non ha bisogno di una giustificazione religiosa
per agire; i responsabili possono fare leggi senza doverle giustificare
con leggi religiose, ma solo in base ad un'analisi di ciò che serve
alla vita della società. Gesù, cioè, non ci dice cosa dobbiamo fare e
come, ma ci spinge a prendere in mano la nostra esistenza ed ad
assumerci le nostre responsabilità.
Ma allo stesso tempo la messianicità e la regalità di Gesù hanno un
forte impatto sul piano politico: la presa di posizione verso i poveri,
la condanna della ricchezza, il comando dell'amore sono tutti elementi
che non vanno d'accordo con qualsiasi tipo di organizzazione della
società e di azione politica. Gesù, in definitiva, ci spinge ad andare
alle radici, a guardare ai valori più profondi, a fare un cammino di
liberazione totale dell'uomo... e non è poco!
Infine è importante soffermarsi sul versetto 11 che conclude il brano,
che rappresenta un finale a sorpresa di questo primo giorno: di colpo
cessa il clamore festante della folla e Gesù si ritrova in silenzio nel
tempio. Guarda tutto attorno, non dice niente e se ne va. Cala il
sipario sulla giornata, come quando i suonatori di un'orchestra mettono
i loro strumenti nelle custodie e tornano a casa. E invece con queste
poche parole Marco anticipa le parole e le azioni di Gesù del giorno
dopo. Nel suo "dopo aver
guardato ogni cosa attorno" c'è tutto il
giudizio che Gesù dà al tempio, a una religione tutta esteriorità che
non ha portato i frutti attesi dal Padre. Se alla fine saranno i capi
dei sacerdoti e del popolo a condannare Gesù a morte, qui la condanna
di Gesù verso il tempio e quello che esso rappresenta è ormai scattata.
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Il secondo brano racconta la
successiva giornata di Gesù in Gerusalemme in maniera estremamente
sintetica. Infatti c'è solo il racconto della cacciata dei mercanti dal
tempio, avvolto, come in un sandwich, dall'episodio della maledizione
del fico, episodio denso di significati teologici, strettamente
connessi a quelli del bailamme fatto da Gesù nel tempio.
Gli studiosi discutono su come questi due episodi siano stati messi insieme, se cioè avvenuti realmente in quell'ordine di tempo o messi così da Marco. Matteo ad esempio pone l'episodio della maledizione del fico il giorno dopo della cacciata dei mercanti dal tempio. Quello che è importante è il profondo significato teologico di questi due episodi e della loro connessione. La
pianta del fico, infatti, era stata presentata dai profeti, così
come quella della vite, come simbolo di Israele, il popolo destinato ad
essere segno della salvezza di Dio per tutti i popoli. I rami pieni di
foglie indicano che sarebbe il momento di raccogliere frutti, e la
"fame" di Gesù indica qualcosa di profondo, indica l'ansia di vedere se
questo popolo ha dato i suoi frutti. E invece niente, solo foglie, solo
apparenza che succhia linfa dai rami ma non porta a niente di concreto
e di utile. Il discorso ovviamente potrebbe estendersi anche ai giorni
nostri, quando la religione si chiude su se stessa, nei riti, nelle
liturgie magari sfarzose e nelle adunate oceaniche, ma senza produrre i
frutti di misericordia e di amore e senza portare veramente i fedeli
all'incontro con Dio. Gesù, davanti a questa situazione, pronuncia una
condanna secca: così non vai bene, così non servi a niente, così hai
tradito completamente la tua missione e l'alleanza che avevi stretto
con Jahvé sul Sinai. Un discorso simile vale per il tempio: si è chiuso in un mondo di osservanze formali che mascherano anche interessi meschini, impedendo al popolo l'accesso alla "casa di preghiera", cioè all'incontro con il Dio salvatore. Già Geremia condannava tutti questi comportamenti vuoti, il sentirsi al sicuro dentro al tempio mentre poi fuori si ruba, si uccide, si compiono adulteri, si giura il falso. Gesù, nel versetto 17 che riporta "insegnava loro dicendo..." dice in sostanza, riferendosi al profeta Isaia (Is 56,5-7), che il tempio verrà tolto di mano a quei briganti che si professano credenti e l'hanno fatto diventare una spelonca di ladri, e sarà invece affidato agli stranieri perché ne facciano "una casa di preghiera per tutte le genti". La condanna del tempio è il gesto culminante dell'attività messianica di Cristo, è la "bella notizia" della liberazione per tutti quelli che sono oppressi, privi di privilegi e caricati di pesi da parte della classe religiosa dominante: è Gesù il nuovo "tempio" in cui ogni uomo può adorare Dio "in spirito e verità", in cui tutti i popoli hanno accesso al Dio della pace, della giustizia, della misericordia, della fraternità. Dio vuole una "casa di preghiera" di questo tipo, aperta a tutte le genti. Anche i lontani, "le genti", hanno diritto di entrare in questo tempio, che non è più riservato ai soli devoti e pii. Il solo culto "in spirito e verità" gradito a Dio è quello che si traduce nella misericordia verso i fratelli: le preghiere, i riti, le liturgie o servono all'uomo a orientare il cuore verso Dio o sono completamente inutili. Diventa quindi comprensibile il fatto che "tutto il popolo era ammirato del suo insegnamento", perché è giunto il tempo della verità e della libertà dai mille precetti fondati sulla paura controllata da quelli che detengono il potere. Le parole di Gesù sono aria fresca che fa respirare meglio. È invece del tutto naturale che i sacerdoti e i teologi (gli "scribi") reagiscano cercando ogni modo per condannarlo a morte, perché sono stati attaccati da Gesù proprio al cuore del loro dominio, il tempio. Ed è significativo che Marco dica "Avevano infatti paura di lui", perché si sentono vacillare la terra sotto i piedi: se la gente va dietro a questo qui, noi perdiamo il nostro potere!
A conclusione del brano c'è l'episodio all'inizio del giorno seguente,
quando Pietro nota il fico seccato e lo dice a Gesù, chiudendo così "a
panino" l'episodio del tempio. Significativo è l'uso dell'espressione
"Allora Pietro,
ricordatosi..." perché sottolinea il valore dei ricordi
personali di Pietro nel formarsi dei racconti tramandati nelle prime
comunità, in particolare confluiti nel Vangelo di Marco. =================
Immediatamente
dopo l'osservazione di Pietro, Marco inserisce alcuni detti e
insegnamenti di Gesù sulla preghiera, molto probabilmente non
pronunciati in quel momento ma messi qui da Marco per riprendere il
discorso sulla vera preghiera in contrasto con i riti vuoti e formali
praticati nel tempio.
La prima esortazione di Gesù è ad avere fede, che è una fiducia totale in Dio. L'espressione "senza dubitare in cuor suo" riferita alla preghiera
di domanda indica un cuore non altalenante tra una cosa e l'altra, ma
appoggiato totalmente su Dio, e il detto sul monte che si getta in mare
vuole esprimere la potenza della fede. Tutto il contesto del capitolo e
la connessione immediata all'episodio della maledizione del fico indica
comunque che la vera fede si fonda sull'accettazione di Gesù nel suo
cammino di povertà e di servizio: è nell'adesione a questo messia che si producono i frutti di cui Gesù "ha fame". Ed è qui, subito dopo l'esortazione alla preghiera fiduciosa, che Marco inserisce il tema del perdono
come requisito essenziale per una preghiera vera, "in spirito e
verità". Gli esegeti notano, attraverso le espressioni usate da Marco
solo qui nel suo Vangelo, "Padre vostro che è nei cieli" e "peccati", che quest'ultimo versetto riprende il testo antico del "Padre Nostro" che pure Marco non riporta nel suo Vangelo.La questione teologica è semplice: la fede vera è la sequela di Gesù, di quel Gesù che ci ha amati fino a dare la vita per noi e che ci ha indicato come unico comando quello dell'amore fraterno reciproco, per cui se non perdoniamo ci escludiamo dal perdono, se non amiamo ci tagliamo fuori dall'amore e non siamo perciò collegati alla potenza di Dio. =================
E
si arriva così all'ultimo brano del capitolo, che inizia una sezione
sulle dispute di Gesù con i gruppi più influenti dei capi dei Giudei, e
in particolare i sommi sacerdoti, i farisei e gli anziani, a volte
menzionati insieme e talora separatamente. Queste dispute sono tutte
ambientate nel tempio. Se le parole del Maestro affascinano le folle,
la sua schiettezza verso i capi del popolo gli attirerà addosso la
definitiva condanna a morte.
Qui
comincia un vero processo contro Gesù, chiamato a giustificarsi, anche
se, ripeto, questo processo è Gesù stesso che se l'è tirato addosso,
con il suo giudizio netto contro le autorità. I
sommi sacerdoti, gli scribi, gli anziani incalzano Gesù, con chiaro
riferimento alla cacciata dei mercanti dal tempio ma forse anche in
relazione a tutte le altre azioni di Gesù: "chi ti ha autorizzato a
fare questo? Chi ti credi di essere?". In tutto il Vangelo la gente
comune resta stupita dal fatto che Gesù parla ed agisce "con autorità",
facendosi addirittura obbedire dagli spiriti immondi (Mc 1,22-27),
mentre la gente "che conta" non riesce a vedere questa autorità,
nemmeno di fronte ai segni prodigiosi compiuti da Gesù, come ad esempio
la guarigione del paralitico (Mc 2,3-12). È
forte Gesù, che non elude la domanda però neppure risponde
direttamente, bensì con una contro-domanda sul Battista. Questi aveva
preannunciato la venuta di uno più forte che avrebbe battezzato "in
Spirito Santo" e aveva dato testimonianza a Gesù, ma questa
testimonianza non era stata colta dalle autorità religiose. Le autorità
credono di cavarsela rispondendo con un "Non sappiamo"
alla domanda di Gesù, ma la loro incapacità di rispondere mette in luce
la loro incapacità di cogliere i segni: non hanno colto Dio che agiva
in Giovanni Battista, come non hanno colto tutti i segni che Gesù ha
compiuto. Non hanno saputo vedere in tutti quei segni la potenza di Dio
ma solo una minaccia ai loro privilegi e al loro potere sulla gente
comune. Se avessero colto il messaggio del Battista e il valore
profondo dei segni compiuti da Gesù, ora sarebbero in grado di capire
qual'era la sua "autorità". La risposta finale di Gesù è evidente, è un
po' come se dicesse: "Non volete vedere, che parlo a fa'?" La
questione interroga anche noi e tutti i credenti e i non credenti di
questo mondo. I non credenti spesso si dichiarano pronti a credere se
ricevono prove tangibili e irrefutabili, mentre i credenti, per
combattere l'incredulità, spesso si sforzano di trovare dimostrazioni
della verità della loro fede, ma in entrambi i casi si porta la fede su
un piano puramente umano, sul piano del dimostrabile, del verificabile. Come
con la domanda ai capi del popolo, Gesù ci chiede di pronunciarci sulle
cose che succedono oggi intorno a noi. Chi non si pronuncia sulle cose
comuni che accadono è destinato a rimanere ambiguo, e in questa
ambiguità Gesù non si fa riconoscere. Non si può riconoscere Gesù se
non ci si sbilancia, se non si mette il servizio e l'amore davanti agli
interessi personali, all'avere o all'apparire. È quando scegli il
vangelo che Gesù ti si mostra come tuo salvatore e liberatore! Gesù si
rivela quando lo incontri, quando lo segui, quando ti abbandoni
all'azione di Dio che, attraverso Gesù, ti libera e ti rende più vivo:
è allora che sperimenti di essere nella vita, nella verità, nell'amore,
è allora che fai esperienza della verità di Gesù Cristo, è allora che
riconosci in Gesù il Figlio di Dio! |