23 febbraio 2019
Con Marco alla scoperta di Gesù
Tredicesima tappa: Cap. 11 intero

Con il capitolo 11 inizia la sezione, comprendente anche i capitoli 12 e 13, che descrive l'ingresso di Gesù in Gerusalemme e diversi episodi di insegnamenti di Gesù ai discepoli, ma anche e soprattutto di dibattito/scontro con i capi dei sacerdoti, i maestri della legge, i farisei e altri gruppi facenti parte delle classi dominanti.
Questi tre capitoli sono preparatori ai racconti della passione di Gesù e, nello scrivere questi capitoli, Marco vuol fare emergere con sempre maggiore chiarezza la realtà di Gesù come il Figlio di Dio e il Messia, in particolare sottolineando sempre di più che il tipo di messianicità di Gesù è lontana da quella del liberatore politico/militare, ma è quella del servo di Jahvè, o servo sofferente, descritto nel libro del profeta Isaia nei capitoli 40-55 (deutero-Isaia).
Un'altra cosa da notare è che tutti gli insegnamenti e gli incontri/scontri descritti nei capitoli 11 e 12 si svolgono nel tempio, rimarcando, per contrasto, che il tempio fisico non è il vero luogo dell'incontro con Dio, ma che questo incontro lo si ha seguendo le linee indicate dal Cristo.

Il capitolo lo si può dividere in 4 brani:
     1) l'ingresso messianico di Gesù in Gerusalemme;
     2) la maledizione del fico e la cacciata dei mercanti dal tempio;
     3) alcuni insegnamenti su fede e preghiera;
     4) un primo incontro/scontro con i capi sull'autorità di Gesù.

È un capitolo denso di significati teologici da leggere con molta attenzione per andare a fondo nella conoscenza di Gesù e del suo insegnamento. Cominciamo dunque dal primo brano, in cui Gesù entra a Gerusalemme.

Ingresso messianico in Gerusalemme (Mc. 11,1-11)

[1]Quando si avvicinarono a Gerusalemme, verso Bètfage e Betania, presso il monte degli Ulivi, mandò due dei suoi discepoli [2]e disse loro: "Andate nel villaggio che vi sta di fronte, e subito entrando in esso troverete un asinello legato, sul quale nessuno è mai salito. Scioglietelo e conducetelo.  [3]E se qualcuno vi dirà: Perché fate questo?, rispondete: Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito". [4]Andarono e trovarono un asinello legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo sciolsero. [5]E alcuni dei presenti però dissero loro: "Che cosa fate, sciogliendo questo asinello?". [6]Ed essi risposero come aveva detto loro il Signore. E li lasciarono fare.

[7]Essi condussero l'asinello da Gesù, e vi gettarono sopra i loro mantelli, ed egli vi montò sopra. [8]E molti stendevano i propri mantelli sulla strada e altri delle fronde, che avevano tagliate dai campi. [9]Quelli poi che andavano innanzi, e quelli che venivano dietro gridavano:

Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!
[10]Benedetto il regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!

[11]Ed entrò a Gerusalemme, nel tempio. E dopo aver guardato ogni cosa attorno, essendo ormai l'ora tarda, uscì con i Dodici diretto a Betania.

L'episodio dell'entrata di Gesù in Gerusalemme è veramente importante per la comprensione di chi è Gesù, e al centro dell'episodio vi sono due elementi: l'asinello e l'accoglienza della folla.
Due discepoli vengono mandati a procurare l'asinello. Nei versetti 2-6 Marco pare voglia implicitamente dichiarare la capacità di Gesù di prevedere gli avvenimenti, ma questo appare secondario rispetto al resto.
Quello che appare importante è la scelta di Gesù, che fa capire il tipo di messianismo che lui realizza: egli non entra a cavallo come i re, né su un carro come i guerrieri, ma su un semplice e umile asino, come farebbe un qualunque contadino anche qui in Italia e in tempi recenti, se non ancora in quelli attuali. E anche se non esplicito come in Matteo e Giovanni, è chiaro il riferimento al messia descritto dal profeta Zaccaria: "Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d'asina" (Zc 9,9)
La grandezza del Messia non sta nel potere ma nella sua umiltà: "il Figlio dell'Uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti" aveva detto Gesù ai suoi discepoli mentre venivano verso Gerusalemme, come visto nella tappa precedente. Se non si capisce la grandezza nell'umiltà del servizio concreto, non si capisce nulla di Gesù e del suo messaggio.
La folla che accoglie festante Gesù questo fatto non l'ha capito, come neppure i discepoli. La folla grida "Osanna!", che significa "Deh, salvaci!" ed è un'invocazione dell'aiuto di Dio, ma che probabilmente in quel momento aveva il significato di "salvaci dai romani!". In ogni caso, l'accoglienza della folla descritta da Marco (e anche dagli altri evangelisti) sottolinea il riconoscimento della sua regalità, con l'esplicito riferimento che Marco fa al regno di Davide, nel versetto 10. Se però la folla si aspettava un re liberatore politico non poteva poi che rimanerne delusa.
Il fatto che Gesù, in tutto il Vangelo, rifiuti un messianismo di potere politico-religioso ci offre una breve ma interessante riflessione: il messia regna su tutti i popoli, ma lascia tutti liberi di organizzarsi come meglio credono nella gestione della società, come Gesù stesso affermerà abbastanza esplicitamente quando gli chiederanno se è lecito o no pagare il tributo a Cesare (prossima tappa, Cap. 12,13-27). La politica non ha bisogno di una giustificazione religiosa per agire; i responsabili possono fare leggi senza doverle giustificare con leggi religiose, ma solo in base ad un'analisi di ciò che serve alla vita della società. Gesù, cioè, non ci dice cosa dobbiamo fare e come, ma ci spinge a prendere in mano la nostra esistenza ed ad assumerci le nostre responsabilità.
Ma allo stesso tempo la messianicità e la regalità di Gesù hanno un forte impatto sul piano politico: la presa di posizione verso i poveri, la condanna della ricchezza, il comando dell'amore sono tutti elementi che non vanno d'accordo con qualsiasi tipo di organizzazione della società e di azione politica. Gesù, in definitiva, ci spinge ad andare alle radici, a guardare ai valori più profondi, a fare un cammino di liberazione totale dell'uomo... e non è poco!

Infine è importante soffermarsi sul versetto 11 che conclude il brano, che rappresenta un finale a sorpresa di questo primo giorno: di colpo cessa il clamore festante della folla e Gesù si ritrova in silenzio nel tempio. Guarda tutto attorno, non dice niente e se ne va. Cala il sipario sulla giornata, come quando i suonatori di un'orchestra mettono i loro strumenti nelle custodie e tornano a casa. E invece con queste poche parole Marco anticipa le parole e le azioni di Gesù del giorno dopo. Nel suo "dopo aver guardato ogni cosa attorno" c'è tutto il giudizio che Gesù dà al tempio, a una religione tutta esteriorità che non ha portato i frutti attesi dal Padre. Se alla fine saranno i capi dei sacerdoti e del popolo a condannare Gesù a morte, qui la condanna di Gesù verso il tempio e quello che esso rappresenta è ormai scattata.

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Il secondo brano racconta la successiva giornata di Gesù in Gerusalemme in maniera estremamente sintetica. Infatti c'è solo il racconto della cacciata dei mercanti dal tempio, avvolto, come in un sandwich, dall'episodio della maledizione del fico, episodio denso di significati teologici, strettamente connessi a quelli del bailamme fatto da Gesù nel tempio.

Maledizione del fico e cacciata dei mercanti dal tempio (Mc. 11, 12-21)

[12]La mattina seguente, mentre uscivano da Betania, ebbe fame. [13]E avendo visto di lontano un fico che aveva delle foglie, si avvicinò per vedere se mai vi trovasse qualche cosa; ma giuntovi sotto, non trovò altro che foglie. Non era infatti quella la stagione dei fichi. [14]E gli disse: "Nessuno possa mai più mangiare i tuoi frutti". E i discepoli l'udirono.
[15]Andarono intanto a Gerusalemme. Ed entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano e comperavano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe [16]e non permetteva che si portassero cose attraverso il tempio. [17]Ed insegnava loro dicendo: "Non sta forse scritto:
La mia casa sarà chiamata  casa di preghiera per tutte le genti? 
Voi invece ne avete fatto una spelonca di ladri!".
[18]L'udirono i sommi sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di farlo morire. Avevano infatti paura di lui, perché tutto il popolo era ammirato del suo insegnamento. [19]Quando venne la sera uscirono dalla città. 
[20]La mattina seguente,  passando, videro il fico seccato fin dalle radici. [21]Allora Pietro, ricordatosi, gli disse: "Maestro, guarda: il fico che hai maledetto si è seccato".

Gli studiosi discutono su come questi due episodi siano stati messi insieme, se cioè avvenuti realmente in quell'ordine di tempo o messi così da Marco. Matteo ad esempio pone l'episodio della maledizione del fico il giorno dopo della cacciata dei mercanti dal tempio. Quello che è importante è il profondo significato teologico di questi due episodi e della loro connessione.

La pianta del fico, infatti, era stata presentata dai profeti, così come quella della vite, come simbolo di Israele, il popolo destinato ad essere segno della salvezza di Dio per tutti i popoli. I rami pieni di foglie indicano che sarebbe il momento di raccogliere frutti, e la "fame" di Gesù indica qualcosa di profondo, indica l'ansia di vedere se questo popolo ha dato i suoi frutti. E invece niente, solo foglie, solo apparenza che succhia linfa dai rami ma non porta a niente di concreto e di utile. Il discorso ovviamente potrebbe estendersi anche ai giorni nostri, quando la religione si chiude su se stessa, nei riti, nelle liturgie magari sfarzose e nelle adunate oceaniche, ma senza produrre i frutti di misericordia e di amore e senza portare veramente i fedeli all'incontro con Dio. Gesù, davanti a questa situazione, pronuncia una condanna secca: così non vai bene, così non servi a niente, così hai tradito completamente la tua missione e l'alleanza che avevi stretto con Jahvé sul Sinai.
Con Gesù, il Dio-con-noi, Dio ha completato la sua azione. Gesù stesso, nel primo capitolo del Vangelo di Marco, aveva detto "il tempo è compiuto, perché è giunto il regno di Dio" (Mc 1,15), per cui basta, non c'è da aspettare ancora, è questo il momento di dare frutti. Bisogna approfittare del tempo presente per dare i frutti attesi di giustizia, di misericordia, di fraternità, altrimenti siamo come rami inutili da tagliare e bruciare.

Un discorso simile vale per il tempio: si è chiuso in un mondo di osservanze formali che mascherano anche interessi meschini, impedendo al popolo l'accesso alla "casa di preghiera", cioè all'incontro con il Dio salvatore. Già Geremia condannava tutti questi comportamenti vuoti, il sentirsi al sicuro dentro al tempio mentre poi fuori si ruba, si uccide, si compiono adulteri, si giura il falso. Gesù, nel versetto 17 che riporta "insegnava loro dicendo..." dice in sostanza, riferendosi al profeta Isaia (Is 56,5-7), che il tempio verrà tolto di mano a quei briganti che si professano credenti e l'hanno fatto diventare una spelonca di ladri, e sarà invece affidato agli stranieri perché ne facciano "una casa di preghiera per tutte le genti".

La condanna del tempio è il gesto culminante dell'attività messianica di Cristo, è la "bella notizia" della liberazione per tutti quelli che sono oppressi, privi di privilegi e caricati di pesi da parte della classe religiosa dominante: è Gesù il nuovo "tempio" in cui ogni uomo può adorare Dio "in spirito e verità", in cui tutti i popoli hanno accesso al Dio della pace, della giustizia, della misericordia, della fraternità. Dio vuole una "casa di preghiera" di questo tipo, aperta a tutte le genti. Anche i lontani, "le genti", hanno diritto di entrare in questo tempio, che non è più riservato ai soli devoti e pii. Il solo culto "in spirito e verità" gradito a Dio è quello che si traduce nella misericordia verso i fratelli: le preghiere, i riti, le liturgie o servono all'uomo a orientare il cuore verso Dio o sono completamente inutili.

Diventa quindi comprensibile il fatto che "tutto il popolo era ammirato del suo insegnamento", perché è giunto il tempo della verità e della libertà dai mille precetti fondati sulla paura controllata da quelli che detengono il potere. Le parole di Gesù sono aria fresca che fa respirare meglio. È invece del tutto naturale che i sacerdoti e i teologi (gli "scribi") reagiscano cercando ogni modo per condannarlo a morte, perché sono stati attaccati da Gesù proprio al cuore del loro dominio, il tempio. Ed è significativo che Marco dica "Avevano infatti paura di lui", perché si sentono vacillare la terra sotto i piedi: se la gente va dietro a questo qui, noi perdiamo il nostro potere!

A conclusione del brano c'è l'episodio all'inizio del giorno seguente, quando Pietro nota il fico seccato e lo dice a Gesù, chiudendo così "a panino" l'episodio del tempio. Significativo è l'uso dell'espressione "Allora Pietro, ricordatosi..." perché sottolinea il valore dei ricordi personali di Pietro nel formarsi dei racconti tramandati nelle prime comunità, in particolare confluiti nel Vangelo di Marco.

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Immediatamente dopo l'osservazione di Pietro, Marco inserisce alcuni detti e insegnamenti di Gesù sulla preghiera, molto probabilmente non pronunciati in quel momento ma messi qui da Marco per riprendere il discorso sulla vera preghiera in contrasto con i riti vuoti e formali praticati nel tempio.

Alcuni insegnamenti su fede e preghiera (Mc. 11, 22-25)

[22]Gesù allora disse loro: "Abbiate fede in Dio!  [23]In verità vi dico: chi dicesse a questo monte: Levati e gettati nel mare, senza dubitare in cuor suo ma credendo che quanto dice avverrà, ciò gli sarà accordato. [24]Per questo vi dico: tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato. [25]Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati". [26]

La prima esortazione di Gesù è ad avere fede, che è una fiducia totale in Dio. L'espressione "senza dubitare in cuor suo" riferita alla preghiera di domanda indica un cuore non altalenante tra una cosa e l'altra, ma appoggiato totalmente su Dio, e il detto sul monte che si getta in mare vuole esprimere la potenza della fede. Tutto il contesto del capitolo e la connessione immediata all'episodio della maledizione del fico indica comunque che la vera fede si fonda sull'accettazione di Gesù nel suo cammino di povertà e di servizio: è nell'adesione a questo messia che si producono i frutti di cui Gesù "ha fame".
Ed è qui, subito dopo l'esortazione alla preghiera fiduciosa, che Marco inserisce il tema del perdono come requisito essenziale per una preghiera vera, "in spirito e verità". Gli esegeti notano, attraverso le espressioni usate da Marco solo qui nel suo Vangelo, "Padre vostro che è nei cieli" e "peccati", che quest'ultimo versetto riprende il testo antico del "Padre Nostro" che pure Marco non riporta nel suo Vangelo.
La questione teologica è semplice: la fede vera è la sequela di Gesù, di quel Gesù che ci ha amati fino a dare la vita per noi e che ci ha indicato come unico comando quello dell'amore fraterno reciproco, per cui se non perdoniamo ci escludiamo dal perdono, se non amiamo ci tagliamo fuori dall'amore e non siamo perciò collegati alla potenza di Dio.


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E si arriva così all'ultimo brano del capitolo, che inizia una sezione sulle dispute di Gesù con i gruppi più influenti dei capi dei Giudei, e in particolare i sommi sacerdoti, i farisei e gli anziani, a volte menzionati insieme e talora separatamente. Queste dispute sono tutte ambientate nel tempio. Se le parole del Maestro affascinano le folle, la sua schiettezza verso i capi del popolo gli attirerà addosso la definitiva condanna a morte.
La prima di queste dispute, che conclude il capitolo 11, riguarda l'autorità di Gesù, il diritto o meno che ha di fare quello che fa e di dire quello che dice.

Obiezione dei Giudei sull'autorità di Gesù (Mc. 11, 27-33)

[27]Andarono di nuovo a Gerusalemme. E mentre egli si aggirava per il tempio, gli si avvicinarono i sommi sacerdoti, gli scribi e gli anziani e gli dissero: [28]"Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l'autorità di farlo?"  [29]Ma Gesù disse loro: "Vi farò anch'io una domanda e, se mi risponderete, vi dirò con quale potere lo faccio. [30]Il battesimo di Giovanni veniva dal cielo o dagli uomini? Rispondetemi".  [31]Ed essi discutevano tra sé dicendo: "Se rispondiamo "dal cielo", dirà: Perché allora non gli avete creduto? [32]Diciamo dunque "dagli uomini"?". Per? temevano la folla, perché tutti consideravano Giovanni come un vero profeta. [33]Allora diedero a Gesù questa risposta: "Non sappiamo". E Gesù disse loro: "Neanch'io vi dico con quale autorità faccio queste cose".


Qui comincia un vero processo contro Gesù, chiamato a giustificarsi, anche se, ripeto, questo processo è Gesù stesso che se l'è tirato addosso, con il suo giudizio netto contro le autorità.

I sommi sacerdoti, gli scribi, gli anziani incalzano Gesù, con chiaro riferimento alla cacciata dei mercanti dal tempio ma forse anche in relazione a tutte le altre azioni di Gesù: "chi ti ha autorizzato a fare questo? Chi ti credi di essere?". In tutto il Vangelo la gente comune resta stupita dal fatto che Gesù parla ed agisce "con autorità", facendosi addirittura obbedire dagli spiriti immondi (Mc 1,22-27), mentre la gente "che conta" non riesce a vedere questa autorità, nemmeno di fronte ai segni prodigiosi compiuti da Gesù, come ad esempio la guarigione del paralitico (Mc 2,3-12).

È forte Gesù, che non elude la domanda però neppure risponde direttamente, bensì con una contro-domanda sul Battista. Questi aveva preannunciato la venuta di uno più forte che avrebbe battezzato "in Spirito Santo" e aveva dato testimonianza a Gesù, ma questa testimonianza non era stata colta dalle autorità religiose. Le autorità credono di cavarsela rispondendo con un "Non sappiamo" alla domanda di Gesù, ma la loro incapacità di rispondere mette in luce la loro incapacità di cogliere i segni: non hanno colto Dio che agiva in Giovanni Battista, come non hanno colto tutti i segni che Gesù ha compiuto. Non hanno saputo vedere in tutti quei segni la potenza di Dio ma solo una minaccia ai loro privilegi e al loro potere sulla gente comune. Se avessero colto il messaggio del Battista e il valore profondo dei segni compiuti da Gesù, ora sarebbero in grado di capire qual'era la sua "autorità". La risposta finale di Gesù è evidente, è un po' come se dicesse: "Non volete vedere, che parlo a fa'?"

La questione interroga anche noi e tutti i credenti e i non credenti di questo mondo. I non credenti spesso si dichiarano pronti a credere se ricevono prove tangibili e irrefutabili, mentre i credenti, per combattere l'incredulità, spesso si sforzano di trovare dimostrazioni della verità della loro fede, ma in entrambi i casi si porta la fede su un piano puramente umano, sul piano del dimostrabile, del verificabile.
Come con la domanda ai capi del popolo, Gesù ci chiede di pronunciarci sulle cose che succedono oggi intorno a noi. Chi non si pronuncia sulle cose comuni che accadono è destinato a rimanere ambiguo, e in questa ambiguità Gesù non si fa riconoscere. Non si può riconoscere Gesù se non ci si sbilancia, se non si mette il servizio e l'amore davanti agli interessi personali, all'avere o all'apparire. È quando scegli il vangelo che Gesù ti si mostra come tuo salvatore e liberatore! Gesù si rivela quando lo incontri, quando lo segui, quando ti abbandoni all'azione di Dio che, attraverso Gesù, ti libera e ti rende più vivo: è allora che sperimenti di essere nella vita, nella verità, nell'amore, è allora che fai esperienza della verità di Gesù Cristo, è allora che riconosci in Gesù il Figlio di Dio!