2 giugno 2019
Con Marco alla scoperta di Gesù
Quindicesima tappa: Cap. 13 intero

Nel capitolo 13, che conclude la storia della vita pubblica di Gesù e che introduce al racconto della Passione, troviamo la versione marciana del cosiddetto "discorso escatologico"; ovvero il discorso che riguarda le realtà ultime della vita: morte, fine del mondo, giudizio, paradiso ed inferno. A partire dalla convinzione che Dio guida la storia verso la realizzazione del disegno di salvezza, Marco esorta la comunità ad un triplice impegno: fidarsi di Dio, rendersi capaci di cogliere i segni dell'azione di Dio, rimanere ancorati al vangelo. L'evangelista non offre speculazioni sulla fine del mondo, sottolineando la necessità dell'impegno oggi e ridimensionando l'esagerata attesa di una fine imminente. Questo discorso punta a far vivere il momento presente, educando a scorgere in esso il nascere di una realtà nuova, il Regno di Dio, per cui possiamo affermare che il tema non riguarda la fine del mondo, quanto piuttosto il fine del mondo.
Suddividiamo la lettura di questo capitolo in cinque brani, che potremo così titolare: 1) il vero tempio; 2) la testimonianza; 3) la venuta del Figlio dell'Uomo; 4) i segni dei tempi; 5) "Vegliate"

Il vero tempio

Mc 13,1-4:   
[1]Mentre usciva dal tempio, uno dei suoi discepoli gli disse: "Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!". [2]Gesù gli rispose: "Vedi queste grandi costruzioni? Non sarà lasciata qui pietra su pietra che non venga distrutta". [3]Mentre stava sul monte degli Ulivi, seduto di fronte al tempio, Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea lo interrogavano in disparte: [4]"Di' a noi: quando accadranno queste cose e quale sarà il segno quando tutte queste cose staranno per compiersi?".

Le parole dei discepoli, affascinati dallo stupendo edificio del tempio, servono da introduzione all'ultimo discorso di Gesù che rivelerà il senso finale di tutta storia.  Il tempio era il luogo della presenza di quel Dio, che pur restando tra il suo popolo, era separato da esso, santo ed inaccessibile. Di esso non resterà pietra su pietra, poiché sarà sostituito dal nuovo tempio, la Chiesa, comunità dei discepoli, in cui tutti gli uomini, come pietre vive verranno edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito di Cristo. Il tempio materiale cessa di essere il posto privilegiato dell'incontro con Dio e nascerà il tempio vero perché "Dio è amore: chi sta nell'amore sta in Dio e Dio dimora in lui" (1Gv 4,16); infatti nel dono della sua vita Gesù instaurerà la nuova economia di Dio, che non si baserà più sulla legge e la separazione, ma sull'amore e la condivisione. In Gesù e nella sua vita, tutta incentrata sulla solidarietà con il Padre e coi fratelli, crolla la separazione tra Dio e l'umanità per cui ogni donna ed ogni uomo hanno accesso a Dio in Spirito e verità (Gv 4,24).
Ma vi è anche un significato storico più immediato: il tempio era anche simbolo del potere economico ideologico della classe privilegiata: ogni tempio tende di sua natura a diventare tale per una inclinazione naturale dell'uomo e d'altra parte la religione si è sempre prestata ad essere manipolata come copertura ideologica all'oppressione dell'uomo sull'uomo; non a torto Marx riteneva la religione "oppio dei popoli". Ora, con Gesù, al posto dell'economia del possesso subentra l'economia del dono (Mc 12,44), la logica del Vangelo che Gesù porta a pieno compimento sulla croce nel dono e nella condivisione della sua stessa vita. Il nuovo tempio che sostituirà la "spelonca di ladri" sarà la comunità che spezza il pane vivendo, nella concretezza della vita quotidiana, l'amore fraterno. Con l'inizio del regno di Dio si rivela la vera dignità dell'uomo: in questo tempo (oggi) i discepoli (leggasi noi, se vogliamo esserlo) dovranno saper cogliere il significato della storia concreta e quotidiana, e leggere bene nel suo travaglio presente il germinare del regno di Dio; così la storia dell'uomo, liberata dal senso di fallimento, diviene storia di salvezza che si va progressivamente realizzando nella giustizia, nella libertà e nell'amore in Gesù Cristo, unico senso della stessa storia.

La testimonianza

Mc 13,5-23:  

[5]Gesù si mise a dire loro: "Badate che nessuno vi inganni! [6]Molti verranno nel mio nome, dicendo: "Sono io", e trarranno molti in inganno.
[7]E quando sentirete di guerre e di rumori di guerre, non allarmatevi; deve avvenire, ma non è ancora la fine. [8]Si solleverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno terremoti in diversi luoghi e vi saranno carestie: questo è l'inizio dei dolori.
[9]Ma voi badate a voi stessi! Vi consegneranno ai sinedri, sarete percossi nelle sinagoghe e comparirete davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro. [10]Ma prima è necessario che il Vangelo sia proclamato a tutte le nazioni. [11]E quando vi condurranno via per consegnarvi, non preoccupatevi prima di quello che direte, ma dite ciò che in quell'ora vi sarà dato: perché non siete voi a parlare, ma lo Spirito Santo. [12]Il fratello farà morire il fratello, il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. [13]Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato.
[14]Quando vedrete l'abominio della devastazione presente là dove non è lecito - chi legge, comprenda -, allora quelli che si trovano nella Giudea fuggano sui monti, [15]chi si trova sulla terrazza non scenda e non entri a prendere qualcosa nella sua casa, [16]e chi si trova nel campo non torni indietro a prendersi il mantello. [17]In quei giorni guai alle donne incinte e a quelle che allattano! [18]Pregate che ciò non accada d'inverno; [19]perché quelli saranno giorni di tribolazione, quale non vi è mai stata dall'inizio della creazione, fatta da Dio, fino ad ora, e mai più vi sarà. [20]E se il Signore non abbreviasse quei giorni, nessuno si salverebbe. Ma, grazie agli eletti che egli si è scelto, ha abbreviato quei giorni.
[21]Allora, se qualcuno vi dirà: "Ecco, il Cristo è qui; ecco, è là", voi non credeteci; [22]perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno segni e prodigi per ingannare, se possibile, gli eletti. [23]Voi, però, fate attenzione! Io vi ho predetto tutto.

La struttura classica nei vangeli a cerchi concentrici A-B-C-B'-A' ci aiuta a fissare la nostra attenzione sull'elemento centrale. Gesù non parla di catastrofi cosmiche ma dei mali quotidiani che rendono faticosa l'esistenza dell'uomo; proprio lì il cristiano deve scoprire il senso del vangelo e vivere la propria fede in Gesù Signore, impegnandosi per la soluzione positiva della storia, ormai affidata alla responsabilità delle sue mani. I fatti narrati non si svolgono in un futuro lontano, questi mali (guerre, carestie, persecuzioni) provengono dalla logica del potere; tutto questo trova la massima espressione nella morte di Gesù, ma in essa si trova anche la soluzione positiva nell'intervento del Padre che si manifesta nella resurrezione quando tutto sembrava irrimediabilmente perduto. 

Gli ingannatori e i falsi profeti (Mc 13,5-6.21-23)
I ripetuti appelli alla vigilanza e all'attenzione contro gli ingannatori e gli allarmisti hanno lo scopo di indicare una strada perché la Chiesa non si lasci deviare dalla lotta nella quotidianità. Proprio nei momenti di smarrimento e di crisi, quando tutte le sicurezze vengono meno, è facile abdicare, proprio in nome della religione al proprio impegno storico ed evadere le proprie responsabilità. Non mancano falsi profeti, che hanno successo sull'onda dell'emotività religiosa del popolo: offrono false sicurezze dichiarandosi inviati da Dio. Vi sono anche gli allarmisti che pretendono di indicare dove è la salvezza, parlando continuamente di "Cristo qua, Cristo là" fuori dalle situazioni concrete. Il risultato comune a ciarlatani e allarmisti è quello di creare turbamento e di distogliere i credenti da una vita impegnata; si creano nei fedeli ansie e preoccupazioni che li disorientano e li allontanano dall'osservare la parola del Signore. Gli "eletti" (coloro che vogliono sinceramente mettersi alla sequela di Cristo) devono semplicemente aver fede nella parola di Gesù, che ci ha tracciato un preciso cammino da seguire; in tal modo il cristiano è esortato a non cadere in balia di facili credulonerie, bisogna prestare attenzione solo alla parola di Gesù, principio e compimento di tutta l'opera di Dio e della sua rivelazione.

Guerre terremoti, carestie e grande desolazione (Mc 13,7-8.14-20)
È la realtà concreta della storia di ogni giorno: guerre terremoti e carestie sono stati sempre intesi come flagello tremendo di Dio, che lascia ricadere sull'uomo la sua cattiveria. Tutto questo non ci deve spaventare perché è il frutto della logica di potere e di oppressione, una logica interna a questo mondo che sta ormai per finire con il giudizio di Dio, che abbatte il potente per liberare l'oppresso.
In questa situazione drammatica il cristiano vi deve scorgere "il principio dei dolori del parto" della nuova creazione che Dio sta compiendo (Rm 8,22) Perciò Il cristiano è nuovamente chiamato a stare attento, in modo da capire e da vivere il significato di questi avvenimenti, che, per quanto siano la trama tragica del tessuto della storia umana, non ne costituiscono il senso definitivo. In questi avvenimenti è da vedere non un campo di battaglia dal quale nessuno scampa, ma il luogo delle scelte, nel quale apparirà la liberazione di Dio per chi è fedele al Signore della storia.
Piccola nota su "L'abominio della desolazione", che in Daniele indica la profanazione del tempio ad opera di Antioco IV Epifane: qui forse Marco accenna a Caligola che nel 40 d.C. aveva compiuto un gesto simile ed intuisce la prossima distruzione del tempio che compirà Tito. Comunque per Marco è centrale l'evento Gesù, egli pare guardare alla morte di Cristo, vero tempio, che dona la vita per risorgere come nuovo tempio vivo, costituito dai discepoli stessi dopo il dono del suo Spirito.

Persecuzioni (Mc 13, 9-13)
In questi versetti ci si preoccupa della situazione particolare in cui vengono a trovarsi i cristiani a causa della lotta per la loro fede. Ora volgiamo lo sguardo al momento presente: il destino quotidiano di sempre della Chiesa è un destino di passione, se vuole testimoniare il Vangelo: ci saranno odi, lacerazioni, rottura di vincoli familiari, tradimenti e per questo è necessaria la perseveranza. Vigilanza, fedeltà alla Parola, testimonianza, fiducia nello Spirito e la perseveranza sono le caratteristiche della comunità. Il cristiano è chiamato a vivere senza evasioni il momento presente fino in fondo, assumendosi tutte le sue responsabilità. Nella storia segnata dal potere e dalla violenza il cristiano deve testimoniare il vangelo con vigilanza critica contro tutte le deviazioni religiose e sociali, con fedeltà nella lotta contro il male, con piena fiducia nello Spirito, con perseveranza fino alla fine. Allora il cristiano non è uno che aspetta la fine del mondo, è protagonista attivo nella storia e, pur facendosi carico della sua negatività, come Gesù, guarda avanti con fiducia e speranza, poiché il mondo non finisce nel fallimento, ma trova il suo compimento positivo nella venuta del Figlio dell'uomo, che costituisce il cuore del discorso escatologico, mostrando il senso finale della storia.

La venuta del Figlio dell'Uomo

Mc 13,24-27:  

[24]In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, [25]le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.
[26]Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. [27]Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo.

I versetti 24-25 esprimono la convinzione profonda della caducità dell'universo ("passa la scena di questo mondo" 1Cor 7,31); la morte di Gesù è il primo compimento, poiché in lui l'uomo vecchio è distrutto, si realizza il giudizio di Dio, si compie la catastrofe (inversione) del negativo. L'ultima parola non spetta al male, questo mondo morirà, ma per lasciar nascere "cieli nuovi e terra nuova". La croce è la prima venuta "con grande potenza e gloria", perché lì si ha la rivelazione piena di Dio come amore, che si dona a noi totalmente nell'uomo Gesù e compie il suo giudizio di salvezza. Il cristiano attende ancora la sua seconda venuta e non può essere una attesa passiva, ma si lega alla responsabilità fattiva, vigile e attenta del discepolo, che si mette alla sua sequela e compie lo stesso cammino di Gesù. Nasce una nuova visione della storia, che tende a Gesù Cristo Signore come al suo compimento, al suo futuro di pienezza, attraverso lotte e difficoltà presentate come le doglie del parto. In questa visione sta l'essenza della vita e della testimonianza del cristiano, che non evade dalla dura realtà presente, ma si fa totalmente carico di essa, sempre pronto a rendere conto della speranza accesa nel suo cuore (1Pt 3,15).
La croce è quindi il principio della creazione nuova nella quale vediamo la garanzia della riuscita finale, è il seme che muore per produrre frutto; questo principio ci presenta il cammino da compiere per giungere alla pienezza del destino di gloria che Dio ha riservato all'uomo ed in questo modo la storia diventa storia di salvezza, manifestazione della gloria di Dio partecipata a tutti gli uomini. La fine dei tempi non è incerta e angosciosa, poiché ha il volto di Cristo crocifisso e questo tempo presente ne è la realizzazione progressiva nella fedeltà alla sua parola. La nostra vita non è più chiusa su questa terra ed è aperta al cielo, come abbiamo visto nella liturgia di oggi, ascensione di Gesù: questa apertura non ci toglie le responsabilità terrestri, perché è proprio su questa terra e nel momento presente che si gioca la nostra vita futura, appesa tra ciò che è già avvenuto in Cristo e ciò che non è ancora avvenuto per noi, ma certamente avverrà. Così la storia ha un fine, una conclusione positiva, Dio ce l'ha manifestato in Gesù, indicandoci anche il cammino. Nel destino di Gesù si apre il senso nuovo e vero della storia e nella parola definitiva di Dio possiamo e dobbiamo discernere nel presente i segni del nostro futuro.

I segni dei tempi

Mc 13,28-33:  

[28]Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina. [29]Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. [30]In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. [31]Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. [32]Quanto però a quel giorno o a quell'ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre. [33]Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento.

Con la breve parabola del fico sul discernimento Gesù intende rispondere alla domanda dei discepoli posta all'inizio del capitolo. Questa domanda piena di angoscia e trepidazione la Chiesa se l'è posta fin dalle origini ed è domanda a cui senza discernimento è fin troppo facile dare risposte sbagliate o alienanti. La risposta sta solo nell'impegno di mettersi alla sequela di Gesù nella sua vita terrena.
Come quando l'albero si fa tenero e germoglia, tutti sanno che è vicina l'estate, così i discepoli, vedendo ciò che Gesù ha operato e detto, devono essere in grado di capire che con lui ormai è entrato, o meglio ha fatto irruzione il regno di Dio; l'albero verdeggiante del fico indica che l'inverno è passato e che la nuova vita irrompe, così i discepoli di tutti i tempi, alla sequela del loro Maestro, devono scorgere ormai la prossimità del regno. Istruiti da questo, i discepoli devono capire che, nelle pene quotidiane e nelle durezze della lotta per il vangelo, è ormai presente il regno di Dio. Alla domanda "quando accadrà tutto questo?", Gesù non risponde pur assicurando che tutti questi fatti accadranno in questa generazione. Questo ha un duplice significato, in primo luogo è l'affermazione che ciò è avvenuto nella vita, nella morte e resurrezione di Gesù, in secondo luogo indica come tutto questo possa accadere ed avviene nella vita e nella morte di ognuno dei suoi discepoli che segue Gesù. Il discepolo non deve sapere altro, sa cosa occorre fare e questo gli basta.
Il quando rimane un mistero, forse perché è condizionato dall'incontro di due libertà: la libertà dell'uomo che sceglie di mettersi o meno alla sequela di Gesù, e la libertà del Padre, che può affrettare o meno il suo intervento; per questo bisogna essere sempre vigili e attenti. Questo brano ha l'intenzione di richiamare la Chiesa all'impegno e di farle vivere il presente come il momento decisivo della salvezza, nell'incontro e nella fedeltà a colui che è venuto, viene e verrà.

"Vegliate"

Mc 13,34-37:  

[34]È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. [35]Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; [36]fate in modo che, giungendo all'improvviso, non vi trovi addormentati. [37]Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!".

In queste poche righe per ben tre volte si ripete il verbo "vegliare"; con queste ripetizioni Marco indica alla comunità quale deve essere l'atteggiamento di fronte al Signore che certamente viene, per cui il ritorno del Signore non è un avvenimento che essa deve subire passivamente, ma qualcosa che incide in modo determinante sul suo modo di agire oggi. Marco non dà particolari circa gli eventi futuri, ma richiama a una vigilanza attenta ed ha una fedeltà responsabile nell'assenza del Signore. Non si può aspettare con le mani in mano, perché la storia della salvezza, pienamente realizzata in Cristo Gesù, attende ancora di essere realizzata in noi. Così la nostra vita è caratterizzata da una tensione vigile, responsabile e attiva, verso un compimento che per noi non è ancora avvenuto, ma del quale abbiamo in Cristo sia la certezza che l'indicazione dei mezzi. In questo tempo la prima tentazione è la noia e la stanchezza: ecco l'appello alla vigilanza, poiché Gesù torna per chiederci conto della nostra fedeltà in ogni momento. I riferimenti alla passione (sera fa riferimento al tradimento di Giuda (14,17), a mezzanotte quando fu giudicato (14,53-64), al canto del gallo quando Pietro lo rinnegò (14,72) e al mattino quando fu condannato (15,1-15)) non sono casuali perché la passione rappresenta per Marco il compimento del discorso escatologico: Gesù sulla croce manifesterà la gloria di Dio che è amore; la sua venuta è vicina perché in realtà viene in qualsiasi momento, viene se noi non cadiamo nel sonno dello smarrimento e della disperazione, viene se sappiamo vegliare nella speranza operosa, cogliendo nei segni dei tempi la sua presenza. La seconda tentazione è opposta: uno può aspettare così intensamente, lasciandosi assorbire talmente dal futuro da dimenticare il significato e il valore del tempo presente, per questo la vigilanza viene posta in stretta connessione con la responsabilità fedele ed operosa. Il tempo dell'attesa vigile diventa allora il tempo dell'azione, in cui al discepolo è stato affidato lo stesso potere di Cristo, a ciascuno secondo la propria mansione; in questo odo il tempo vuoto dell'attesa si riempie di contenuto, e diventa storia concreta, che l'uomo deve ormai gestire in prima persona, in totale responsabilità e fedeltà alla parola che il Signore ci ha lasciato. Allora il tema del discorso escatologico non riguarda la fine, ma il fine, cioè la destinazione del nostro cammino; allora la domanda sul quando e su quali segni trova la sua piena risposta pratica in un atteggiamento di sequela vigile e responsabile, che ci porterà ad incontrare Dio in Gesù crocifisso, il Signore della storia.