20 ottobre 2019
Con Marco alla scoperta di Gesù
Sedicesima tappa: Cap. 14, 1-16

Con il capitolo 11, visto a febbraio, si iniziava la settimana santa, con l'ingresso di Gesù a Gerusalemme, la cacciata dei mercati dal tempio e vari incontri/scontri di Gesù con i capi dei sacerdoti, i dottori della legge e i farisei, arrivando, col capitolo 13, visto a giugno, agli ultimi insegnamenti di Gesù ai discepoli.
Quei tre capitoli, 11 12 e 13, erano preparatori ai racconti della passione di Gesù, che occupa i capitoli 14 e 15, molto densi e che costituiscono il nucleo fondamentale del Vangelo di Marco e di tutta la primitiva tradizione cristiana. Questo perché la passione e morte di Gesù è stato l'evento più sconcertante che interrogava i suoi discepoli, anche e forse soprattutto dopo la sua resurrezione, e quindi l'evento di cui si era fatto, da subito, un racconto ben strutturato e dettagliato, attorno al quale le altre vicende tramandate sono state aggiunte da Marco e rimesse in ordine in seguito. Si può, in un certo senso, dire che il Vangelo èla storia della passione di Gesù, preceduta da una lunga introduzione”.

Oggi vedremo una parte abbastanza piccola del capitolo 14, e questo mi dà modo di dire qualche parola in più di introduzione alla passione. Solo qualche parola, perché i teologi invece spendono pagine su pagine.
Intanto Marco sottolinea come la morte di Gesù sia la conseguenza e conclusione del suo ministero in mezzo alla gente: Gesù non è che muore, Gesù viene ucciso! E viene ucciso perché sovverte i valori di chi detiene il potere: porta avanti la liberazione dell'uomo da ogni forma di schiavitù, proclama la figliolanza divina, dice che chi vuol essere il primo deve farsi servo di tutti, proclama l'inutilità del tempio e denuncia il tradimento della casta sacerdotale alla sua missione di portare il popolo a Dio.
Ma la cosa più importante, anzi fondamentale per noi, è che Gesù va incontro alla sua uccisione consapevolmente, come gesto finale d'amore verso l'umanità. Sul libro dei Gesuiti di Villapizzone si dice che il racconto della passione non andrebbe commentato ma solo contemplato, pregato, vissuto. Dovremmo cioè contemplare la passione come il gesto d'amore più grande del Figlio di Dio. Qualunque re, qualunque dio, sarebbe sceso dalla croce, potendo, ma il nostro Dio no, non scende, sottolinea Ermes Ronchi, perché il Dio di Gesù condivide la tragedia umana e si fa tutt'uno con tutti i crocifissi della Terra, per poi tirarli fuori con sé nella mattina di Pasqua. È la passione più che la resurrezione, per Marco, che rivela il vero volto di Dio, il Dio diverso da come lo si era sempre immaginato, un Dio che non è solamente misericordioso, ma che è Amore totale per l'uomo, un amore così grande da dare la vita per noi.
Non voglio togliere niente a chi presenterà la fine del capitolo 15, ma è importante ricordare già ora l'esclamazione del centurione alla morte di Gesù: “Veramente quest'uomo era Figlio di Dio!”: il centurione riconosce la divinità di Gesù dalla sua morte, non dalla sua resurrezione che ancora non c'è e non è neppure immaginabile, specie per lui. Marco cioè sottolinea come siano la passione e morte di Gesù gli eventi che rivelano Dio, il Dio delle manifestazioni “segrete”, il Dio che è sempre il contrario di quello che potevamo immaginare: quello che merita di essere osannato si fa servo di tutti, quello che viene giudicato dagli uomini è il giudice supremo, quello che non scende dalla croce è il salvatore del mondo, il reietto incoronato di spine per deriderlo è il vero re.

È quindi con questo spirito che iniziamo a vedere i primi 16 versetti del capitolo 14, che possiamo dividere in 3 gruppetti:

  • il complotto contro Gesù (vv. 1-2);
  • l'unzione di Gesù a Betania e il tradimento di Giuda (vv. 3-11);
  • la preparazione della cena (vv 12-16).
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Complotto contro Gesù (Mc. 14, 1-2)

[1] Mancavano intanto due giorni alla Pasqua e agli Azzimi e i sommi sacerdoti e gli scribi cercavano il modo di impadronirsi di lui con inganno, per ucciderlo. [2] Dicevano infatti: “Non durante la festa, perché non succeda un tumulto di popolo”.


Due soli versetti, ma che meritano qualche osservazione.

Prima di tutto il comportamento malvagio dei sommi sacerdoti e degli scribi (i “teologi”, diremmo oggi), che, per mantenere i loro privilegi, cercano di uccidere l'unico buono e giusto. Cercano di “impadronirsi” di lui, di quel Gesù che invece si è dato tutto a tutti. Si attaccano alla legge in modo distorto, per mantenere la separazione di Israele dagli altri popoli e, all'interno del popolo di Israele, la separazione di quelli che contano dalla gente semplice. La predicazione di Gesù li mette in discussione e mette a rischio il loro ruolo e il loro potere. Per questo Gesù deve essere ucciso, e avendo questo in testa soffocano in sé stessi la voce dello Spirito, si precludono la possibilità di “vedere” i grandi segni che Gesù ha compiuto. E, per giunta, complottano non apertamente, ma con l'inganno, “perché non succeda un tumulto di popolo”. La gente comune infatti stava dalla parte di Gesù che proclamava la liberazione dei poveri, anche se poi, un paio di giorni dopo, non si ribelleranno alla condanna di Gesù; resteranno zitti o addirittura appoggeranno questa condanna. Anche oggi, come allora, il male manipola le notizie, gestisce le informazioni, falsifica la realtà e la maggioranza non se ne accorge. Uno come Gesù andava eliminato ad ogni costo, ma trovando le dovute giustificazioni (Gesù sarà condannato come bestemmiatore, perché si faceva uguale a Dio!). Ancora oggi il potere, un certo potere, fa lo stesso con gli oppositori e con quelli che dicono le cose come stanno, inventando giustificazioni o facendo passare le morti come incidenti o tentativi di rapina, come testimoniano i casi di Ilaria Alpi, di Giulio Regeni, di giornalisti scomodi di qualunque nazionalità.

E poi, teologicamente ancora più importante, l'accostamento tra l'imminenza della pasqua ebraica e il complotto per uccidere Gesù mette in risalto la tensione tra il vecchio mondo religioso giudaico e il nuovo regno di Dio che sta per essere instaurato con la morte e risurrezione di Gesù. È lui l'agnello immolato. È con la morte e la resurrezione di Cristo che si inaugura la nuova Pasqua, il nuovo Esodo, il passaggio dalla schiavitù della legge alla libertà della terra promessa di una vita da figli di Dio! Forse sembra che un discorso così voli troppo alto, ma fa veramente tanta, tanta differenza tra il vivere schiacciati dalla paura della punizione e della condanna e il vivere nella fiducia e nella gioia di essere amati da un Dio che dà la sua vita per noi!

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Fra i versetti 1-2 e i versetti 10-11, che sono strettamente legati tra loro per l'argomento e lo stile, Marco inserisce l'episodio di Betania che leggiamo ora, assieme ai due versetti sul tradimento di Giuda.

L'unzione di Gesù a Betania e il tradimento di Giuda (Mc. 14, 3-11)

[3] Gesù si trovava a Betania nella casa di Simone il lebbroso. Mentre stava a mensa, giunse una donna con un vasetto di alabastro, pieno di olio profumato di nardo genuino di gran valore; ruppe il vasetto di alabastro e versò l'unguento sul suo capo. [4] Ci furono alcuni che si sdegnarono fra di loro: “Perché tutto questo spreco di olio profumato? [5] Si poteva benissimo vendere quest'olio a più di trecento denari e darli ai poveri!” Ed erano infuriati contro di lei.
[6] Allora Gesù disse: “Lasciatela stare; perché le date fastidio? Ella ha compiuto verso di me un'opera buona; [7] i poveri infatti li avete sempre con voi e potete beneficarli quando volete, me invece non mi avete sempre. [8] Essa ha fatto ciò ch'era in suo potere, ungendo in anticipo il mio corpo per la sepoltura. [9] In verità vi dico che dovunque, in tutto il mondo, sarà annunziato il vangelo, si racconterà pure in suo ricordo ciò che ella ha fatto”.

[10] Allora Giuda Iscariota, uno dei Dodici, si recò dai sommi sacerdoti, per consegnare loro Gesù.  [11] Quelli all'udirlo si rallegrarono e promisero di dargli denaro. Ed egli cercava l'occasione opportuna per consegnarlo.

Questo episodio, raccontato anche da Matteo, esattamente nello stesso contesto, è reso da Marco in modo molto vivido, anche se con poche parole. Il riferimento preciso a Simone, il lebbroso, fa pensare che fosse una persona nota, un lebbroso che Gesù aveva guarito. La sequenza di parole scelte per l'unzione (“vasetto di alabastro”, “nardo genuino”, “di gran valore”) sottolineano la preziosità del dono. Della donna invece non si dice niente su chi fosse, ma in fondo non ha importanza, perché quello che conta è il significato profondo del gesto.
Da una parte c'è da notare il contrasto tra il gesto amorevole, pieno di tenerezza, di questa donna e la malvagità di sommi sacerdoti e scribi che tramano per  “impadronirsi” di Gesù e ucciderlo e il vile tradimento di Giuda, ma anche il contrasto con l'insensibilità di alcuni dei discepoli che “si sdegnano” per lo “spreco” di olio profumato di grande valore.

Dall'altra parte è da notare il profondo significato teologico del gesto. Con l'olio profumato si consacravano i sacerdoti, i re, i profeti, si curavano i malati e si ungevano i cadaveri: la donna col suo gesto manifesta pubblicamente in Gesù il re, il sacerdote, il profeta e la vittima. Quegli altri lo condanneranno come un malfattore e un bestemmiatore, mentre lei lo riconosce e lo dichiara come il re dell'universo! E lo “scandalo” inaudito è che sia una donna a compiere l'unzione messianica, la prima e l'unica sulla Terra! Dio Padre ha proclamato Gesù Messia dal cielo e questa donna ha il privilegio di consacrarlo con l'unzione sacra!

Ma sul gesto d'amore della donna ci sarebbe da riflettere anche in termini più semplicemente umani. Questa donna ha intuito che le cose si mettevano male, ma non può fare niente, non può in nessun modo cambiare il corso che gli avvenimenti hanno preso. Non può neppure alleviare le delusioni e il senso di fallimento che Gesù sicuramente vive. Può solo amarlo. Quando non si può fare più niente, commenta Marco Pedron, possiamo sempre amare, stare vicini, stare a fianco, prenderci cura, stare silenziosamente presenti. Quando più nulla è possibile fare, non ci resta che amare. E questo è tutto il nostro potere.

All'opposto della logica del dono c'è la logica dello scambio. Anche i discepoli non sembra che ragionino con la logica del dono: pensano ai soldi che si potevano ricavare dalla vendita del profumo, anche se per darli in beneficenza. Non sanno capire il bello del dono gratuito. Anche la religione stessa a volte diventa una ragioniera nella logica dello scambio: colpa/pena, merito/premio. E invece l'unico modo di essere “immagine di Dio” è proprio vivere nella logica del dono. Quanto è importante vivere gesti d'amore, quelli “superflui”, quelli “inutili”, che non hanno una rendita visibile, nemmeno sul piano spirituale, come il silenzio, la preghiera di contemplazione,  l'adorazione, ma che ci rendono più vicini all'immagine di un Dio che si dona gratuitamente, tutto!

Giuda è dalla parte opposta. Lui si aspettava un Messia liberatore, e invece non è così. A cosa serve, allora? Nella sua logica Gesù aveva “tradito” la causa, era un fallito, non serviva più a niente e doveva essere tolto di mezzo. Giuda semplicemente non aveva capito niente di tutto il messaggio di Gesù. Era rimasto intrappolato nei suoi schemi mentali e non aveva saputo “vedere dentro”. I Magi e i pastori erano venuti a trovare il bambino e lo avevano visto dentro. Lo avevano contemplato e avevano creduto. Anche noi dobbiamo stare attenti al rischio di non saper vedere Gesù “dentro”, di restare infastiditi dallo spreco del profumo pregiato, di farci intrappolare da una logica di utilità, di scambio. Se non sappiamo contemplare Gesù in silenzio, rischiamo di perderci la possibilità di dare una nuova vita al nostro spirito, quella della comunione col Cristo.

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Arriviamo così agli ultimi 5 versetti che vediamo oggi, quelli della preparazione della cena pasquale.

Preparazione della cena pasquale (Mc. 14, 12-16)

[12] Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: “Dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la Pasqua?”. [13] Allora mandò due dei suoi discepoli dicendo loro: “Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d'acqua; seguitelo  [14] e là dove entrerà dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov'è la mia stanza, perché io vi possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. [25] Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala con i tappeti, già pronta; là preparate per noi”. [26] I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono per la Pasqua.

Vorrei lasciar perdere qui i vari commenti sui dettagli del brano, l'uomo che porta una brocca d'acqua, “il Maestro dice”, “al piano superiore”, la sala che è già pronta ma in cui i discepoli devono preparare, ecc. Li trovo interessanti dal punto di vista intellettuale, ma secondari rispetto al messaggio importante per noi.

Il versetto 12 rimarca non solo che siamo alla vigilia della festa della Pasqua per gli Ebrei (poi, in una prossima tappa, Claudio vi parlerà della questione della data della Pasqua ebraica, se cadeva di venerdì, come qui appare, o di sabato, come dice Giovanni, il quale infatti, parlando dell'ultima cena, non fa alcun riferimento al fatto che si volesse celebrare la Pasqua), ma con le parole “quando si immolava la Pasqua” si fa un riferimento chiaro al sacrificio dell'agnello. Nel libro dell'Esodo, ricorderete, si racconta delle istruzioni date dal Signore a Mosè, che il 10 di quel mese ogni famiglia avrebbe cenato con carne di agnello insieme a pane azzimo, che il sangue dell'agnello doveva essere usato per bagnare gli stipiti delle porte, così che il Signore sapesse dove abitava il suo popolo e lo risparmiasse dall'uccisione dei primogeniti degli egiziani, i quali avrebbero poi fatto partire gli Israeliti. Nelle istruzioni date a Mosè c'era anche quella di commemorare questo evento, con gli azzimi e l'agnello, di generazione in generazione: “Allora i vostri figli vi chiederanno: Che significa questo atto di culto? Voi direte loro: E' il sacrificio della pasqua per il Signore, il quale è passato oltre le case degli Israeliti in Egitto, quando colpì l'Egitto e salvò le nostre case»” (Es 12, 26-27). Col tempo, l'aspetto del sacrificio dell'agnello era passato in secondo piano, ma rimaneva forte il significato di memoriale della liberazione del popolo dalla schiavitù subita in Egitto.

Il messaggio, come ho già accennato in precedenza, è in ogni caso chiaro: è Gesù il nuovo e vero “agnello di Dio”, il quale oltretutto va incontro alla sua morte consapevolmente (e questo è evidente da molti brani visti nelle tappe già percorse e da quelli che ancora vedremo nelle prossime tappe), ed è con la sua morte, con l'offerta che lui fa di sé stesso, che si compie la vera Pasqua, la liberazione di ogni donna e uomo da ogni cosa che li schiaccia, li opprime. Liberazione da ogni male che è dentro di noi, il peccato, l'egoismo, l'incapacità di vedere, la paura, il rancore, l'odio, ma anche liberazione da ogni forma di oppressione, di discriminazione, di schiavitù. Il cristiano, celebrando la Pasqua, è chiamato a non rassegnarsi, a non restare passivo, davanti al male, davanti alla cattiveria, davanti all'oppressione, ma a lottare quotidianamente dalla parte del Signore in questa opera di liberazione totale dell'uomo. Se ci sembra difficile, problematico, non dobbiamo preoccuparci: lui è con noi ogni giorno!