8 febbraio 2020
Con Marco alla scoperta di Gesù
Diciottesima tappa: Cap. 14, 32-72

Stiamo entrando stasera nel vivo della Passione di Gesù. Il mese scorso abbiamo visto, con Claudio, l'ultima cena di Gesù con i suoi, e in particolare l'istituzione dell'eucarestia, contornata dall'annuncio del tradimento di Giuda e del rinnegamento di Pietro. Claudio si è soffermato a lungo ad esaminare il senso più profondo dell'eucarestia e le sue implicazioni sul nostro essere cristiani, una riflessione che sarebbe bene rimeditare di tanto in tanto.

Anche sui due annunci di Gesù, riguardanti i due “tradimenti”, Claudio si è soffermato a lungo, esaminando attentamente gli aspetti interiori e le differenze tra i due casi: in uno la contrapposizione tra la logica dello scambio, del vendere/comprare, tipica del mondo e di Giuda, e quella di Gesù del dono e dell'amore, e nell'altro caso la distanza abissale tra la debolezza del discepolo (e la sua presunzione di autosufficienza) e l'amore sconfinato di Gesù. In entrambi i casi Claudio ci ha proposto di porci le domande su quanto anche noi possiamo rientrare o no nella logica di Giuda o quanto ci sentiamo lontani dalla debolezza di Pietro. Questi due annunci stasera li vedremo realizzarsi, e le domande poste da Claudio tornano perfettamente attuali.

Negli ultimi versetti del brano visto la volta scorsa eravamo rimasti al momento in cui “dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi”. La tappa di oggi descrive, nei 41 versetti che concludono il capitolo 14, l'ultima notte di Gesù prima della sua morte. Questa include:
  • l'agonia di Gesù al Getsemani (vv. 32-42);
  • l'arresto di Gesù da parte della folla armata accompagnata da Giuda (vv 43-52);
  • il (falso) processo di Gesù davanti al sinedrio, in cui viene sentenziato che “era reo di morte” (vv 53-65);
  • il rinnegamento di Pietro (vv 66-72).

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L'agonia al Getsemani (Mc. 14, 32-42)

[32] Giunsero intanto a un podere chiamato Getsèmani, ed egli disse ai suoi discepoli: «Sedetevi qui, mentre io prego». [33] Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. [34] Gesù disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate». [35] Poi, andato un po' innanzi, si gettò a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse da lui quell'ora. [36] E diceva: «Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu». [37] Tornato indietro, li trovò addormentati e disse a Pietro: «Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare un'ora sola? [38] Vegliate e pregate per non entrare in tentazione; lo spirito è pronto, ma la carne è debole». [39] Allontanatosi di nuovo, pregava dicendo le medesime parole. [40] Ritornato li trovò addormentati, perché i loro occhi si erano appesantiti, e non sapevano che cosa rispondergli.
[41] Venne la terza volta e disse loro: «Dormite ormai e riposatevi! Basta, è venuta l'ora: ecco, il Figlio dell'uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori. [42] Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino».


Marco racconta la vicenda in un modo particolare, direi quasi concitato, con una serie di contrapposizioni, ad esempio “dormite”-“vegliate”, “quello che voglio io”-”quello che vuoi tu”, “dormite”–“alzatevi”, ma anche la contrapposizione tra il sentire paura e angoscia e la determinazione con cui Gesù aderisce alla volontà del Padre, nonché la contrapposizione, pure essa forte, tra Gesù che veglia e prega e i discepoli, in particolare i tre scelti per stare più vicini a Gesù, che cedono alla sonnolenza. E poi c'è anche la ripetizione dei gesti e delle parole di Gesù, sia nella sua preghiera al Padre che verso i discepoli, tutto che contribuisce a evidenziare la drammaticità del momento. Gesù è consapevole del suo imminente arresto, mentre i discepoli ancora non hanno preso sul serio le parole che Gesù ha detto nella cena appena conclusa.

Gesù “cominciò a sentire paura e angoscia”: Marco con queste parole sottolinea fortemente l'aspetto umano di Gesù, un uomo che, pur consapevole del proprio essere il Figlio di Dio, non è per niente indifferente alla prospettiva della sofferenza e della morte. Gesù non è dipinto come l'eroe che affronta la morte a cuor leggero, né come il martire che si immola per un ideale. Gesù è  pienamente uomo, uno che ha creduto fortemente nella vita, l'ha amata e vissuta con passione, mostrandone il senso più grande nell'amore e nella solidarietà.

Confida ai tre discepoli prescelti: “la mia anima è triste fino alla morte”. Questa frase ci fa pensare che Gesù viva in questo momento un profondo senso di fallimento. Anche se sa che ci sarà la risurrezione, anche se sa che il male non può averla vinta, come uomo si sente schiacciato dal male che ora sembra prevalere. Lui ha predicato amore e perdono e riceve cattiveria e violenza. Il potere sta per schiacciarlo e i “suoi” stanno per abbandonarlo. Tutto sembra crollare, tutta la sua vita sembra inutile, buttata via.

Gesù ha paura ed è triste da morire, ma si affida totalmente a Dio, che chiama abbà, babbo, papà, in un rapporto che non è quindi solo di obbedienza, ma di grande intimità col Padre. Tra l'altro gli esegeti notano che nessun ebreo si sarebbe mai rivolto a Dio con quel termine così familiare. Gesù si affida, si fida, e quindi accetta, sceglie, sceglie di andare fino in fondo. “Basta, è venuta l'ora” sono le parole con cui conclude il tempo del suo colloquio col Padre, parole con cui non si indica solo l'ora della condanna e della morte, ma anche e soprattutto l'ora della sua manifestazione come il Figlio di Dio.

I discepoli, è inutile dirlo, non ci fanno una bella figura. Non sono angosciati, non stanno vicini a Gesù a dirgli “dai, siamo con te!”; è chiaro che non hanno preso troppo sul serio le parole di Gesù di pochi giorni prima quando, salendo a Gerusalemme, Gesù aveva detto: "Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi: lo condanneranno a morte, lo consegneranno ai pagani, lo scherniranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno" (Mc 10, 33-34). Avranno pensato che Gesù esagerasse di brutto il contrasto che aveva col potere, che quell'evento fosse impossibile... “figuriamoci se ti ammazzano... proprio te”.

Gesù li esorta a vegliare, ad essere attenti a capire cosa succede per non cedere alla “tentazione”. Forse Gesù si riferiva alla tentazione di mollare tutto, di abbandonare il cammino iniziato con Gesù, di non restare fedeli al disegno di Dio e alla chiamata di Gesù ad essere “pescatori di uomini” (Mc 1, 17), di vanificare la raccomandazione “Ma prima è necessario che il vangelo sia proclamato a tutte le genti” (Mc 13, 10). Ed è chiaro che questa esortazione Marco la gira ai suoi lettori e a quelli della sua comunità: guardate al Signore, guardate come ha vissuto i suoi ultimi momenti!

I discepoli però proprio non ce la fanno, ma Gesù continua a coinvolgerli fino all'ultimo e si rivolge loro in modo perentorio: “Alzatevi, andiamo!”, in modo che siano testimoni delle vicende e possano, un domani, portare questa testimonianza a tutto il mondo.

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I fatti ora precipitano, con l'arrivo della folla armata guidata da Giuda.

L'arresto di Gesù (Mc. 14, 43-52)

[43] E subito, mentre ancora parlava, arrivò Giuda, uno dei Dodici, e con lui una folla con spade e bastoni mandata dai sommi sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani. [44] Chi lo tradiva aveva dato loro questo segno: «Quello che bacerò, è lui; arrestatelo e conducetelo via sotto buona scorta». [45] Allora gli si accostò dicendo: «Rabbì» e lo baciò. [46] Essi gli misero addosso le mani e lo arrestarono. [47] Uno dei presenti, estratta la spada, colpì il servo del sommo sacerdote e gli recise l'orecchio. [48] Allora Gesù disse loro: «Come contro un brigante, con spade e bastoni siete venuti a prendermi. [49] Ogni giorno ero in mezzo a voi a insegnare nel tempio, e non mi avete arrestato. Si adempiano dunque le Scritture!».
[50] Tutti allora, abbandonandolo, fuggirono. [51] Un giovanetto però lo seguiva, rivestito soltanto di un lenzuolo, e lo fermarono. [52] Ma egli, lasciato il lenzuolo, fuggì via nudo.

Nella prima parte di questo brano la figura messa in rilievo è quella di Giuda, “uno dei Dodici”, espressione questa che fa rilevare la gravità del tradimento: era uno di loro, ed è proprio lui che consegna Gesù alla folla armata! Ed il segno del bacio rende ancora più ripugnante il suo tradimento: lo chiama Rabbì, maestro e probabilmente lo abbraccia nel momento di baciarlo. Ed invece il suo cuore è lontano mille miglia: Giuda non aveva capito per niente che tipo di messia era Gesù, aveva sperato in un messia che sollevasse il popolo contro i Romani, e invece questo si era dimostrato uno che faceva solo chiacchiere. Non serviva alla causa ed era meglio che fosse eliminato! Comunque, anche noi cristiani di oggi dobbiamo stare attenti a non tradire Gesù in maniera più subdola, mettendoci in fondo nella stessa logica di Giuda dello scambio interessato, come diceva Claudio il mese scorso. Lo tradiamo infatti ogni volta che stravolgiamo la sua essenza di Dio che si manifesta nel dono di sé e invece lo rappresentiamo re potente e glorioso, e ancora peggio quando indossiamo la fede come un vestito bello e ce ne serviamo per i nostri interessi, dimenticando l'amore per i poveri e gli oppressi del mondo.

La folla armata, “mandata dai sommi sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani”, non era certo la stessa folla che “lo ascoltava volentieri” (Mc 12, 37) e di cui le categorie di persone menzionate avevano paura, come si racconta in un episodio di pochi giorni precedente, quello in cui Gesù aveva raccontato loro la parabola dei vignaioli omicidi: “Allora cercarono di catturarlo, ma ebbero paura della folla; avevano capito infatti che aveva detto quella parabola contro di loro” (Mc 12, 12). Ed è evidentemente per questo che lo vengono a prendere di notte! Questo risponde quindi anche alle osservazioni di Gesù “Come contro un brigante, con spade e bastoni siete venuti a prendermi. Ogni giorno ero in mezzo a voi a insegnare nel tempio, e non mi avete arrestato”. Certo! Dovevano arrestarlo senza farsi vedere dalla gente semplice che era entusiasta delle parole di libertà e di speranza che pronunciava Gesù. Dovevano condannarlo alla svelta e farlo passare per un brigante, magari per andare (e mandare persone dei loro) poi a dire in giro: “vedete che farabutto era quel Gesù di Nazareth!”.

Gesù ora, pur debole e indifeso davanti a questa folla minacciosa che sbuca da ogni angolo del giardino nel buio della notte, ha ritrovato una sua profonda tranquillità interiore, che gli permette di rinfacciare a Giuda e ai capi del popolo la loro vigliaccheria. Gli mettono le mani addosso, ovvero, per essere più precisi, “si impossessano” di lui. È la logica del possesso, del potere, della violenza, in aperto contrasto con la logica del dono, del servizio e dell'amore portata avanti da Gesù.

Marco poi descrive una reazione immediata dei suoi discepoli: “Uno dei presenti, estratta la spada, colpì il servo del sommo sacerdote e gli recise l'orecchio”. Il termine “orecchio” è al diminutivo, nel testo, a indicare probabilmente il lobo inferiore, quasi a minimizzare e sottolineare l'inutilità di questo tentativo di difesa, che mostra comunque coraggio e solidarietà. Marco non dice chi sia stato a farlo, ma lo dice Giovanni, che spesso è preciso nei dettagli: “Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori e colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l'orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco.” (Gv 18, 10). Questo gesto si rivela comunque subito inutile e “tutti allora, abbandonandolo, fuggirono”. I commentatori dicono magari che i discepoli scappano perché “non seguono il pensiero di Dio ma quello dell'uomo”, ma a me sembra più che normale fuggire davanti alla pratica certezza di lasciarci le penne! Il risultato finale è comunque che Gesù resta completamente da solo!

Gli ultimi due versetti raccontano un episodio insignificante rispetto alle vicende della passione di Gesù, quello del ragazzetto che, mentre tutti i discepoli fuggono, si mette a seguire il corteo che porta via Gesù, vestito soltanto di un lenzuolo. Qualcuno lo ferma ma lui lascia il lenzuolo nelle sue mani e scappa via nudo. Alcuni commentatori cercano di dare a questi versetti un significato simbolico, ad esempio che il giovane sia simbolo di Gesù stesso che lascia “il suo involucro nelle mani dei violenti e continua la sua vita sempre giovane”. Mi pare anche troppo azzardato attribuire a Marco un tale groviglio mentale, mentre sembra molto più plausibile l'interpretazione secondo cui il ragazzetto fosse lo stesso Marco, forse figlio dei proprietari dell'orto degli ulivi. Lui c'era quel giorno. Non aveva ancora conosciuto Gesù, non aveva capito niente, ma quell'episodio gli è rimasto impresso e negli anni dopo diventerà discepolo di Paolo e poi di Pietro, del quale raccoglierà le testimonianze più dirette.

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Si arriva così al falso processo di Gesù davanti al sinedrio, falso perché la condanna a morte era già decisa a priori e bisognava trovare una qualche testimonianza per renderla giustificata in qualche modo.

Il processo di Gesù davanti al sinedrio (Mc. 14, 53-65)

[53] Allora condussero Gesù dal sommo sacerdote, e là si riunirono tutti i capi dei sacerdoti, gli anziani e gli scribi. [54] Pietro lo aveva seguito da lontano, fin dentro il cortile del sommo sacerdote; e se ne stava seduto tra i servi, scaldandosi al fuoco. [55] Intanto i capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una testimonianza contro Gesù per metterlo a morte, ma non la trovavano. [56] Molti infatti attestavano il falso contro di lui e così le loro testimonianze non erano concordi. [57] Ma alcuni si alzarono per testimoniare il falso contro di lui, dicendo: [58] «Noi lo abbiamo udito mentre diceva: Io distruggerò questo tempio fatto da mani d'uomo e in tre giorni ne edificherò un altro non fatto da mani d'uomo». [59] Ma nemmeno su questo punto la loro testimonianza era concorde. [60] Allora il sommo sacerdote, levatosi in mezzo all'assemblea, interrogò Gesù dicendo: «Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?». [61] Ma egli taceva e non rispondeva nulla. Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: «Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?». [62] Gesù rispose: «Io lo sono!
E vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo».
[63] Allora il sommo sacerdote, stracciandosi le vesti, disse: «Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? [64] Avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». Tutti sentenziarono che era reo di morte.
[65] Allora alcuni cominciarono a sputargli addosso, a coprirgli il volto, a schiaffeggiarlo e a dirgli: «Indovina». I servi intanto lo percuotevano.


Condussero Gesù dal sommo sacerdote”. Ormai Gesù non si muove più in giro per propria iniziativa, ma i suoi nemici se ne sono impadroniti e lui viene condotto a forza di qua e di là. È ancora buio, ma i capi del popolo, sia quelli religiosi (“sacerdoti” e “scribi”, i teologi del tempo) che politici (gli “anziani”) vengono chiamati in fretta per questo che Marco descrive come un vero e proprio processo, e non come un semplice interrogatorio, anche se un processo “farsa”. Bisognava trovare “una testimonianza contro Gesù per metterlo a morte”, e bisognava farlo in fretta. La falsità del processo è esaltata dal tentativo di una correttezza formale, quella della ricerca di due testimonianze concordanti, e dal clima di concitazione che regna. Non si riesce a trovare testimonianze concordi neppure sulla dichiarazione di Gesù riguardo alla distruzione e ricostruzione del tempio, e in effetti qualcosa di simile l'ho trovato solo nel Vangelo di Giovanni al Cap. 2, v.19, «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere», in cui però Gesù non dichiara di voler distruggere il tempio, ma di farlo risorgere, con riferimento al suo corpo, il nuovo e vero tempio in cui è presente Dio.

Deve quindi intervenire solennemente il sommo sacerdote per interrogare Gesù, invitandolo, in modo subdolo, a discolparsi dalle accuse già trovate discordanti. Gesù tace. Non ha niente di cui discolparsi; la sua logica è totalmente incompatibile con quella dei suoi avversari. Solo di fronte alla domanda diretta «Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?» Gesù non può tacere. Ed è questo il momento in cui egli rivela apertamente la propria divinità, rispondendo “Io lo sono” e citando il salmo 110, “Siedi alla mia destra” (Sal 110,1), e la profezia del profeta Daniele, “ecco apparire, sulle nubi del cielo, uno, simile ad un figlio di uomo” (Dn 7,13). È la prima volta che proclama lui stesso la sua divinità. Fin'ora l'aveva fatto la voce dal cielo quando esce dall'acqua del Giordano e dopo la trasfigurazione sul Tabor, e lo avevano fatto anche gli indemoniati, descritti da Marco in tre passi (Mc 1,24), (Mc 3,11) e (Mc 5,7), che Gesù aveva però fatto tacere. In precedenza era stato invece Gesù a chiedere ai discepoli “Voi chi dite che io sia?” (Mc 8, 29), spiegando poi che avrebbe dovuto soffrire, essere ucciso e poi risorgere, ma tacendo sulla sua divinità. Ma i discepoli allora non capirono. Gesù si rivela il Figlio di Dio solo ora, nel momento della massima debolezza, identificandosi con il servo sofferente descritto da Isaia: è la follia della croce, lo scandalo del Dio che si fa servo dell'uomo e si lascia crocifiggere. La domanda che il sommo sacerdote ha posto a Gesù Marco la pone al suo lettore. È a questa rivelazione che puntava il Vangelo di Marco, che mette il lettore davanti al problema di accettare Gesù crocifisso come il Figlio di Dio e come senso della vita. Il cristianesimo nasce dall'accettazione di questa follia, di questo capovolgimento dell'immagine che si ha di Dio.

Per il sommo sacerdote questa è una bestemmia: come puoi, tu che sei debole, impotente nelle nostre mani, dire che sei il Figlio di Dio? Come puoi dichiararti uguale a Dio? Sei un lurido bestemmiatore e meriti di essere messo a morte! Da qui il gesto plateale di stracciarsi le vesti in segno di orrore. Da qui la sentenza di tutto il sinedrio che dichiarava reo di morte Gesù. E ora che è stato dichiarato un bestemmiatore, ora che è evidente che lui non reagisce, varie persone si scatenano a insultarlo, a percuoterlo, a dileggiarlo. Quell'uomo che solo pochi prima era osannato dalla folla, quello che aveva rovesciato i tavoli dei cambiavalute e cacciato i venditori dal tempio, chi si credeva di essere? Si è rivelato un debole, un tapino, e possiamo prenderlo a schiaffi e sputargli addosso!

Pietro intanto è là fuori, nel cortile a scaldarsi al fuoco, seduto tra i servi. Pietro è attaccato a Gesù e lo aveva seguito da lontano, ma vedremo ora che non ce la farà a rimanergli fedele fino in fondo.

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Il rinnegamento di Pietro (Mc. 14, 66-72)

[66] Mentre Pietro era giù nel cortile, venne una serva del sommo sacerdote [67] e, vedendo Pietro che stava a scaldarsi, lo fissò e gli disse: «Anche tu eri con il Nazareno, con Gesù». [68] Ma egli negò: «Non so e non capisco quello che vuoi dire». Uscì quindi fuori del cortile e il gallo cantò. [69] E la serva, vedendolo, ricominciò a dire ai presenti: «Costui è di quelli». [70] Ma egli negò di nuovo. Dopo un poco i presenti dissero di nuovo a Pietro: «Tu sei certo di quelli, perché sei Galileo». [71] Ma egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quell'uomo che voi dite». [72] Per la seconda volta un gallo cantò. Allora Pietro si ricordò di quella parola che Gesù gli aveva detto: «Prima che il gallo canti due volte, mi rinnegherai per tre volte». E scoppiò in pianto.


La scena è descritta in modo vivido. Pietro è l'unico che ha seguito Gesù fino lì, ma nel momento in cui sente il rischio di essere fermato anche lui e di passare guai giura di non conoscere Gesù. Chissà, avrà anche tentato di camuffare il proprio accento galileo! Questo rinnegamento manifesta il completo fallimento di Pietro, e degli altri che neppure sono arrivati fino lì, come discepoli. Fallimento perché Gesù aveva detto molto chiaramente come doveva essere un suo discepolo: “Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà. ... Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi” (Mc 8, 34-38). Pietro, e gli altri, non ha saputo ancora accettare il pensiero di Dio, che manifesta la sua grandezza e la sua divinità nella croce.

Pietro quindi, mentre il Maestro subisce il processo nella sala del sommo sacerdote, subisce a sua volta un altro processo, da parte della gente comune. La domanda di fondo è la stessa: chi è Gesù? Ma mentre Gesù risponde di essere il Figlio di Dio, Pietro nega di conoscerlo. Gesù viene condannato ma realizza la missione per cui è venuto. Pietro invece si dà alla fuga rimandando la sua realizzazione come discepolo. Solo col secondo canto del gallo Pietro “ricorda”, ricorda la predizione di Gesù del suo rinnegamento, ma anche che avrebbe “dato la propria vita in riscatto per molti”, e scoppia in un pianto di pentimento che gli fa iniziare un cammino di ritorno a Gesù.

Pietro costituisce qui l'immagine impietosa del cristiano medio, di noi cristiani di ogni giorno, con guizzi di entusiasmo ma anche testardamente infedeli. È solo “ricordando”, è solo vedendo il percorso di amore che ha portato Gesù in croce che si può riprendere il cammino di discepoli, quello che ci porta a riconoscere in Gesù il Figlio di Dio e a seguirlo nella sua strada, che è quella del dono.