27 marzo 2022
Con Marco alla scoperta di Gesù
Diciannovesima tappa: Cap. 15, 1-21

Nella 18° tappa del nostro cammino con Marco alla scoperta di Gesù, Carlo ci ha parlato del processo “farsa" subito da Gesù nel Sinedrio, durante il quale, per la prima volta, manifesta apertamente la sua identità, quando, alla domanda: “Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto”, risponde:”Io lo sono...”. E così il sommo sacerdote ha finalmente il pretesto per dichiarare che Gesù bestemmia, quindi deve essere condannato a morte.

Il Sinedrio però non poteva eseguire direttamente la condanna senza entrare in conflitto con l'autorità di Roma, come riferito da Giovanni: «A noi non è consentito mettere a morte nessuno» (Gv 18,31). Non solo un conflitto con Roma era da evitare, ma chiaramente ai capi del popolo interessava far passare Gesù come un malfattore, per screditarlo davanti alla gente comune, per cui era importante che la condanna a morte fosse comminata dal potere politico romano. Ed ecco allora che il Gran Sinedrio mette Gesù nelle mani di Pilato, il procuratore romano. Vediamo i primi 5 versetti:

Gesù davanti a Pilato (1a parte) (Mc. 15, 1-5)

[1] E subito, al mattino, i capi dei sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo portarono via e lo consegnarono a Pilato. [2] Pilato gli domandò: «Tu sei il re dei Giudei?». Ed egli rispose: «Tu lo dici». [3] I capi dei sacerdoti lo accusavano di molte cose. [4] Pilato lo interrogò di nuovo dicendo: «Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano!». [5] Ma Gesù non rispose più nulla, tanto che Pilato rimase stupito.


Ovviamente il sinedrio presenta Gesù al procuratore romano con accuse politiche, le sole che potessero interessargli. Tali accuse non sono esplicitate da Marco, le troviamo in Luca: «Abbiamo trovato costui che metteva in agitazione il nostro popolo, impediva di pagare tributi a Cesare e affermava di essere Cristo re»  (Lc 23,1).
E quindi proprio su questo Pilato interroga Gesù: “Sei tu il re dei Giudei?”, come a dire “sei tu colui che il popolo aspetta per essere liberato dall'occupazione dei romani?”.
E  Gesù, l’uomo che aveva calmato la tempesta, che aveva guarito gli ammalati, che aveva persino  risuscitato dei morti, ora è inattivo... 

Tuttavia, quest'uomo legato, portato, consegnato... è proprio re! Ma non come i re di questo mondo che dominano, spadroneggiano e opprimono: la caratteristica del suo regno non è quella del possedere, bensì quella del donare!

Gesù ha veramente liberato il suo popolo, ma non lo ha fatto assumendo il potere, piuttosto sconvolgendo alla radice il criterio stesso di potere,  e questa è l’unica via per portare gli uomini alla vera libertà.

Egli non ha niente a che fare con gli zeloti, guerriglieri che volevano semplicemente un trapasso di potere, una restaurazione del potere dei giudei al posto di quello di Roma, e non la libertà. Gesù è un sovversivo molto più radicale, come sottolineava don Prospero nel documento “La Croce perché”: “non perché volesse impossessarsi del potere ma perché voleva cancellare il potere riconoscendo soltanto il potere dell'Amore”.

Nel racconto della passione abbiamo tutti gli elementi per capire fino in fondo la persona di Gesù, e riconoscere in quest'uomo impotente di fronte ai potenti, ma completamente libero, il nostro re. Per questo Gesù risponde affermativamente alla domanda di Pilato con un enigmatico:“Tu lo dici”. Tale risposta suggerisce bene come lui sia re, anche se Pilato non ne capisce il modo.

Sopra quest'ultima rivelazione, Marco lascia calare il sipario del silenzio.
Alle successive domande Gesù non risponde più nulla, tace, suscitando lo stupore di Pilato, che non riesce a capire che tipo di re pretenda di essere l'uomo che gli sta davanti . Lui riconosce come re Cesare, che ha il potere di dare vita o morte sui suoi sudditi, e capisce anche le pretese degli zeloti, che vogliono un regno indipendente da quello di Cesare, ma dello stesso tipo di quello di Cesare, con diritto autonomo di morte. Per questo Pilato li teme. Ma di fronte a Gesù resta sconcertato... che re è? che tipo di regno vuole? Non lo ritiene “pericoloso”, e per questo vorrebbe liberarlo.

Soffermiamoci un attimo a considerare il silenzio di Gesù: Gesù tace di fronte alle domande pretestuose, o inutili, di chi finge di interrogarlo. E’ un silenzio veramente più denso delle parole. Gesù non si difende, tace.
Luca nel capitolo 22, dove racconta del processo a Gesù nel Sinedrio, osserva che, alla domanda «Sei tu il Cristo?», Gesù risponde: «Anche se ve lo dico, non mi crederete; se vi interrogo, non mi risponderete» (Lc 22, 67-68). Ecco, Gesù saprebbe rispondere, ma non lo fa perché sa bene che le sue parole non verrebbero comunque ascoltate o credute.
Non è che Gesù si stia “avvalendo della facoltà di non rispondere”, in realtà sta proprio rispondendo col suo silenzio. Il silenzio è l’unica arma, non violenta, che Gesù può impugnare per comunicare con chi lo accusa: come scrive il biblista Bruno Maggioni “È il silenzio di chi anche nell’umiliazione conserva intatta la sua dignità. È il silenzio di chi è lucidamente consapevole dell’insincerità dei giudici, che fingono un interrogatorio, in realtà avendo già deciso la condanna: inutile difendersi. La verità tace di fronte alla violenza, non perché non abbia nulla da dire, ma perché ha già detto tutto ed è inutile ridire. Soprattutto è il silenzio del giusto, che di fronte alle accuse non si difende, perché ha posto interamente la sua fiducia nel Signore, che non abbandona [...]Di fronte agli uomini che lo condannano a motivo della sua giustizia, il silenzio del servo del Signore esprime dignità; e di fronte a Dio esprime accettazione e fiducia...
La verità diventa silenziosa, ma è un silenzio che parla, che smaschera la falsità del potere  che accusa.

Leggiamo quindi come va avanti il processo e come si conclude:

Gesù davanti a Pilato (2a parte) (Mc. 15, 6-15)

[6] A ogni festa, egli era solito rimettere in libertà per loro un carcerato, a loro richiesta. [7] Un tale, chiamato Barabba, si trovava in carcere insieme ai ribelli che nella rivolta avevano commesso un omicidio. [8] La folla, che si era radunata, cominciò a chiedere ciò che egli era solito concedere. [9] Pilato rispose loro: «Volete che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». [10] Sapeva infatti che i capi dei sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia. [11] Ma i capi dei sacerdoti sobillarono la folla perché, piuttosto, egli rimettesse in libertà per loro Barabba. [12] Pilato disse loro di nuovo: «Che cosa volete dunque che io faccia di quello che voi chiamate il re dei Giudei?». [13] Ed essi di nuovo gridarono: «Crocifiggilo!». [14] Pilato diceva loro: «Che male ha fatto?». Ma essi gridarono più forte: «Crocifiggilo!». [15] Pilato, volendo dare soddisfazione alla folla, rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.

Pilato sa di non essere davanti a una persona pericolosa per il suo potere, né per quello di Roma. Ma anche se in questo momento il potere in mano ce l’ha lui, non può fare ciò che vuole. È lui il rappresentante dell’imperatore, il procuratore romano, la persona più importante, eppure è condizionato dal potere delle autorità religiose e incomincia subito a cedere di fronte alle loro pretese. Tenta l’ultima carta: lo scambio di Gesù con Barabba, pensando che la scelta del popolo ricadesse sulla liberazione di Gesù, perché finora lo aveva seguito con entusiasmo. Ed è proprio di questa folla che i capi religiosi hanno sempre avuto paura, temendo una sommossa a difesa di Gesù. 

Ma... com’è facile “sobillare” la gente! La storia e anche i tempi in cui viviamo ce lo dimostrano. Basta inculcarle dei sospetti... e allora: gli stranieri ci portano via il lavoro, sono pericolosi,vogliono soffocare la nostra civiltà... ci trasmettono il covid... per parlare solo di alcune delle idee che certi politici diffondono oggi... ma è sempre stato così.

Ed ecco che la folla sceglie Barabba! Chissà quanti individui che ora gridano “crocifiggilo” erano tra quelli che pochi giorni prima lo osannavano! Ma loro avevano osannato un re che pensavano fosse vincitore con la forza... non sanno che farsene di un re così! Non ha fatto niente di male... ma proprio per questo va crocifisso: l’altro va liberato e lui deve essere crocifisso perché è innocente. È l’innocente che deve pagare! E’ sempre così... ci deve essere un “capro espiatorio” per i nostri guai... e spesso è il più innocente. 

Chi paga oggi per le ingiustizie che facciamo noi nel nostro civilissimo mondo occidentale, con le nostre sbandierate “radici cristiane”?  Quelli che vogliamo mandare via da qui.  Chi paga per primo degli squilibri ecologici che noi creiamo? Le popolazioni più povere... e l’elenco potrebbe continuare.. 

Riflettiamo: in questa folla che grida “Crocifiggilo”, ognuno è chiamato a riconoscere la propria voce...

Questa è pura impotenza per Pilato: non riesce nemmeno a fare il bene che vorrebbe...  Gran potere!!! E Pilato consegna Gesù nelle mani dei soldati:

La corona di spine (Mc. 15, 16-20)

[16] Allora i soldati lo condussero nel cortile interno, cioè dentro il pretorio, e radunarono tutta la coorte. [17] Lo vestirono di porpora e, dopo aver intrecciata una corona di spine, gliela misero sul capo, [18] e cominciarono a salutarlo: «Salve, re dei Giudei!». [19] E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, mettendosi in ginocchio, si prostravano davanti a lui. [20] Dopo averlo schernito, lo spogliarono della porpora, lo rivestirono delle sue vesti e lo condussero fuori per crocifiggerlo..

Gesù è condotto nel cortile, è circondato da uomini asserviti alla logica della violenza, cioè i soldati, coloro che hanno consacrato la propria vita alle armi. Sono tanti... facile sentirsi potenti quando si è in tanti contro pochi... qui poi è uno solo, che nemmeno si difende! Il centro su cui si scarica ogni violenza è sempre il giusto, è sempre l’innocente. È sempre il debole, o chi, come nel nostro caso, non vuole fare violenza, che porta su di sé l’ingiustizia. E questa, purtroppo, è una legge fondamentale della storia.

L’azione dei soldati è una parodia dell’intronizzazione regale, che aveva come elementi importanti la corona, il manto di porpora e lo scettro regale; i soldati deridono le pretese del re dei giudei, lo prendono in giro: non solo intrecciano una corona di spine, gli mettono il manto rosso e gli dicono: “salve re dei giudei”, ma lo percuotono, gli sputano addosso, vedono in Gesù colui che sfida il potere, e questo per loro, asserviti al potere, è intollerabile. Ma Gesù non risponde al male con il male, ci insegna che l'unico modo per vincere il male è non farlo.

E anche loro, i soldati, alla fine sono solo poveri servi dell’impero... qui è il male stesso del mondo che si rovescia sull’innocente. Infatti è sempre il giusto che subisce l’ingiustizia di ogni potere religioso, politico, economico, ideologico... su di lui si rovescia tutta la sete di violenza e l’egoismo dell’uomo schiavo del potere, solo perché lui è vivo, è libero e ama.

Noi tendiamo a etichettare: c’è l’uomo ricco e l’uomo povero, quello potente e quello succube, quello realizzato e quello fallito... ecc, ecc. Cioè tendiamo a dividere l’umanità in categorie distinte e opposte. Ma la realtà dell’uomo è una sola:  il potente è tale in quanto ha persone da sottomettere, l’uomo arrivato ha spesso lasciato dietro di sé dei falliti, che sono stati buttati fuori dal gioco, il ricco è tale facilmente perché ha sfruttato il povero, ed è ricco grazie al povero,... Dio ha creato gli uomini, tutti gli uomini, a sua immagine e somiglianza. Questa somiglianza diviene perfetta quando, come Gesù, si è capaci di avere soltanto risposte d’amore, anche di fronte a chi ci condanna. Gesù, in qualunque situazione si sia trovato a vivere o in qualunque momento di difficoltà, di odio, di violenza nei suoi confronti, ha sempre avuto, per tutti, una risposta d’amore.

Chi nella sua vita è capace di dare sempre risposte d’amore, quello è un uomo, o una donna, vero, pienamente realizzato secondo il progetto di Dio.
Gesù ci mostra l’uomo quale realizzazione perfetta del progetto di Dio sull’umanità. Nel prologo del Vangelo di Giovanni c’è scritto che “il Verbo si fece carne”... Ora, come scrive Ermes Ronchi: “Incarnazione e Passione si abbracciano, la stessa logica prosegue fino all'estremo. Gesù entra nella morte, come è entrato nella carne, perché nella morte entra ogni figlio d’uomo: per amore, per essere con noi e come noi.

Gesù è ormai sulla via della croce. A questo punto Marco inserisce nel racconto un episodio breve ma importantissimo:

Il cireneo (Mc. 15, 21)

[21] Costrinsero a portare la sua croce un tale che passava, un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e di Rufo.


Quest’uomo di Cirene, un tale che passava da lì per caso, che “tornava dai campi”, come ci dice Luca (Lc 23,26), veniva dalla campagna, magari neppure sua, certamente dopo aver lavorato... e il lavoro dei campi è pesante... e viene “costretto” a portare la croce di Gesù. Gli aguzzini tolgono la croce dalle spalle di Cristo, non certo per pietà, ma per farlo arrivare "vivo" fino alla vetta e poi torturarlo nell'esecuzione capitale.
Questa persona che deve portare la Croce non sa nulla di quanto è accaduto, non capisce, non vuole portare quel peso... lo costringono.
Si chiama Simone, proprio come Pietro. E Pietro è scomparso, lui che voleva portare la Croce, che voleva essere discepolo, che era disposto a morire con Gesù. Il cireneo invece non ci pensa nemmeno ad essere un discepolo, non vuole portare la croce, non capisce cosa c’entri lui. Ma gli tocca.

Possiamo immaginare Pietro che guarda in silenzio e col cuore distrutto quest’altro Simone (ricordiamoci che questo Vangelo è probabilmente il racconto dello stesso Pietro) sapendo che è lui, in questo momento, il vero discepolo.
Infatti, cosa fa quest’uomo? Porta la Croce. Riflettiamoci; è il discepolo perfetto anche se  lui non lo sa e non lo vuole. Gli è capitato, anche se gli sarà sembrata proprio la cosa più sconveniente in assoluto, la cosa più negativa che potesse capitargli quel giorno. Lui non lo sa, o non lo sa ancora, ma quello che gli è capitato è una cosa splendida: aiutare Dio addirittura nel momento più grande di tutta la storia della creazione. Sì, perché nel cammino sul Calvario, Gesù si rivela come Dio, come Colui che porta il male del mondo perché è amore assoluto. E il Cireneo, senza saperlo, senza volerlo, ha fatto la stessa cosa.

Se ci riflettiamo, la vocazione è una storia, non è un proposito buono che mi faccio io, non è una mia programmazione, è qualcosa che capita e che magari non capisco. E comincia un cammino... e può nascere anche da qualcosa di negativo che capita, in me o fuori di me, e che quando viene fuori e non posso difendermi, mi tocca portarla e accettarla, ma può diventare il momento più alto della mia vita. È la nostra storia, dove ci sono molte cose che vorremmo non accettare, soprattutto le croci. Del resto anche Gesù: non la vuole la croce: “Passi da me questo calice” prega nell’orto degli ulivi. Se uno non è masochista non vuole la croce. 

Ma, attenzione, spesso si crede che le difficoltà, o le croci, che ci capitano siano mandate dal destino, dalla sorte o addirittura da Dio. Ma la maggior parte delle croci che la gente porta sono invece confezionate e distribuite proprio sulla terra, esattamente dagli uomini. C’è gente che è oppressa, schiacciata, umiliata, che soffre e dispera. E la responsabilità è solo di altri uomini, delle strutture economiche e politiche, di convinzioni sociali, culturali ecc. Solo l’insensibilità, l’arrivismo, i privilegi affermati e difesi determinano il disagio, le privazioni e tanto morire quotidiano...Certo non possiamo essere noi a salvare il mondo... però quanto spesso anche noi cerchiamo di addossare pesi ad altri, scaricare croci..

E non ci può sorprendere che le croci del mondo siano portate oggi come allora da gente squalificata, come il cireneo. Dio costruisce con la pietra scartata, come aveva ricordato Gesù raccontando la parabola dei vignaioli omicidi. D’altronde la nostra salvezza viene dalla pietra scartata che è il Figlio. Dobbiamo stare molto attenti agli scarti della nostra vita. Sono importanti. I cirenei, i poveri cristi, sono il Cristo vivente che ci salva. Così sono i poveri a salvarci, non noi a salvare i poveri, sono loro che portano le conseguenze del male che il sistema fa, che noi, che siamo nel sistema, facciamo.
È la nostra chiamata personale a guardare gli scarti, le cose che non ci dovrebbero essere, a guardare il mondo e vedere tutto ciò che è scartato: è lì che troviamo il Cristo.

Mettersi dietro a Cristo, camminare sui suoi passi, non è né sicurezza, né conoscenza di dove si va. È invece una strada costellata da riluttanza e incertezza. Come per il Cireneo, che solo più tardi capirà la grandezza di ciò che gli è capitato.
Un incontro fortuito con un malcapitato, in un giorno qualsiasi, diventa possibilità perché scaturisca la fede. Anche quella che poteva sembrare una carità forzata, conserva sempre una sua fecondità quando si tratta di farsi carico di chi troppe volte è caduto sotto il peso della vita. La storia di quest’uomo ci ricorda che, talvolta, proprio mentre non passiamo oltre rispetto a qualcosa di imprevisto che ostacola i nostri piani, è possibile incontrare Dio pur senza averlo cercato. Dio entra nella nostra vita proprio quando neppure ce lo aspettiamo, quando ci sembra che altro debba essere il corso degli eventi.

Bisognerebbe avere la sapienza del povero, cioè capire il significato profondo delle cose che avvengono. Il povero accetta quello che gli capita, per necessità, perché non può fare diversamente... Anche per ciascuno di noi questo atteggiamento, può diventare un’intelligenza profonda, che è il non opporsi alla realtà, ma stare a vedere dove va.

In conclusione, questo Simone di Cirene è un po’ il modello del vero discepolo, e contemporaneamente è anche il modello della vocazione che avviene attraverso la mia storia, non attraverso i miei progetti. Questo piccolissimo brano ci aiuta a vedere in modo diverso quelle cose che nella nostra vita capitano e che non vorremmo che ci fossero. Arrivare a vivere il presente. accettandolo, cioè prendendolo sempre bene, senza fare drammi, perché il vero problema è come viviamo il presente, non è quello che sarà dopo.

Ci dice San Paolo «tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno» (Rm 8, 28). Vuol dire che Dio si nasconde dietro tutti gli avvenimenti della mia vita: una particolare condizione di salute, un contrattempo, un cambiamento improvviso di programma imposto dalle circostanze, una prova morale improvvisa, una difficoltà di qualsiasi genere… tutto può rappresentare l’inizio di un cammino nuovo verso Dio. Come è successo al Cireneo!