14 maggio 2022
Con Marco alla scoperta di Gesù
Ventunesima (ultima) tappa: Cap. 16

Eccoci qua, siamo alla conclusione, o forse no, del nostro percorso! Sono passati oltre 5 anni da quel 17 gennaio 2017 quando abbiamo iniziato il nostro cammino “Con Marco alla scoperta di Gesù”. Siamo cambiati, è cambiato il mondo intorno a noi: la pandemia, la guerra nel cuore della nostra Europa, eventi che forse ci fanno rimpiangere i piccoli grandi problemi di quei giorni. Alcuni fratelli e sorelle di comunità che hanno iniziato il cammino con noi ed oggi lo concludono teneramente abbracciati al Padre/Madre celeste che aspetta il nostro ritorno a casa.

Una prima premessa da fare è questa: oggi trattiamo dell'ultimo capitolo del Vangelo di Marco, però i versetti dal 9 al 20 presentano un problema testuale molto importante, perché ormai siamo certi che questi versetti siano una aggiunta posteriore, che non li abbia scritti Marco, che non hanno il suo stile. Per rendere il Vangelo più “corretto”, qualcuno lo ha modificato. E lo ha fatto fin da quasi subito, molto probabilmentee all’inizio del II secolo: cento anni dopo la scrittura del Vangelo c'erano due o tre conclusioni diverse. Poi una, lo ribadisco per evitare equivoci, è stata accolta come canonica dalla Chiesa cattolica e sancita definitivamente come tale da un decreto del Concilio di Trento. Per noi quindi questa è “Parola di Dio”, contiene la parola di Dio per noi.

Fatta questa premessa iniziamo a leggere questo capitolo “al contrario”, cioè proprio da quest'ultima parte:

Apparizioni di Gesù risorto (Mc. 16, 9-20)

[9] Risuscitato al mattino nel primo giorno dopo il sabato, apparve prima a Maria di Màgdala, dalla quale aveva cacciato sette demòni. [10] Questa andò ad annunziarlo ai suoi seguaci che erano in lutto e in pianto. [11] Ma essi, udito che era vivo ed era stato visto da lei, non vollero credere.
[12] Dopo ciò, apparve a due di loro sotto altro aspetto, mentre erano in cammino verso la campagna. [13] Anch'essi ritornarono ad annunziarlo agli altri; ma neanche a loro vollero credere.
[14] Alla fine apparve agli undici, mentre stavano a mensa, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risuscitato. [15] Gesù disse loro: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. [16] Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. [17] E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, [18] prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
[19] Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio.
[20] Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l'accompagnavano.


Come abbiamo ascoltato, questo brano è composto da 4 sezioni: l’apparizione a Maria di Magdala (9-11) che si riallaccia a Luca e Matteo, l’apparizione ai due pellegrini (12-13), che riprende l’episodio di Emmaus descritto da Luca, l’apparizione agli Undici (14-18), che è presente in tutti gli altri Vangeli, l’ascensione e l’inizio della missione (19-20) che riprende il racconto lucano.

C'è sempre l'incredulità nelle apparizioni e c'è sempre la richiesta di Gesù di convertirsi e di superare la testardaggine di non voler credere alla risurrezione.

Come dicevo, questi versetti sono aggiunte posteriori, forse scritte intorno al 130 d.C., nate per ovviare all’impressione di una brusca interruzione, come poi vedremo; ma questo dimostra che fin dall’inizio del II secolo si era in possesso di un testo che terminava con il v.8.  Ora è improbabile che tutti abbiano perso un’ultima pagina del testo originale, poiché sarebbe stata facilmente riscritta dall’autore o ricordata dalla comunità. Pertanto solo in seguito, non comprendendo gli intenti dell’autore e per armonizzare il testo con il finale degli altri vangeli sono state fatte le aggiunte che abbiamo appena letto.
Quindi Marco crea un problema, perché termina in modo assolutamente tronco. Ma forse è proprio questa la grande novità. Purtroppo, per cercare di armonizzare la fine del racconto di Marco con gli altri Vangeli già scritti, prendendo dalle diverse tradizioni, qualcuno ha rovinato l'idea che Marco voleva darci. È per questo che ora mettiamo da parte questi ultimi 12 versetti e ci soffermiamo sui primi 8 versetti.

Con l'ultima tappa, condotta da Remo, eravamo rimasti a quel 7 aprile dell'anno 30 d.C., venerdì, vigilia dell'inizio della Pasqua ebraica, giorno importante della Parascève, della preparazione, perché la Pasqua cominciava con il giorno più importante per l'ebreo, che era il sabato. Ricordo che il comandamento di Dio, che noi traduciamo con “ricordati di santificare le feste” era per l'ebreo “ricordati di riposare in giorno di sabato”. Non c'era da celebrare nessuna festa ma solo il riposo, quello che aveva accolto lo stesso Dio al termine della creazione, fermandosi per contemplare la creazione.
Forse, quel venerdì, Giuseppe di Arimatea stava pensando a quei versetti del Qoelet: “Vi è una sorte unica per tutti: per il giusto e per il malvagio, per il puro e per l'impuro, per chi offre sacrifici e per chi non li offre, per chi è buono e per chi è cattivo, per chi giura e per chi teme di giurare. Questo è il male in tutto ciò che accade sotto il sole: una medesima sorte tocca a tutti e per di più il cuore degli uomini è pieno di male e la stoltezza dimora in loro mentre sono in vita. Poi se ne vanno fra i morti.” (Qo 9,2-3)
Forse a tutto questo il pio Giuseppe di Arimatea pensava quel venerdì 7 Aprile del 30 poco prima delle 18, dopo aver aver fatto rotolare quella grande pietra davanti al sepolcro: ha assistito alla morte ignominiosa di un giusto, uno che ha vissuto amando e amando soltanto. Scende il buio ed il silenzio sulla città di Gerusalemme, le famiglie sono riunite nelle case per il “Sèder”, la cena pasquale, ed è iniziato il grande riposo del sabato della Pasqua.

Possiamo quindi ora concludere la lettura del Vangelo di Marco:

La tomba vuota. Messaggio dell'angelo (Mc. 16, 1-8)

[1] Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù. [2] Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole. [3] Esse dicevano tra loro: «Chi ci rotolerà via il masso dall'ingresso del sepolcro?». [4] Ma, guardando, videro che il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande. [5] Entrando nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d'una veste bianca, ed ebbero paura. [6] Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano deposto. [7] Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto». [8] Ed esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura.

Trascorre il sabato. Ricordo che il sabato andava dalle 18 del venerdì alle 18 del sabato, per gli ebrei, e alla sera di quel sabato inizia il nuovo giorno. Ed ecco che alcune donne escono quella sera dalle loro case perché è finito il riposo e vanno a comprare oli aromatici che sarebbero serviti loro il giorno dopo. Queste donne sono quasi certamente le stesse che da lontano hanno assistito alla morte del maestro e alla sua sepoltura.

Occorre subito mettere in guardia da un errore in cui cade il lettore poco attento che si accosta ai racconti della Pasqua, della resurrezione, scritti dai 4 evangelisti come se fossero 4 pagine di cronaca perché ci si imbatte subito in incongruenze, in informazioni contraddittorie. Marco ad esempio ci dice che le donne hanno visto nel sepolcro un giovane, mentre per Luca erano due uomini, mentre Matteo parla di un grande terremoto ed un angelo del Signore che scese dal cielo, fece rotolare la pietra e si sedette sopra di essa. Che cosa è realmente successo? Di fronte a così diverse versioni, se leggiamo i brani da un punto di vista storico, si rimane disorientati e ci potremmo chiedere che cosa hanno davvero visto le donne. Dobbiamo piuttosto chiederci cosa mi vuole dire ogni evangelista, quali immagini impiega, quale linguaggio usa, in modo che io possa distinguere dal linguaggio il messaggio. Stasera ci chiediamo cosa Marco, con quel racconto, ci ha voluto dire.

Prima cosa: non esisteva affatto l’uso di ungere i cadaveri che venivano soltanto lavati, vestiti ed avvolti in un lenzuolo, quello che chiamiamo la “sindone”, e questo forse era già stato fatto il venerdì. Matteo e Giovanni ricordano, nei loro Vangeli, che l'uso generale era che le donne andassero a far visita al sepolcro per tre giorni dopo la sepoltura, per compiangere il defunto e anche per accertarsi che la morte fosse definitiva, e questo perché la sepoltura era fatta subito dopo il decesso e poteva capitare che si trattasse di una morte apparente. Nel caso di Gesù chiaramente non c'era pericolo di una morte apparente, dopo che era stato crocifisso e perforato da una lancia.
Marco introduce questa unzione forse per far riflettere il lettore perché il gesto delle donne (ungere un cadavere) è l’unica cosa che l’uomo è in grado di fare di fronte alla morte, è un atto di pietà, è un ricordare, ma non serve a vincere la morte, e semmai non fa altro che sancire la morte, costruire un monumento alla vittoria della morte. L’uomo con le sue capacità non potrà mai vincere la morte, ma solo trovare palliativi per prolungare in qualche modo la vita.

Secondo punto: per ungere il corpo di Gesù le donne dovrebbero far rotolare la grossa pietra che separa il mondo dei vivi dal mondo dei morti, ma quella pietra è inamovibile. L’uomo con le sue capacità si troverà sempre di fronte una grossa pietra, e questo ostacolo sarà per lui insormontabile.
Marco vuole richiamare l’attenzione su quella pietra: l’uomo può imbalsamare un cadavere ma è incapace di rimuovere la pietra poiché quando uno è morto è separato per sempre dal mondo dei vivi.
Allora cosa potevano aspettarsi le donne che andavano al sepolcro quella mattina? Forse speravano in una rianimazione? Ma nel caso di Gesù, il cui corpo era martoriato, questa rianimazione era assolutamente impossibile. Potevano aspettarsi una resurrezione secondo la concezione farisaica che credeva in una resurrezione dei giusti? Ma quella era attesa, per i giusti, alla fine dei tempi e quindi dopo centinaia, migliaia di anni. Però Gesù aveva anche detto una frase strana, che chi crede in Lui non sarebbe mai morto... Ma allora la vita eterna, ovvero la vita dell’eterno, non è qualcosa che viene dopo la morte: la vita dell'Eterno, la vita per amore, è qualcosa che dà a noi la forza di rimanere vivi. Quindi essa è donata ai vivi e non ai morti.


Veniamo ora a rileggere questi 8 versetti un per uno:


Le donne vanno di buon mattino, il primo giorno dei sabati, al levar del sole, questa è la traduzione corretta. Sono tre indicazioni di tempo: l’insistenza su di esse, “di buon mattino”, “al levar del sole”, “il primo giorno dei sabati”, ci porta a pensare che lui stia pensando e alluda a quel giorno nuovo, alla luce nuova che sta per rischiarare le tenebre del mondo, quelle tenebre che hanno avvolto nella disperazione l’intera umanità ed ora sta per essere dissolta perché spunta la luce di un nuovo giorno. Ecco, siamo nel nuovo giorno!

Dicevano tra loro: “Chi ci farà rotolare via la pietra dall'ingresso del sepolcro?”. Ecco l’ostacolo che la forza umana non è capace di rimuovere, poiché solo un intervento del cielo può aprire la comunicazione fra i due mondi, quello dei vivi e quello dei morti.
Ed ecco che quando giungono al sepolcro le donne “alzando lo sguardo, osservarono che la pietra era stata rimossa”. Alzare lo sguardo! Forse fino a quel momento avevano camminato guardando a terra, pensando a quel cadavere da ungere, e questo non è un dettaglio secondario. Se Marco sottolinea questo alzare lo sguardo è perché  vuole darci un messaggio: le donne sono l’immagine di ciò che ha fatto l’umanità fino a quel momento e che fa ancora oggi, rivolgersi verso terra. Ha cercato le risposte all’enigma della morte ripiegando lo sguardo verso noi stessi, affidando le proprie speranze di vita alla scienza, alle risorse tecniche. Allora si parlava della mummificazione, presso gli egizi; oggi parliamo e tentiamo l’ibernazione, la clonazione, ma l’obiettivo è lo stesso, quello di rendere eterna questa vita, ma il risultato non può che essere quello di sempre, al massimo il prolungamento di una vecchiaia. Eh no, la resurrezione è accogliere la vita dell'Eterno, accogliere l'amore, perché solo l'amore cambia la vita, solo l'amore dà un senso alla vita! È vivere vivi oggi.
Ripeto praticamente ogni anno che noi viviamo la settimana di Pasqua come un libro giallo di cui abbiamo già letto l'ultima pagina e siamo sicuri. Non è così, perché non abbiamo capito cos'è la vita eterna. Pensiamo che essa sia questa nostra vita biologica che prosegue per sempre, magari in Paradiso o, se ne abbiamo combinate alcune, in Purgatorio. Invece possiamo risorgere se sappiamo accogliere la vita dell'Eterno!
Non è dalla terra che può venire la vittoria sulla morte; di fronte al sepolcro, ad ogni sepolcro, Marco ci invita a fare come le donne, alzare lo sguardo, lasciarsi coinvolgere nella luce che viene dal cielo. Le donne che hanno alzato lo sguardo si rendono conto che quella pietra che non poteva essere mossa dalla forza umana è stata rotolata via dal cielo; qualcuno ha realizzato ciò che loro non erano in grado di fare, qualcuno ha spezzato la potenza della morte.

Le donne entrano nel sepolcro: hanno passato la frontiera, sono entrate in contatto con il mondo dei morti e forse pensavano di trovare i morti, trovare dei vecchi ed ecco la sorpresa, vedono un giovane. Il termine greco neaniscon lo avevamo trovato un’altra volta nel Getsemani, quando abbiamo visto questo giovinetto che lascia nelle mani di coloro che lo avevano fermato e che cercavano di trattenerlo il lenzuolo con cui si copriva, la sindone, e fugge via con il corpo nudo. Qui lo ritroviamo, ed è l’unica volta che ricorre, ma ora non è avvolto in una sindone bensì in una veste bianca splendente. È il segno che le donne in questo Sheol, dove si aspettavano di trovare la vita vecchia e la morte, trovano invece la vita giovane, perché da quando nello Sheol è giunto Gesù, lì è entrata una vita che sarà sempre giovane, una vita segnata dall'amore: nel mondo di Dio non si diventa più vecchi, perché il tempo non passa più.

Il giovane è seduto a destra e questo indica qualcosa di positivo e di bello (“stare alla destra di Dio”): in questo mondo dove le donne si aspettavano dei cadaveri, è invece il mondo nuovo, è il mondo di Dio, il mondo dell’eterno, e la veste bianca è il simbolo della luce e della festa, della gioia.

La reazione delle donne è sorprendente, “ebbero paura”, si spaventano, mentre noi ci aspetteremmo la gioia ed invece c’è lo stupore. Qui viene usato il termine greco ecstasis come se fossero uscite da sé stesse e fossero entrate in un contesto, in un mondo che non si aspettavano, sono sconcertate; lo spavento è causato proprio da questo incontro col messaggero celeste. Timore, spavento sono la reazione normale quando nella Bibbia viene raccontato l’incontro con il mondo di Dio e Marco più di tutti sottolinea questa reazione di spavento nelle donne.

Ma il giovane dice alle donne “Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso”. Ecco i due estremi della vita pubblica di Gesù, Nazareth dove cresce nel silenzio e da dove parte ed il Calvario dove viene crocefisso e muore, nel silenzio. “È resuscitato non è qui, ecco il luogo dove l’avevano posto”. Quella vita, quel dono totale, per amore, è entrata nel mondo di Dio. Le donne si aspettavano di trovare un corpo, un defunto, ma Dio è intervenuto, ha rovesciato la sorte di quell’uomo crocifisso che ha dato tutto sé stesso per amore, e così farà anche con noi. Credere nella resurrezione non è credere che Gesù sia rinato: Gesù ha superato la morte perché ha donato la vita per amore, e l'amore è eterno, è la vita dell'Eterno.

Ecco adesso l’invito che il giovane fa alle donne: “andate, dite ai discepoli e a Pietro che vadano in Galilea, lui li precede là, là lo vedrete come vi ha detto”. Le donne non dovranno raccontare l’esperienza che avevano fatto, ma di invitare i discepoli ad andare in Galilea a fare loro la stessa esperienza che le donne avevano fatto. Questo invito significa che i discepoli devono ripercorrere quel cammino che hanno fatto a seguito del maestro. Essi non hanno visto dove finisce la vita donata e devono ripercorrere questo cammino e al termine del viaggio si renderanno conto che Gesù ha avuto ragione e, come il centurione, riconosceranno nel volto di Gesù che dona la vita il volto di Dio che è amore e solo amore e percepiranno nel loro intimo la voce che gli assicurerà che, se vivete come Lui per amore, voi entrerete con Lui nel mondo dei risorti. Questa è l’esperienza che questo giovane invita a fare ognuno di noi: riprendere in mano questo vangelo secondo Marco che parte dalla Galilea, ripercorrere al seguito del maestro tutta la sua vita e come i discepoli potremo arrivare al Calvario e come il centurione, scopriremo sul volto di Gesù il Figlio di Dio, Colui che assomiglia al Padre perché ha donato la vita per amore.
Le donne fuggono via dal sepolcro perché, dice Marco, erano state colte da spavento e da stupore, e non dissero nulla a nessuno: di fronte all'evento della resurrezione c'è spavento e stupore, estasi, e non dicono nulla a nessuno. Questa conclusione del Vangelo di Marco, perché è così che finiva, è estremamente sorprendente. La ragione è chiara: il Vangelo secondo Marco non finisce, ma piuttosto comincia dalla resurrezione, perché si deve ripartire dalla Galilea: soltanto ripartendo dalle nostre Galilee, dai nostri luoghi della vita di tutti i giorni e giungendo, con fatica, piano piano, al Calvario possiamo alzare lo sguardo a colui che dona la vita per imparare che l'amore è il senso della vita. Bisogna tornare indietro, ogni giorno, nel nostro quotidiano, nelle nostre fatiche, nelle nostre difficoltà, perché abbiamo sempre qualcosa di buono da fare, abbiamo sempre da amare qualcuno. Dobbiamo però alzare lo sguardo, non guardare solo a noi stessi, ai nostri limiti, ai nostri difetti, agli anni che abbiamo sulle spalle, alle nostre fatiche.

Lo spavento è una reazione teologica e le donne rappresentano la comunità cristiana: se si fossero trovate davanti al cadavere di Gesù avrebbero pianto, lo avrebbero riconosciuto come un giusto da rimpiangere per tutta la loro vita, vita che poi poteva continuare esattamente come prima con i loro interrogativi, con i loro progetti e i loro sogni, con le loro difficoltà e limiti. Anche gli apostoli avrebbero continuato a fare la vita di prima, non sarebbe cambiato nulla e sarebbe rimasto soltanto il ricordo di quest’uomo. Di fronte alla resurrezione le donne rimangono spaventate perché, se Gesù aveva ragione, se Gesù era davvero il figlio di Dio, cambia tutto: se Lui aveva ragione vuol dire che la vita vera, quella riuscita, non è quella trattenuta per sé come noi siamo portati a credere, ripiegandoci su noi stessi. La vita riuscita è quella donata per amore e questo ci fa paura, perché ogni volta che ci viene chiesto qualcosa siamo portati a pensare alle cose che non possiamo fare e non a quelle che possiamo fare, pensiamo che non ci arriveremo mai a fare quella cosa lì, mentre dovremmo pensare che quel passettino noi lo possiamo fare, che possiamo indicarlo agli altri, se non possiamo farlo noi. Se non abbiamo paura vuol dire che non abbiamo capito la proposta della Pasqua: vuol dire che l’uomo riuscito, l'uomo crocifisso, colui che viene introdotto nella gloria del Padre, colui che è davvero il Figlio di Dio ed è colui che ha donato la vita non è entrato nel nostro cuore. Chi ha fatto, chi fa l’esperienza della Pasqua non può non spaventarsi.

Le donne non dicono nulla a nessuno. Bella questa conclusione! Rileggendo bene mi viene da chiedermi perché abbiamo sciupato questo Vangelo. E propongo due pensieri.

1) la paura di annunciare Cristo al mondo. Non c’è umanesimo più bello di quello che ha proposto Gesù: Ghandi, induista ma uomo di Spirito e dello Spirito ha definito le beatitudini come le parole più alte che un uomo abbia mai detto e che un uomo abbia mai sentito, l’apice delle proposte che l’uomo può fare per una vita umanamente apprezzabile. Ma la tentazione è quella di fermarci lì e l’umanesimo cristiano che ci propone Gesù starebbe in piedi anche senza la Pasqua, sarebbe già un grande passo, perché nell’intimo sentiamo che l’uomo vero è quello non colui che uccide, opprime, offende, ruba, ma colui che ama è veramente uomo. Però quando si tratta di dire che la vita è più della nostra vita biologica, che la vita è amore, anche noi cominciamo a trovarci a disagio, abbiamo quasi pudore di annunciare questa verità che cambia completamente il modo di rapportarci con le realtà di questo mondo, cambia il modo di vedere la vita, la famiglia, il denaro, la carriera: cambia tutto!

2) l’annuncio del vangelo è inaugurato con il silenzio dalle donne. Forse Marco voleva dirci un'altra cosa: di fronte alla resurrezione, di fronte alla Pasqua di Gesù, Marco ci presenta l’immagine di chi ascolta, di chi interiorizza l’esperienza che ha fatto, più che l’immagine di chi corre ad annunciare il messaggio. Il silenzio è sempre necessario prima dell’annuncio. In queste donne e in tutti coloro che fanno davvero l’esperienza della Pasqua avviene uno sconvolgimento interiore che porta ad uno squilibrio sulle prospettive di vita che diventano completamente nuove: il senso dell’esistenza cambia radicalmente quando si è raggiunti dalla luce della Pasqua. Le donne non parlano perché devono prima prendere coscienza dello sconvolgimento che è avvenuto in loro, devono prendere coscienza di questa scossa interiore e soltanto dopo potranno invitare altri a fare lo stesso cammino per giungere alla visione del risorto.

Se Marco ha concluso in questo modo originale, non è perché ignorasse le tradizioni sulle apparizioni; infatti, pur non riportandole, ricorda espressamente  quelle avvenute in Galilea, probabilmente ascoltate da Pietro. Se Marco non parla delle apparizioni del risorto è perché egli non ha voluto mostrare che il Crocifisso è risorto, bensì che il Risorto è il crocifisso e con ciò portare i cristiani non a una fede entusiastica, che riduce il cristianesimo a un mito di resurrezione, ma alla contemplazione del Cristo crocefisso. Marco vuole scongiurare il pericolo, che forse già sentiva quando scriveva, attorno agli anni 65-70, di svuotare la fede cristiana facendone un’ideologia, basata su apparizioni e madonne che piangono, perché il cristiano deve seguire Gesù nel suo cammino concreto che va dalla Galilea al Calvario: è lì che si rivela la gloria di Dio.
Allora la Galilea, cui la fine del vangelo rimanda, è un invito al lettore perché riprenda in mano il Vangelo per rileggerlo alla luce della resurrezione.

La Galilea assume una rilevanza teologica. Essa è il luogo della vita concreta del Gesù storico e del discepolo che proprio lì è chiamato a seguirlo: chi sarà capace di seguire il Cristo da Nazareth fino al Calvario, come le donne, quelle che sono rimaste con lui fin sotto la croce, sperimenta il mistero della resurrezione perché avrà posto sopra ogni cosa l’amore e solo l’amore è capace di superare la morte.
Diventa così comprensibile il silenzio e il timore delle donne, perché sono sconvolte dalla luce della rivelazione di Dio nel povero crocefisso che supera ogni aspettativa umana ed insieme perché percepiscono il peso e la responsabilità della fede che ne deriva come sequela del Crocefisso stesso: la fede non è “credere”, ma seguire Cristo. Ora il mistero di Cristo è pienamente risolto e svelato, ora inizia il grande mistero nell’attesa della nostra trasfigurazione finale, quella riservata a tutti coloro che seguono Gesù fin sull’alto monte del Calvario, obbedendo alla voce di Dio che ci dice “Ascolta il mio Figlio prediletto!”.

Eccoci dunque alla conclusione del nostro cammino. Ora terminano i nostri incontri, ma comincia la vita rileggendo il Vangelo, con Marco, alla scoperta di Gesù.