17 marzo 2018
Con Marco alla scoperta di Gesù
Settima tappa: Cap. 6 intero

Il capitolo 6 di Marco prosegue il cammino alla scoperta della vera identità di Gesù, e questo non tanto per una impostazione letteraria di Marco, ma proprio perché ci vuole tempo, molto tempo, perché anche i discepoli, e ancor di più le folle e la gente in genere, arrivi a capire chi è veramente Gesù di Nazareth. In questo capitolo si comincia con l'episodio iniziale di Gesù a Nazareth, dove i suoi concittadini e conoscenti snobbano Gesù, lo rifiutano anche come maestro e profeta; poi Marco ci dice che la gente in giro si domandava "chi è questo Gesù?", incluso il re Erode, e molte sono le risposte diverse date. Infine si arriva all'episodio della prima moltiplicazione dei pani, che però non è sufficiente a far capire ai discepoli chi è veramente Gesù, tanto che Marco, quando Gesù raggiunge i discepoli sul lago camminando sull'acqua e i discepoli lo scambiano per un fantasma, dice che essi "non avevano capito il fatto dei pani, essendo il loro cuore indurito". In mezzo ci sono la missione dei discepoli, il racconto della morte di Giovanni Battista e altri quadretti sull'attività di predicazione e guarigione di Gesù. Un capitolo denso, dunque, in cui cercherò di mettere in evidenza quello che mi è sembrato più evidente e importante per noi e per la nostra conoscenza di Gesù.

Cominciamo dunque dal primo brano, in cui Gesù, dopo il suo passaggio sulla sponda occidentale del Giordano, dove aveva operato le guarigioni dell'emoroissa e della figlia di Giairo, si sposta nella regione di Nazareth per proseguire lì il suo annuncio.

Visita a Nazareth (Mc. 6,1-6)

[1]Partito quindi di là, andò nella sua patria e i discepoli lo seguirono. [2]Venuto il sabato, incominciò a insegnare nella sinagoga. E molti ascoltandolo rimanevano stupiti e dicevano: «Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? E questi prodigi compiuti dalle sue mani? [3]Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?». E si scandalizzavano di lui. [4]Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». [5]E non vi potè operare nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi ammalati e li guarì. [6]E si meravigliava della loro incredulità. Gesù andava attorno per i villaggi, insegnando.

I concittadini di Gesù sentono anch'essi, come gli abitanti di Cafarnao, che Gesù parla in modo diverso e più autorevole rispetto ai dottori della legge che ascoltano di solito, e prendono pure atto che egli ha compiuto in giro delle guarigioni prodigiose, ma non ce la fanno proprio a credere in lui né per quello che è, il Messia, il Cristo, né come un vero profeta. Come è possibile che quel ragazzo tranquillo ma un po' strano che tutti conosciamo, che lavorava come carpentiere con suo padre Giuseppe qui in questo paese di provincia, oggi si atteggi a grande profeta? Ci deve essere qualche trucco sotto; deve essere un impostore! Per gli abitanti di Nazareth l'ostacolo per riconoscere la grandezza di Gesù, lo "scandalo" di cui parla Marco, è dato dal fatto che le attese che avevano del Messia erano molto diverse, lontane dalla ordinarietà delle forme in cui Dio si incarna, quelle cioè della vita comune, del lavoro semplice, della stanchezza, del nascondimento: ma Dio si è incarnato nel nostro mondo normale, nella nostra vita di tutti i giorni!. Questo deve far pensare anche noi, che spesso diamo più credito alle definizioni teoriche che noi uomini abbiamo dato di Dio (l'essere perfettissimo, onnipotente, ecc.) che non a come si manifesta nella vita reale e come si è manifestato nella vita di Gesù di Nazareth. Quando questa manifestazione "non torna" con la teoria, è più facile che screditiamo quello che vediamo, piuttosto che la teoria! Questo è o potrebbe essere per noi lo "scandalo", la pietra di inciampo che noi stessi poniamo e che ci impedisce di avvicinarci a Dio e a Gesù.

Tornando all'episodio narrato, Gesù "non vi poté operare nessun prodigio", perché questi non avvengono senza la fede delle persone. Che contrasto con l'episodio precedente dell'emoroissa, che resta guarita solo per aver toccato il vestito di Gesù! Come afferma Gesù, è la sua fede che l'ha salvata! E qui Marco ci dice anche che invece c'erano là "pochi" ammalati che si accostano a Gesù con fede, e possono essere guariti. Il messaggio di Marco alla sua comunità è che non basta conoscere e toccare Gesù per essere salvati e liberati: l'unico modo di "toccare" Gesù che salva è quello nella fede!

Marco, che è accurato nel descrivere i sentimenti umani di Gesù, ci dice che "si meravigliava della loro incredulità": potremmo dire che ci resta male, che ne resta amareggiato, ma non si scoraggia e prosegue il suo percorso di insegnamento in giro per gli altri villaggi. Pare comunque che sia l'ultima volta che insegna in una sinagoga: in un certo senso dà l'addio al giudaismo ufficiale, maldisposto verso di lui, e d'ora in poi si rivolge principalmente ai suoi discepoli.

E qui inizia una serie di racconti, apparentemente slegati tra loro e che va avanti nei due capitoli successivi, in cui si presenta Gesù intento a formare un nuovo "popolo di Dio", scegliendolo tra le folle e tra gli stessi pagani, cominciando qui subito dalla narrazione schematica della prima missione dei discepoli.

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Missione dei dodici (Mc. 6, 7-13)

[7]Allora chiamò i Dodici, ed incominciò a mandarli a due a due e diede loro potere sugli spiriti immondi. [8]E ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio: né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa; [9]ma, calzati solo i sandali, non indossassero due tuniche. [10]E diceva loro: «Entrati in una casa, rimanetevi fino a che ve ne andiate da quel luogo. [11]Se in qualche luogo non vi riceveranno e non vi ascolteranno, andandovene, scuotete la polvere di sotto ai vostri piedi, a testimonianza per loro». [12]E partiti, predicavano che la gente si convertisse, [13]scacciavano molti demòni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano.

È un paragrafo breve, ma che sintetizza molto bene le caratteristiche della missione dei discepoli, della Chiesa e dei cristiani. Abbiamo letto al capitolo 3 che Marco dice che Gesù "Ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demòni." (versetti 14 e 15). Ecco, ora, dopo un po' che i discepoli hanno condiviso la vita povera di Gesù, li manda in una missione in cui le istruzioni su cosa fare e cosa insegnare sono praticamente assenti, mentre la povertà è l'elemento fondamentale su cui Gesù insiste per la loro testimonianza. I discepoli non devono avere bagagli inutili, nemmeno del pane o soldi per comprarsene, e devono contare sull'ospitalità della gente che incontreranno nei paesi, e soprattutto sulla fedeltà e sulla potenza di Dio.

Papa Francesco, in un'omelia in Paraguay nel luglio 2015, sottolinea la logica di questa missione: "Gesù non li invia come potenti, come proprietari, capi, o carichi di leggi e di norme; al contrario, indica loro che il cammino del cristiano è semplicemente trasformare il cuore, il proprio, e aiutare a trasformare quello degli altri. Imparare a vivere in un altro modo, con un'altra legge, sotto un'altra normativa. È passare dalla logica dell'egoismo, della chiusura, dello scontro, della divisione, della superiorità, alla logica della vita, della gratuità, dell'amore. Dalla logica del dominio, dell'oppressione, della manipolazione, alla logica dell'accogliere, del ricevere e del prendersi cura." Da questo breve brano di Marco discende un'indicazione abbastanza chiara anche per la missione della Chiesa di oggi e dei cristiani, che devono, Chiesa e cristiani, presentarsi in "povertà", con la sobrietà di vita, con la vicinanza e la condivisione con i poveri, con la semplicità degli atteggiamenti, anche evitando di mettersi sul piano dell'erudizione ed evitando la sfarzosità delle chiese e delle liturgie, che odorano più di ricchezza, potenza e prestigio che non "di pecore", come dice papa Francesco.

Quanto al programma missionario, ancora papa Francesco sottolinea che questo è semplicemente quello di curare, guarire, alzare, liberare, cacciare via i demòni. Un programma semplice che coincide con la missione della Chiesa che guarisce e cura, come un ospedale da campo: guarire le ferite del cuore, aprire porte, liberare, dire che Dio è buono, che Dio perdona tutto, che Dio è padre, che Dio è tenero, che Dio ci aspetta sempre. Anch'io penso che il cristiano, oggi, debba collaborare a scacciare i demòni, liberare lo spirito di fratelli e sorelle da tanti "virus" che lo legano e lo fanno girare a vuoto, come paure, fobie, manie, bramosie, cupidigie, e allineare il loro "software" con lo Spirito di Dio. E per essere efficace, il cristiano deve far trasparire la luce del Cristo, far intuire che lui "dimora in Cristo" e ne condivide la vita, così come facevano i discepoli.

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Ora, prima di passare al ritorno dei discepoli dalla missione e ai fatti che seguono, Marco inserisce qui una lunga digressione, spostando l'attenzione da Gesù alle opinioni che la gente ha sul suo conto, quasi volesse dirci "e voi, fin'ora, cosa avete capito di Gesù?". Queste opinioni, queste voci, toccano anche il re Erode, e questo dà l'occasione a Marco di inserire il racconto della precedente uccisione di Giovanni Battista, si pensa con l'intento di offrire un segno premonitore di quella che sarebbe stata la sorte di Gesù e di molti suoi discepoli, quando la volontà di potere e la meschinità degli interessi umani mettono a tacere con la violenza chi proclama, con la vita, un messaggio di giustizia e di amore. Così, anche se Gesù non è il protagonista di questo brano, ne costituisce il senso pieno e finale.

Erode e l'uccisione di Giovanni Battista (Mc. 6, 14-29)

[14]Il re Erode sentì parlare di Gesù, poiché intanto il suo nome era diventato famoso. Si diceva: «Giovanni il Battista è risuscitato dai morti e per questo il potere dei miracoli opera in lui». [15]Altri invece dicevano: «E' Elia»; altri dicevano ancora: «E' un profeta, come uno dei profeti». [16]Ma Erode, al sentirne parlare, diceva: «Quel Giovanni che io ho fatto decapitare è risuscitato!».
[17]Erode infatti aveva fatto arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, che egli aveva sposata. [18]Giovanni diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere la moglie di tuo fratello». [19]Per questo Erodìade gli portava rancore e avrebbe voluto farlo uccidere, ma non poteva, [20]perché Erode temeva Giovanni, sapendolo giusto e santo, e vigilava su di lui; e anche se nell'ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.  
[21]Venne però il giorno propizio, quando Erode per il suo compleanno fece un banchetto per i grandi della sua corte, gli ufficiali e i notabili della Galilea. [22]Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla ragazza: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». [23]E le fece questo giuramento: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». [24]La ragazza uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». [25]Ed entrata di corsa dal re fece la richiesta dicendo: «Voglio che tu mi dia subito su un vassoio la testa di Giovanni il Battista». [26]Il re divenne triste; tuttavia, a motivo del giuramento e dei commensali, non volle opporle un rifiuto. [27]Subito il re mandò una guardia con l'ordine che gli fosse portata la testa. [28]La guardia andò, lo decapitò in prigione e portò la testa su un vassoio, la diede alla ragazza e la ragazza la diede a sua madre.
[29]I discepoli di Giovanni, saputa la cosa, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.

Cominciamo col primo capoverso, che ha sia il ruolo di introdurre l'episodio della morte del Battista (e quindi di anticipare anche la sorte del Cristo), sia quello di introdurre da lontano la "confessione" di Pietro, che riconoscerà Gesù come "il Cristo" al capitolo 8, nella conclusione della nostra nona tappa. Il saper riconoscere Gesù come il Messia è infatti un po' il tema dominante di tutta questa sezione che copre dal capitolo 6 al capitolo 8 e viene detta "la sezione dei pani". Quello che c'è da sottolineare qui è solo che, per ora, questo riconoscimento fallisce, perché Gesù viene identificato ancora con figure del passato, profeti anche grandi, ma morti, e non come il Dio vivente incarnato. Questa è in effetti l'unica risposta che l'uomo può dare con le sue risorse umane: saper riconoscere il Cristo vivo e presente è la difficoltà continua del cristiano, come lo è stata per i discepoli fin quando non lo hanno visto e toccato dopo la risurrezione.

L'episodio della morte di Giovanni Battista è molto drammatico e abbastanza sconvolgente. Da una parte c'è la figura del Battista, un profeta che parla in nome di Dio. Uomo integro, non diviso in sé stesso come spesso siamo noi, tirati di qua e di là da passioni, desideri, timori, ambizioni. Uomo libero e come tale uomo scomodo, perché non può essere pilotato dal potente di turno con promesse di carriera o di ricchezza. A lui non interessano i sondaggi, non cambia i suoi programmi a seconda dei risultati dell'audience. Giovanni vive solo la missione di rendere testimonianza alla Luce e preparare le vie al Cristo che viene, invitando tutti a convertire il loro cuore.

Dall'altra parte c'è invece un ambiente completamente impastato di interessi, di passioni, di apparenza. Erode non è che fosse in sintonia con la predicazione del Battista, e rimaneva perplesso per quanto era diversa la logica del Battista da quella della mentalità del potere. Però, pur essendone disturbato, accettava volentieri che la parola del Battista risuonasse dentro di lui. Ciononostante, si trova così invischiato nei falsi valori dell'onore alla parola data e dal timore della brutta figura davanti ai notabili della Galilea che, come un pupazzo manovrato da fili esterni, non può fare a meno di ordinare di uccidere il Battista.

Viene dunque qui anticipato il cuore del Vangelo di Marco, in cui il Cristo vero deve farsi strada attraverso il pregiudizio e il peccato, quello dei suoi contemporanei come quello dei suoi discepoli, come pure il nostro. Il mondo fuori e dentro di noi si oppone al suo riconoscimento e fa di tutto per metterlo a tacere. Mi viene a questo punto subito in mente papa Francesco che, pur essendo il sommo pontefice della Chiesa Cattolica, viene attaccato duramente da molte persone di potere, da molti cattolici autodefiniti "ortodossi" e da diversi alti prelati, per il fatto di non esitare a denunciare le storture della società e della politica e, forse ancor di più, quelle presenti nella Chiesa Cattolica stessa. Ma questo è il vero ruolo del profeta! La chiesa perde il suo spirito profetico ogni volta che viene a patti col potere e che non denuncia le carenze della società umana in rapporto agli insegnamenti di Cristo. La Chiesa deve essere libera, povera e profetica, testimoniando a parole e con i fatti la giustizia, la pace e l'amore che Gesù Cristo ci ha manifestato.

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Si riprende ora il racconto su Gesù, col ritorno dei discepoli dalla missione, che ora leggiamo.

Ritorno dei discepoli (Mc. 6, 30-32)

[30]Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato. [31]Ed egli disse loro: «Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po'». Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare. [32]Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte.

Notiamo per inciso che solo qui Marco usa il termine "apostoli", nel suo significato originario di "inviati". I dodici, inviati da Gesù nella prima loro missione di annuncio della Buona Notizia, ritornano esultanti ma anche stanchi. L'invito di Gesù è a "stare con lui", in disparte, in un luogo solitario, e riposarsi.

Quello che emerge da questi tre versetti è lampante: l'azione apostolica deve alternarsi con lo "stare con Gesù", da cui trae il suo nutrimento. In termini nostri, Gesù ci invita a coltivare momenti di silenzio e di una preghiera che è soprattutto "stare con lui". Bello! Quando ci impegniamo in attività di volontariato, di aiuto al prossimo o di annuncio, rischiamo di lasciarci prendere dalla pianificazione e conduzione delle attività e dalle riunioni, e trascuriamo di alimentare il nostro spirito con i tempi di "riposo" in Cristo. E, guardate, non è che si debba dibattere tra noi se sia necessario o no dedicare del tempo per stare con lui: è Gesù che ce lo chiede!!!

Ho mai pensato al tempo di preghiera come un invito esplicito di Gesù a stare un po' con lui? Ho mai pensato al tempo di preghiera come a un tempo di riposo, di ristoro? Ripenso a quei due canti di Taizé, "il Signore ti ristora" e "Mon âme se repose en paix sur Dieu seul: de lui vient mon salut": la mia anima si riposa in pace solo in Dio, da lui viene la mia salvezza.

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Il tentativo di Gesù di restare un po' con i suoi discepoli in un luogo solitario è però destinato a durare poco. Vediamo cosa succede:

Predicazione alla folla e moltiplicazione dei pani (Mc. 6, 33-44)

[33]Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero. [34]Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

[35]Essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i discepoli dicendo: «Questo luogo è solitario ed è ormai tardi; [36]congedali perciò, in modo che, andando per le campagne e i villaggi vicini, possano comprarsi da mangiare». [37]Ma egli rispose: «Voi stessi date loro da mangiare». Gli dissero: «Dobbiamo andar noi a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?». [38]Ma egli replicò loro: «Quanti pani avete? Andate a vedere». E accertatisi, riferirono: «Cinque pani e due pesci». [39]Allora ordinò loro di farli mettere tutti a sedere, a gruppi, sull'erba verde. [40]E sedettero tutti a gruppi e gruppetti di cento e di cinquanta. [41]Presi i cinque pani e i due pesci, levò gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai discepoli perché li distribuissero; e divise i due pesci fra tutti. [42]Tutti mangiarono e si sfamarono, [43]e portarono via dodici ceste piene di pezzi di pane e anche dei pesci. [44]Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini.


Non c'è speranza di stare in pace: dovunque Gesù vada la gente lo vede e lo rincorre. La barca evidentemente procedeva parallela alla riva del lago, e la folla riesce ad essere più veloce della barca. Chissà cosa spinge tutta questa gente dietro a Gesù? Alcuni dettagli delle narrazioni di Marco fanno intravedere il formarsi di un movimento di tipo politico e nazionalistico, che vedeva in Gesù il Messia liberatore di Israele, ma la reazione di Gesù che si commuove ci dice anche che lui coglieva nella gente una fame profonda di Buona Notizia, una fame che evidentemente non era saziata dagli insegnamenti dei dottori della legge, dei sacerdoti, degli scribi. Il fatto che Gesù veda la folla "come pecore senza pastore" richiama passi diversi dell'Antico Testamento in cui viene denunciato il tradimento di coloro che dovevano fare da guida al popolo di Israele. Gesù si presenta così come il vero pastore atteso, quello capace di dare la vita per le proprie pecore e che porta alla salvezza.

Papa Francesco sottolinea, in una udienza del luglio 2015, i verbi che caratterizzano Gesù Buon Pastore, i cosiddetti "verbi del pastore": vedere, avere compassione e insegnare. Vedere e avere compassione sono verbi sempre associati tra loro nell'atteggiamento di Gesù, perché lui guarda con gli occhi del cuore. E anche la sua compassione non è soltanto un sentimento umano, ma la commozione del Messia in cui si è fatta carne la tenerezza di Dio.
È questa compassione che spinge Gesù a nutrire la folla col pane della parola di Dio: Gesù vede, ha compassione, insegna!

Dal versetto 35 inizia il racconto della prima moltiplicazione dei pani. I versetti da qui alla fine del capitolo li ho trovati non facili da spiegare e commentare, perché in essi non solo si descrive il fatto, che non è assolutamente messo in discussione in quanto vero evento miracoloso, né da Marco né dagli altri evangelisti (non va cioè inteso come un semplice mettere in comune il poco che ciascuno si era portato da casa!), ma allo stesso tempo sono densi di insegnamenti che Gesù stesso, e quindi Marco, vogliono dare. In questo racconto emerge, tra l'altro, l'intenzione di Marco di presentare l'episodio come anticipazione del dono dell'eucarestia, e anche quella di far notare l'incapacità di vedere e di capire dei discepoli.
Gesù appare qui come
il nuovo Mosè, che guida, istruisce e sfama la gente, il nuovo popolo che si va formando. Si osservi che la folla inizialmente è anonima: i discepoli si preoccupano per essa, ma la vedono solo in termini di numero calcolando che a colpo d'occhio saranno circa cinquemila uomini! Con il dialogo serrato di Gesù coi discepoli, Marco fa risaltare la necessità che la fede, alimentata dal seguire Gesù, si concretizzi anche nell'azione. Gesù cerca di scardinare la mentalità dei discepoli secondo cui quello che c'è da fare è congedare la folla o, tutt'al più, comprare il pane con i soldi. No, Gesù dice "Provvedete voi stessi, datevi da fare di persona, coinvolgetevi con queste persone". E, sulla spinta di Gesù, la folla, da anonima che era, diventa una comunità, come sottolinea papa Francesco.
Questa folla/comunità viene fatta sedere a gruppi di familiari e di amici, gruppi di cinquanta, cento, come nelle cene parrocchiali nei campetti, come nelle tavolate di una festa di paese. Gesù è lì in mezzo a loro, in mezzo a questa folla diventata una comunità. Emerge qui, sottolinea sempre papa Francesco, una proposta di solidarietà umana che non si concretizza in qualche gesto sporadico di carità, ma che consiste in un cambiamento di mentalità: pensare in termini di comunità piuttosto che in termini individualistici, pensare in modo inclusivo, rifiutando la logica dell'emarginazione.

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Arriviamo così all'ultimo brano, che conclude questa giornata densa di Gesù e ne apre un'altra.

Gesù cammina sulle acque e guarigioni a Genesaret (Mc. 6, 45-56)

[45]Ordinò poi ai discepoli di salire sulla barca e precederlo sull'altra riva, verso Betsàida, mentre egli avrebbe licenziato la folla. [46]Appena li ebbe congedati, salì sul monte a pregare. [47]Venuta la sera, la barca era in mezzo al mare ed egli solo a terra. [48]Vedendoli però tutti affaticati nel remare, poiché avevano il vento contrario, gia verso l'ultima parte della notte andò verso di loro camminando sul mare, e voleva oltrepassarli. [49]Essi, vedendolo camminare sul mare, pensarono: «E' un fantasma», e cominciarono a gridare, [50]perché tutti lo avevano visto ed erano rimasti turbati. Ma egli subito rivolse loro la parola e disse: «Coraggio, sono io, non temete!». [51]Quindi salì con loro sulla barca e il vento cessò. Ed erano enormemente stupiti in se stessi, [52]perché non avevano capito il fatto dei pani, essendo il loro cuore indurito.

[53]Compiuta la traversata, approdarono e presero terra a Genèsaret. [54]Appena scesi dalla barca, la gente lo riconobbe, [55]e accorrendo da tutta quella regione cominciarono a portargli sui lettucci quelli che stavano male, dovunque udivano che si trovasse. [56]E dovunque giungeva, in villaggi o città o campagne, ponevano i malati nelle piazze e lo pregavano di potergli toccare almeno la frangia del mantello; e quanti lo toccavano guarivano.


Si è fatto ormai tardi e Gesù manda via i discepoli, "li costringe" a partire, e congeda la folla, per restare finalmente un po' da solo... Sì, l'inizio di questo brano è abbastanza sorprendente per come viene presentato un Gesù ruvido, ma l'evangelista vuole dirci qualcosa di importante. Gesù è fedele alla sua missione di servo di Jahvè e non lascia spazio alle illusioni della folla e dei suoi discepoli che vedono in lui il nuovo re di Israele. Si ritira invece a pregare sul monte, luogo dell'incontro con il Padre. È il contatto costante col Padre che impedisce a Gesù di cadere nel modo di pensare umano in termini di potere. Gesù, al contrario, libera da ogni potere, che per sua natura opprime, vivendo e ordinando di vivere l'unico comandamento che libera, quello dell'amore fraterno.

I versetti che seguono sono difficili da capire ma densi di significato profondo. Marco vuole dire che Gesù, con la moltiplicazione dei pani, voleva dare un segno del suo dono di amore e dare il messaggio di una fraternità universale in cui lui, il Cristo, è presente. Quando, al versetto 52, Marco cita "il fatto dei pani" e dice che "non lo avevano capito, essendo il loro cuore indurito", si riferisce all'incapacità dei discepoli di andare al di là del Gesù uomo, per cui scambiano Gesù per un fantasma. L'insegnamento che Marco vuole dare alla sua comunità è quello centrale del Vangelo: credere che la reale presenza del Signore si ha nello "spezzare il pane", nell'amore fraterno. Altrimenti il Cristo viene visto come una favola, come un fantasma, appunto.

Bellissimo però come Gesù non si scomponga davanti all'incapacità dei discepoli di riconoscerlo e di capire: 
«Coraggio, sono io, non temete!» Gesù è paziente anche con noi e confida che prima o poi riusciremo a riconoscerne la presenza e che l'amore fraterno che lui ci chiede non è un'illusione, non è un fantasma.

La durezza dei cuori dei discepoli si contrappone, negli ultimi versetti del capitolo, alla fede semplice della folla, che "tocca" il Cristo e viene guarita, viene salvata. Questa gente non si avvicina a Gesù con schemi mentali preconfezionati e quindi lo riconosce subito, entra in contatto con lui, assorbe la sua potenza di guarigione.

In una meditazione del 9 gennaio 2015, papa Francesco si sofferma sulla "durezza di cuore", che può nascere da cause diverse, come esperienze dolorose, chiusura in sé stessi, insicurezza, e ricorda che solo lo Spirito Santo ci può liberare dalla durezza di cuore, ci può insegnare a riconoscere il Cristo e ad amare, come avverrà poi pienamente per i discepoli con la Pentecoste.

E allora concludiamo questo incontro tenendo in cuore la consapevolezza di avere anche noi il cuore indurito, di non saper riconoscere il Cristo nelle sue manifestazioni, di non saper rispondere alle sue chiamate. E tenendo in cuore la voglia di far lavorare lo Spirito dentro di noi, che ci ammorbidisca il cuore e ci permetta di toccarlo e di essere guariti.