Questa
sera vogliamo riflettere sul capitolo 9 del Vangelo di Giovanni che,
come sappiamo, è stato l’ultimo a essere scritto e che alcuni autorevoli
biblisti definiscono addirittura come una sorta di commento spirituale
dei tre sinottici.
Ma cosa si intende per spiritualità del Vangelo di Giovanni? È il tentativo di leggere negli episodi narrati, non importa se storicamente certi o se solo simbolici, l’amore del Padre che procede nel Figlio per mezzo dello Spirito per raggiungere ogni uomo, l’umanità intera. In altre parole ci fa scoprire di essere figli amati e che la salvezza ci raggiunge per Grazia e non per le opere che compiamo, come ci ricorda San Paolo nella lettera ai Romani. L’episodio narrato in questo capitolo è quello famoso così detto del “cieco nato” e si colloca dopo che Gesù abbandona il tempio dopo una accesa controversia con le autorità religiose ed esce incontro al mondo degli esclusi (Gv 8,59) e prima dell’episodio in cui il Cristo si presenta come il vero Pastore del suo popolo, che libera le pecore chiuse nei recinti delle istituzioni religiose del tempo e va incontro a quelle escluse, i lontani, i pagani, gli increduli, i peccatori (Gv 10,16). Siamo dunque nella prima metà del Vangelo di Giovanni, detta dei segni, che si può definire come una sorta di preparazione per comprendere poi la seconda parte che, come sappiamo, va dal racconto dell’ultima cena alla passione, morte e resurrezione di Gesù. Giovanni ci illustra con sette segni sette aspetti della buona notizia che è la resurrezione del Cristo nella quale in qualche modo siamo coinvolti e dalla quale siamo chiamati a lasciarci illuminare. Il primo dei sette segni è l’episodio delle nozze di Cana che è un invito al banchetto Eucaristico, una anticipazione della nostra partecipazione alla resurrezione di Gesù. L’ultimo dei segni sarà la resurrezione di Lazzaro, che sarà il più simile plasticamente alla resurrezione di Gesù, anche se sappiamo che sono due cose molto diverse. Vediamo stasera il sesto dei segni che si sviluppa attraverso tre momenti. Il primo è l’incontro tra Gesù e il cieco: Gesù passa, lo vede, lo guarisce, lo invia (alla piscina di Siloe). Nel secondo momento, assente Gesù, l’ex cieco viene interrogato dalle autorità religiose (non vedevo, ora vedo). Nel terzo quadro, il colloquio tra Gesù e l’ex cieco. Dunque scendiamo un po’ di più nel dettaglio e proviamo a riflettere su alcuni passaggi rilevanti di questo brano. Guarigione del cieco nato (Gv 9, 1-41)
Gesù, uscito dal tempio, PASSANDO vide un uomo cieco dalla nascita. La prima cosa che voglio sottolineare è proprio quel verbo “passando
vide”. Gesù non sta facendo una passeggiata, Gesù passa, o meglio,
entra, attraversa, la vita del cieco, che non ha un nome preciso perchè
è il simbolo di ogni uomo. Cieco è ognuno di noi, Gesù entra e
attraversa la nostra umanità, anticipa in qualche modo la sua passione
e vede che l’uomo è cieco, non riesce a vedere l’amore di un Dio che dà
la vita per la nostra salvezza, per renderci la vista e lasciarci
illuminare da Lui.
Gesù, rispondendo ai suoi discepoli, mette in chiaro che l’infermità, la malattia, il dolore non sono conseguenza del peccato come si pensava nella cultura del tempo. Dio non invia castighi: Dio ci ama. Detto questo, Gesù impasta la terra con la saliva e dopo averla messa sugli occhi del cieco lo invita ad andare a lavarsi nella piscina di Siloe che, sottolinea il testo, significa “inviato”. Fatto ciò il cieco riacquista la vista. In questo passaggio è chiaro il riferimento alla narrazione della creazione dell’uomo nell’antico testamento (Gn 2,7). Come Dio ha creato l’uomo, così Gesù ricrea l’uomo nuovo. Il lavarsi alla piscina di Siloe assume un doppio significato: da un lato richiama all’immersione battesimale, la purificazione attraverso il dono dello Spirito, e ancor più sta nel nome della piscina il senso del gesto: ” Inviato”. Ma chi è l’inviato se non Gesù stesso? L’evangelista dunque ci sta dicendo che se vogliamo tornare a vederci, se vogliamo uscire dall’oscurità del nostro peccato, dobbiamo immergerci in Lui lasciandoci guidare dal suo esempio, ascoltando la sua parola e vivendola nel nostro quotidiano; in altre parole vivendo con amore e per amore. Solo così potremo uscire dal buio e tornare, guariti, a vedere. La conseguenza immediata della guarigione dell’ex cieco è che non viene riconosciuto. Non sono certo cambiati i suoi connotati fisici, ma ha riacquistato dignità: l’incontro con il Cristo gli ha ridonato la luce degli occhi, è diventato una persona nuova al punto che può affermare “sono io” (lo stesso nome di Dio) non certo perchè si è fatto Dio, ma perchè ora vede il Suo Amore e partecipa anticipatamente alla sua Resurrezione. L’ex cieco forse sta ancora cercando di capire bene cosa gli sia successo per goderne fino in fondo i benefici quando viene sottoposto a un interrogatorio da parte delle autorità religiose che vedono compromessa la loro credibilità e soprattutto minacciato il loro potere. I primi a interrogarlo sono i Farisei che non vogliono credere a quanto accaduto e cercano un appiglio per screditare Gesù: solo Dio può operare in quel modo. Nell’Antico Testamento la guarigione dalla cecità e la salvezza dall’opressione sono immagine dell’azione liberatrice di Dio: come può quel Galileo pretendere di farsi uguale a Dio? No non è possibile, non può essere perchè opera queste cose nel giorno di Sabato, ha trasgredito il comandamento che osserva anche il Signore e per questo tipo di trasgressione è prevista la pena di morte (Es. 31,14). Tuttavia in alcuni di loro si insinua il dubbio: "Come può un peccatore compiere tali segni?". Allora si rivolgono all’ex cieco per avere chiarimenti: “Che dici di colui che ti ha aperto gli occhi?”. Qui c’è il salto di qualità del guarito: “E’ un Profeta”. Colui che era stato cieco da sempre ha iniziato il percorso di conversione: dopo essersi lasciato incontrare da Gesù e aver preso coscienza di sé e della sua condizione, ora comprende che chi gli ha ridonato la luce opera nel nome del Signore, è un Profeta. Farisei e capi religiosi non accettano questa verità e rimangono chiusi nella loro cecità, aggrappati a regole e norme imposte per mantenere i loro privilegi. La situazione si è ribaltata: chi era cieco ora vede e coloro che credevano di vedere si rifiutano di accogliere la vera Luce. Secondo la Legge che regolava il sabato erano millecinquecentoventuno i lavori proibiti, tra cui quello di impastare il fango e curare gli ammalati. Gesù non trasgredisce la legge ma la porta a compimento. Il compimento della creazione è poter vedere il Cristo, contemplare la sua luce e partecipare alla sua resurrezione. I sacerdoti non demordono e vogliono far ammettere per l’ex cieco che sarebbe stato meglio rimanere cieco che essere guarito da un peccatore. La risposta è strabiliante: ”non so se è un peccatore, so che non vedevo e ora vedo”. La sapienza dei capi religiosi è basata sulla dottrina, quella dell’ex cieco è una sapienza esperenziale e arriva ad affermare: ”Se costui non fosse da Dio, non avrebbe potuto far nulla”. Siamo chiamati a fare esperienza del Cristo, a vivere nella sua umanità, a vedere la luce del suo Amore per l’umanità intera che si irradia dalla croce al culmine della Sua Passione. Il capitolo si conclude con una scena bellissima: l’ex cieco viene cacciato fuori e lì, ”fuori” dai luoghi della tradizione oscurantista, incontra ancora Gesù e proclama la sua professione di Fede. Alla domanda di Gesù: ”Tu credi nel Figlio dell’uomo?” risponde ”Credo, Signore”, lo chiama "Signore" e si prostra. Credere nel Cristo significa seguirlo nel suo percorso, accettare di essere cacciati fuori. Gesù è stato portato fuori dalle mura di Gerusalemme per essere crocefisso sul Golgota dove la tradizione voleva che fosse sepolto Adamo. È bello pensare che sulla tomba dell’uomo vecchio che è Adamo, in Gesù nasca l’uomo nuovo attraverso il dono della sua vita che è la manifestazione della Sua gloria. La definizione della nostra fede è proprio questo: partecipare alla Pasqua del Signore, fare della nostra vita un tutt’uno con la vita del Signore, essere immersi nella fonte battesimale di Siloe, cioè essere inviati, essere disposti a subire la stessa sorte di Gesù andando in ”direzione ostinata e contraria” come ci ricordava Claudio nell’ultimo incontro. Possiamo dire in conclusione che questo sesto segno del Cieco-nato è lo strumento che ci consente di vedere e quindi partecipare alla luce che si sprigiona dalla passione, morte e resurrezione di Gesù, dobbiamo vivere come i girasoli che si orientano alla luce del sole non per una semplice azione meccanica ma perchè da quella luce traggono il nutrimento vitale.
...Dio del cielo se mi vorrai amare scendi dalle stelle e vienimi a cercare senza di Te non so più dove andare come una mosca cieca non sa più volare... ...Dio del cielo se mi vorrai amare scendi dalle stelle e vienimi a salvare... Dio del cielo se mi cercherai in mezzo agli altri uomini mi troverai... ...Dio del cielo, io Ti aspetterò nel cielo e sulla terra ti cercherò... (Fabrizio De Andrè)
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