40° Campo di Comunità Una                   Bardineto, domenica 29 luglio 2018

"Signore salvami!"

Introduzione al Campo: il mistero del male e della sofferenza e il bisogno della salvezza di Gesù.

(trascrizione della relazione a voce)


Gesù cammina sulle acque, la sfida del mare (Mt 14, 22-32)
Subito dopo ordinò ai discepoli di salire sulla barca e di precederlo sull’altra sponda, mentre egli avrebbe congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù.
La barca intanto distava già qualche miglio da terra ed era agitata dalle onde, a causa del vento contrario.
Verso la fine della notte egli venne verso di loro camminando sul mare. I discepoli, a vederlo camminare sul mare, furono turbati e dissero: “E’ un fantasma” e si misero a gridare dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro: “Coraggio, sono io, non abbiate paura”. Pietro gli disse: “Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque”. Ed egli disse: “Vieni!”. Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma per la violenza del vento, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: “Signore, salvami!”. E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”.
Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca gli si prostrarono davanti, esclamando: “Tu sei veramente il Figlio di Dio”.


Il tema di questa nostra settimana insieme parte dal vangelo che abbiamo appena letto e che lo scorso anno ci aveva condiviso Remo, il quale aveva sottolineato come Pietro, rivolgendosi a Gesù, non avesse detto "Signore, aiutami!" ma "Signore, salvami!", che come ben possiamo capire ha un senso molto diverso: "Signore aiutami!" indica la richiesta a Dio di un aiuto per uscire da una situazione complicata (Pietro stava annegando), e quindi chiede a Dio che dia risposta ai nostri bisogni del momento, mentre l'invocazione "Signore, salvami!" è qualcosa di più, va oltre. Il tema di questa settimana è un tema un po' particolare, è il tema del male, perché nella nostra vita ci troviamo ad affrontare il male, la sofferenza, la malattia, la difficoltà, la vecchiaia; sì la vecchiaia, periodo della vita nel quale affrontiamo in modo particolare la debolezza.

Ecco che cosa è il male, noi cerchiamo la salvezza dal male. Di fronte al male, chiediamo la guarigione o qualcosa di diverso. Ma il male quale è? I miracoli che Gesù nel corso della sua vita ha fatto che cosa erano, cosa rappresentavano? A me piacerebbe che uscissimo da questa settimana (come si dice oggi, vi sciupo la sorpresa, vi anticipo come va a finire) dicendo che il male sono le nostre difficoltà ad andare incontro a Gesù; non sta nella mia glicemia alta, o i problemi di salute di Silvia: il male sta nella mia incapacità di avvicinarmi a Gesù; infatti i miracoli sono guarigioni, ma nel senso di ricevere una vita nuova. Ti do la possibilità di vedere cose nuove, purché tu sappia che sei cieco, perché se pensi di essere un vedente, scoprirai che in realtà tu non vedi niente, perché non troverai la forza di dire, ed era questo che mi pareva volesse dire Remo, "Signore , salvami!" cioè prendi la mia vita e tirami su, la vita tutta intera.

Allora la prima cosa, come introduzione, è questa: noi pensiamo che il male sia la punizione di Dio perché noi abbiamo commesso qualche tipo di peccato; attenzione questa è un'idea insita nella mente dell'uomo, tanto è che la Bibbia, Parola di Dio ma scritta dall'uomo, nelle sue prime pagine dice che l'uomo è nato per essere immortale, ma che a un certo punto abbiamo rotto la nostra amicizia con Dio. Viene detto in Gn 3,16-ss che all'umanità vengono date una serie di punizioni per il peccato commesso: due sono uguali per l'uomo e per la donna ovvero la morte e la sofferenza, il dolore, mentre la terza è diversa: all'uomo viene dato il dovere di lavorare per mantenere la propria famiglia, mentre alla donna viene dato  il dolore nel momento del parto, il momento più bello accompagnato da uno dei dolori più forti. Però questa è un'idea a posteriori, cioè una riflessine che parte dalla constatazione dell'esistente: di fronte al dolore, alla sofferenza e alla morte, l'autore della Genesi, ma un po' anche noi, è portato a ritenere tutto questo una punizione, ma è un'idea sbagliata o meglio è un'idea non completamente corretta. Dove è la verità di quel mito: non è certamente l'idea che il dolore sia la punizione per quello che Adamo ed Eva avrebbero fatto; il problema è che volendo esser arbitri di noi stessi, decidendo cosa era bene e cosa era male, ci siamo allontanati da Dio. La reazione di Dio al peccato, le prime parole che dice sono di una meraviglia unica, parole che purtroppo non commentiamo mai, è Dio che chiama l'umanità e dice: "Dove sei?". Da qui comincia una eterna ricerca dell'uomo e della donna da parte di Dio. Allora il problema è che noi ci siamo trovati in difficoltà, limitati, solo perché siamo creature, siamo fatti così; Dio a noi creature ha dato il limite perché noi potessimo essere responsabili della nostra vita; se fossimo perfetti non sbaglieremmo mai, ma non potremmo mai neanche fare del bene, saremmo "costretti" a fare il bene. Gli angeli o sono costretti a fare gli angeli o sono costretti a fare i diavoli, dipende dalla loro prima scelta, l'unica che hanno avuto; noi abbiamo la possibilità di convertirci nel bene e nel male. Allora la sofferenza non è atro che il segno della nostra possibilità di essere nella storia, cioè nel percorso della vita, di diventare, oltre che di esserlo già davvero, figli di Dio. L'affrontare la sofferenza è la possibilità (sia chiaro, io lo dico da persona che non ha mai dovuto affrontare certe situazioni) di esprimere nella storia, concretamente nella mia vita, l'amore.

Nella Bibbia troviamo diverse riflessioni sul tema del male; l'esempio più grande è la figura di Giobbe. È diventata proverbiale la pazienza di Giobbe, eppure, vi invito a leggerlo quel libro, Giobbe non è paziente per niente, Giobbe è molto arrabbiato con Dio perché non capisce il motivo di tutto ciò che gli stava capitando. Ma nel suo essere arrabbiato, Giobbe trova la forza per credere, per affidarsi all'amore di Dio, si riconosce figlio di Dio.

Di fronte al problema del male noi abbiamo un'unica risposta: il male è frutto del nostro essere limitati, del nostro essere creature e ci dà la possibilità di vivere la nostra storia; pertanto l'unica risposta è il volto di Gesù, il Dio crocifisso. Riprendo un esempio che Marco Gaetano cita spesso: di fronte a un terremoto, dove sta Dio? Il nostro Dio sta sotto le macerie con tutti coloro che soffrono e, attenzione, qualsiasi altra risposta per noi diventa bestemmia: perché se Dio è onnipotente ed esiste il male allora Dio non è onnipotente o è Lui il creatore, l'origine del male. Il Dio di Gesù Cristo condivide tutto con l'umanità, anche la sofferenza e la morte. L'esistenza del male ci permette di dire che Dio è con noi in ogni momento, in quelli belli e in quelli dolorosi e questo credo sia quello che piano piano cercheremo di scoprire insieme attraverso le nostre condivisioni.

Vi chiedo di non fermarsi alla sofferenza fisica, anche se capisco che è quella che ci punge di più, però noi siamo chiamati anche e soprattutto a un cammino di tipo spirituale. Dio ci chiama a camminare, ecco perché guarisce gli zoppi, Dio ci chiama a vedere, ecco perché ridona la vista ai ciechi. Dio ci chiama a servire, ecco perché sana la suocera di Pietro: è lì il vero cammino che dobbiamo compiere e lo si può compiere a tutte le età; forse siamo arrivati a pensare a questo tema perché la nostra età ci pone dinanzi degli impedimenti, si comincia a fare fatica a fare le cose, non abbiamo più voglia di farne tante; eppure una telefonata, una parola, quella si può fare anche da vecchietti come forse ci sentiamo. Non potremo più magari giocare e stare con i ragazzi per tutto il giorno e poi passare metà della notte a fare la revisione delle attività fatte come facevo da educatore APLP, ma mica siamo chiamati a fare quello oggi. Confrontarsi con la propria "sofferenza", con le proprie difficoltà, con il proprio limite è cogliere quello che possiamo fare e abbiamo il dovere di porlo in essere, di farlo.

Parlavo prima di ciechi, zoppi, malati; io ho molti miei ex alunni come amici su facebook e girano cose indicibili: come ad esempio sul problema dell'immigrazione "finalmente li lasciamo morire!"; allora è possibile, a 40, 50 o 70 anni, digitare una risposta: ma morire chi? Abbiamo chiuso i porti, ma soprattutto abbiamo chiuso i cuori, poi forse non convertiremo nessuno, ma è peccato di omissione il nostro stare zitti e può diventare complicità: scriviamo, parliamo, ma non possiamo più stare zitti. Di fronte a voi non vi pare che ci sia un mondo di ciechi che non vedono, di sordi che non ascoltano, di lebbrosi che hanno un cuore insensibile; non ci pare che siano necessarie una nuova evangelizzazione nel senso di una nuova educazione  all'amore e al servizio a partire dai nostri figli, dai nostri nipoti dalla gente che incontriamo sul lavoro o al mercato?
L'altro giorno parlavo con Riccardo che dopo la laurea sta pensando a come completare gli studi con un corso sulla comunicazione sociale e politica: "vorrei combattere Salvini con il suo stesso mezzo". Lui che mi sembrava così indifferente di fronte agli aspetti politici, la fede non gliel'ho passata (ma qui ci penserà il Signore), ma almeno non pensa che bisogna lasciare morire gli immigrati in mezzo al mare; mi sono sentito orgoglioso di una frase del genere. Ecco, spero che questo sia un momento per risvegliare il nostro essere credenti, persone che vivono con gli occhi aperti per vedere, con gli orecchi attenti per poter sentire, con i piedi pronti per poter camminare, con il cuore libero dai nostri demoni che ci impediscono di andare incontro al Signore perché quello che è fondamentale è che Gesù ci chiama a una vita nuova anche a 70 anni si è sempre in tempo per rinascere ad una vita nuova.

Raccogliamo ora i pendagli con i nostri nomi. Ci conosciamo e non c'è più bisogno di avere di fronte a noi il fratello e la sorella con il suo nome di fronte, ma questo gesto è un modo per dire a noi stessi e agli altri "io ci sono", e d'altronde è questo secondo gli ebrei il nome vero di Dio, quindi è questo il nostro modo per dire io ci sono non solo in questa settimana ma nella vita, pur con tutti i nostri limiti, perché ciò che conta non è essere guariti, ma riconoscersi salvati e operare e chi non è capace almeno preghi. Poi non smettiamo di annunciare il vangelo in ogni occasione opportuna e inopportuna. Allora "Talita Kum" (fanciulletta alzati!), umanità rialzati, anche se sei piegata dagli anni, dalle malattie, alzati, torna al alzare il tuo sguardo apriti all'altro, corri incontro al tuo Dio; non possiamo tacere di fronte a tutti gli atti di razzismo di questi giorni, dove sembra normale sparare ad un uomo e poi affermare di essere a caccia di piccioni; attenzione, se questi gesti in queste settimane non ci hanno scandalizzato abbiamo la lebbra nel cuore, andiamo al lebbrosario a farci curare.