40° Campo di Comunità Una                   Bardineto, lunedì 30 luglio 2018

"Fatelo uscire!"

"Togliete, la pietra", "vieni fuori", "scioglietelo": i verbi per vivere vivi

(trascrizione della relazione a voce)



Il vangelo di oggi è il racconto della resurrezione di Lazzaro e rappresenta, nel vangelo di Giovanni, il culmine dell'attività di Gesù. È infatti il settimo segno, il settimo miracolo (iniziati col cambiamento dell'acqua in vino alle nozze di Cana, poi la moltiplicazione di pani, guarigioni del cieco e del paralitico e così via), ed il numero sette, come saprete, è indicativo nella cabala ebraica dove rappresenta la perfezione. Ed è anche l'ultimo, perché questo racconto si conclude con la decisione dei capi del popolo di uccidere Gesù. Cosa vuol dire? Che per la nostra vita Gesù dona la sua. Seguiranno poi gli ultimi dieci capitoli che parlano della Pasqua, con l'ultima cena ed il lungo discorso d'addio, poi la passione, la morte e la resurrezione.
Mi sembrava importante iniziare questa mia condivisione con il discorso su quello che è per noi la morte: ce ne parla san Paolo in quella che è la sua lettera più teologica, una sorta di piccolo catechismo, la lettera ai Romani, in cui san Paolo, a partire dal battesimo, svolge la sua riflessione sul tema della morte nei capitoli 5 e 6. Nei versetti 6,4-11 si legge:

"Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione. Sappiamo bene che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui, perché fosse distrutto il corpo del peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato. Infatti chi è morto, è ormai libero dal peccato.
Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Per quanto riguarda la sua morte, egli morì al peccato una volta per tutte; ora invece per il fatto che egli vive, vive per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù."

Riprendo poi un po' quanto detto ieri sera, anche per cercare di spiegarmi meglio, ma nel frattempo rileggiamo insieme alcuni versetti del brano della resurrezione di Lazzaro, che di per sé prende tutto il capitolo 11, se volete andarlo a rileggere completamente [ndr: capitolo 11 riportato in fondo alla pagina]:

Gesù si era ritirato, sapeva che le cose per lui non andavano bene e temeva di essere catturato ed ucciso. Anche Gesù temeva di andare incontro alla morte; forse anche per Dio è difficile andare a morire. È idea sbagliata pensare che Dio a cuor leggero abbia offerto il suo Figlio per la nostra salvezza, così come è sbagliata l'idea che la morte sia qualcosa di banale. Anche per Dio la morte è una cosa seria: Gesù non voleva morire, non solo al Getsemani, ma anche in altri momenti del vangelo Gesù: Gesù si ritirava in preghiera non solo perché volevano farlo re e questo era contrario ai suoi progetti, ma anche a volte perché lo volevano uccidere. Gesù qui si ritira a Betania, un paesino sui monti intorno a Gerusalemme per evitare di essere catturato: Gesù era alla macchia. A Gesù mandano a dire che Lazzaro sta male, ma Gesù non va. Il suo rifiuto
però non era di certo motivato da una indifferenza nei confronti  di Lazzaro, ma aveva paura di essere preso ed ucciso; si sapevano che Lazzaro era amico di Gesù e quindi la casa probabilmente era controllata
Gli mandano a dire: "Colui che ami è malato" e Gesù risponde: "Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio".

Ecco, riprendiamo da ieri. Ieri abbiamo parlato del male, "perché il male?". Le risposte possibili sono diverse.
Prima risposta possibile: Dio onnipotente permette il male, allora è un Dio malvagio; tu che sei onnipotente e puoi salvarmi permetti il male? Questo è un Dio che non mi piace, un Dio da bestemmiare; è un Dio che pervicacemente vuole che l'uomo soffra, ma questo non è assolutamente possibile perché questo non è il Dio di Gesù Cristo.
C'è una seconda risposta possibile: Dio ha un nemico, Satana, il diavolo dal quale dipende l'esistenza del male. Il male è quindi frutto di Satana, colui che ostacola Dio, di colui che divide (diavolo) (satana vuol dire ostacolo). Le parole ebraiche hanno un significato preciso, come "quello che divide" o "ostacolo", mentre il nome di Dio è "Io sono", io ci sono, io sono con te. Questa risposta appare già più corretta, se però concepisco Satana come quella parte di me che mi divide, che San Paolo spiega bene ai Galati parlando di sé stesso. San Paolo aveva un problema fisico grave, aveva l'epilessia e quando aveva queste crisi epilettiche perdeva il controllo di sé e delle sue azioni. Quindi San Paolo utilizza la sua malattia come esempio, come similitudine per dire io ho dentro di me qualcosa che mi fa fare quello che non voglio: io voglio fare il bene, voglio amare, ma non ce la faccio, così come quando ho un attacco non riesco a controllare i miei movimenti. Ma quello che chiede San Paolo a Dio non è la guarigione, ma di riuscire a fare il bene, perché questo è ciò che conta. Dio quindi permette il male: c'è un avversario dentro di noi che ci impedisce di fare il bene.
Terza possibilità: noi siamo stati creati così, con un limite proprio del nostro essere creature, ma è un limite che, come ho già detto ieri, ci permette di fare il bene, cioè di essere responsabili di ciò che facciamo. Se io metto tutto nelle mani di un Dio maligno che crea il bene e crea il male o se io metto tutto nelle mani di Satana esterno a me che mi impedisce di fare il bene e che fa il male, io mi deresponsabilizzo. Queste sono risposte per dire che non è colpa mia, e questa è poi la prima conseguenza reale del peccato di Adamo ed Eva, il peccato originale: Dio va dall'uomo e gli chiede cosa ha fatto, e Adamo risponde "io niente, è stata la donna, non è colpa mia"; poi chiede alla donna ed Eva risponde "non è colpa mia è stato il serpente". Questo è il risultato del peccato, negare la propria responsabilità, togliersi la responsabilità, ma senza responsabilità non c'è libertà di scelta. Invece Dio ci vuole liberi e quindi responsabili, cioè capaci di rispondere dei nostri gesti. Ecco allora che il male diventa la possibilità normale che si ha di sbagliare, che non è solo una possibilità spirituale è purtroppo anche una possibilità fisica senza alcuna colpa nostra; ci è dato per essere in questa libertà, in questa possibilità.

Come superare, allora, il male? Anche qui cominciamo a dare prima alcune risposte che considero sbagliate, per arrivare poi ad un risposta corretta o almeno a quella che io ritengo la più corretta, facendo come una scalinata verso l'alto.
La prima,
sempre agganciandoci al brano della resurrezione di Lazzaro si ha quando Gesù arriva a casa di Lazzaro trova il pianto e la disperazione: il male esiste, non riesco a superarlo, non ho più speranza. Il male peggiore come male spirituale è non avere più speranza... e siccome sto parlando di un male spirituale, non avere speranza di cambiare la mia vita, di non essere più attanagliato nel male, nel peccato, la possibilità di convertirmi.
Seconda risposta (e qui cominciamo a trovare qualcosa di positivo, ma rimaniamo in una risposta non corretta): prima Marta e poi Maria rivolgono a Gesù la stessa frase: "Signore se tu fossi stato qui, Lazzaro non sarebbe morto". Questa risposta, nel negativo, ci presenta un Dio che fa da parafulmine, che ci risolve i problemi; pensare che se ci fosse veramente un Dio non ci sarebbe la sofferenza soprattutto degli innocenti, dei miei vicini, mia, soprattutto quando vedi vicino a te soffrire chi ami e l'amore ti spinge ad offrire te stesso per liberare coloro che ami da dolore. L'idea quindi di un Dio parafulmine che mi fa scansare il male: "Signore se tu fossi stato qui"... sapete dove sta l'errore in questa affermazione? L'errore è che avrei dovuto dire "se io fossi stato qui con te": cioè non è Dio che deve stare con noi perché Lui c'è, siamo noi che dobbiamo stare con Lui! Ecco il buono che c'è in questa risposta: l'essere in contatto con Dio. Se noi siamo in comunione con Dio, noi non moriamo in eterno (la vita eterna come essere con Dio è in tutta la Bibbia). Qui vi è un'idea pagana, sbagliata, di una religione in cui io prego Dio e Dio mi risolve i problemi. Bisogna passare nella nostra concezione dall'idea di un Dio precario all'idea di un Dio provvisorio. Noi usiamo questi termini come sinonimi però la radice di questi nomi è diversa: precario viene da prece, preghiera, un Dio che devo prendere per il colletto, mostrargli la mia vita e invocarlo, "guardami e risolvi i miei problemi"; invece il nostro Dio è un Dio provvisorio, provvidente, che provvede, che vede, guarda a tuo favore, un Dio che non ti risolve i problemi, ma che provvede a te e ti guarda. Qui soggiace l'idea, che io chiamo pagana, di un Dio onnipotente che punisce chi sbaglia. Lo vedremo giovedì nell'episodio del cieco nato, nel vangelo di Giovanni, dove ad un certo punto ci si chiede "ma chi è che ha sbagliato, chi ha peccato, lui o i suoi genitori?". Questa idea ci porta ad escludere, a ghettizzare chi è colpito da una qualche forma di malattia. Ed è purtroppo un'idea ancora attuale, se addirittura trenta-quaranta anni fa il vescovo di Genova definì l'AIDS come il castigo di Dio verso omosessuali, prostitute, drogati... non è che sto parlando di 2000 anni fa. Di fronte all'idea di un Dio che punisce mi si rivoltano le budella.
Passiamo ora ad una terza idea, più corretta, più cristiana: Dio libera dal male, è la redenzione. Durante la veglia pasquale
ascoltiamo la frase "Felice colpa, quella di Adamo che meritò tanto redentore": l'idea che vi è una colpa che ha portato il nostro limite e Gesù che viene a redimerci, a guarirci, ed è l'idea che appunto Dio ha dato la sua vita per noi. È l'idea che sta alla fine del vangelo di Lazzaro, dove al termine del miracolo i Giudei si riuniscono per decidere di ucciderlo, per condannarlo a morte: Gesù ha dato la vita per Lazzaro, per l'amico che era malato, per colui che amava, che siamo poi noi.
Una quarta risposta, l'ultima, è una idea che direi francescana: è l'idea della ricapitolazione, cioè del fatto che noi come creature saremo presi nell'ultimo giorno e accolti tra le braccia di Dio. Fu san Bonaventura a tirar fuori questa idea, il quale si è domandato: "ma se Adamo non avesse peccato, mangiando il frutto della conoscenza del bene e del male, Dio si sarebbe incarnato?". Questo santo risponde che Dio si sarebbe incarnato lo stesso perché di fronte alla nostra malattia Dio prova compassione: la passione di Dio è l'uomo, noi siamo la passione di Dio! È bello che il termine passione per noi vuole dire tante cose, vuole dire patire, soffrire, ma vuol dire anche esultare quando la mia squadra del cuore vince, la passione vuol dire anche essere innamorato: quando siamo innamorati, quando è vero amore, sto vivendo una grande passione e diventa un sentire insieme all'altro, un compatire, un condividere la propria vita, nelle cose belle e in quelle meno belle, perché la vita presenta normalmente, per il nostro limite creaturale, delle cose che non ci piacciono, che non vorremmo. Vorremmo essere sempre belli e aitanti, poter fare tutte le cose e velocemente come magari facevamo un tempo, ma non è così e allora speriamo di avere un compagno, qualcuno che divide il pane con noi, che possa condividere con noi tutti i momenti belli e brutti fino alla fine, che per noi non è la fine, ma l'inizio di qualcosa di nuovo e meraviglioso, di più grande e di più bello, dove non ci sarà più sofferenza, ma solo gioia. Il punto fondamentale è cioè che Dio condivide la nostra passione; ecco perché Gesù dice che "la malattia è per la gloria"; ecco perché il limite, la difficoltà, diventa per la gloria. Io preferisco parlare di limite, perché anche chi è sanissimo, prima o poi gli anni li sente; ecco il nostro limite diventa il modo per dare gloria a Dio. È chiaro che devo trovare modi nuovi: lo dicevo ieri, se mi dicessero di fare la vita che facevo ai campi APLP, ma non ci penso manco di striscio! Però posso fare altre cose e se non le faccio, ecco lì la morte; se mi ritiro nel mio limite e non faccio più nulla, è lì la morte. La chiesa ci insegna questo quando propone S. Teresa, monaca di clausura, quindi che non è mai uscita dalla sua cella, patrona delle missioni. Questo vuol dire: che tu sia allettato, o anziano o giovane bello e sprintoso, tu fai quello che devi, perché quella è la tua responsabilità nella storia della salvezza. Se io oggi non posso alzarmi ed andare a fare il sit-in davanti alla prefettura di Genova per la chiusura dei porti alla navi dei migranti perché dopo tre secondi mi si addormentano le gambe, o vado là e sto in piedi, o mi porto una sedia, oppure prego, e tutte queste cose vanno bene; non è che se prego io faccio meno, perché faccio quello che posso, faccio il mio.

Chiudiamo questa prima parte e ne vediamo un'altra, brevissima, sulle persone che sono vicine, che sono vicine alla malattia ma non sono malate. Un primo punto lo vediamo partendo da Mt 5,4 (siamo all'inizio delle Beatitudini), dove Gesù dice "beati gli afflitti perché troveranno consolazione": la consolazione non viene da Dio, non si dice "perché Dio li consolerà", anche se qualcuno può trovare consolazione in Dio e nella fede, ma "saranno consolati". Questa è la beatitudine che nasce quando la sofferenza si divide e questa si divide veramente, mentre quando si divide l'amore questo si moltiplica. Agli afflitti è data già oggi la consolazione, ricordiamo sempre che il tempo verbale è il presente e non il futuro, perché Gesù non parla del regno di Dio se non alla fine quando si rivolge ai perseguitati. La prima cosa, quindi, è la consolazione.
Un secondo punto lo vediamo quando, nell'episodio di Lazzaro, Marta va a chiamare Maria "il Maestro ti chiama". Dio ti chiama e ti invita ad alzarti (con l'espressione ebraica "Talita qum", "alzati fanciulletta", dove questo femminile è rivolto all'umanità tutta intera): tira su la testa, non stare chiusa nel pianto e nella disperazione. Maria si alzò subito e andò da Gesù: non dobbiamo soffermarci a pensare ai nostri problemi, ma alzarci in fretta. Di fronte alla domanda di Gesù che cerca Lazzaro, "dove l'avete posto?", Maria risponde allo stesso modo con cui Gesù rispose ai primi apostoli, Andrea e Giovanni, dicendo a Gesù "vieni e vedi". Ecco un esempio di preghiera verso Dio: è chiedere Lui di venire e vedere o, come il buon ladrone, "ricordati di me". Cioè, non ti chiedo di risuscitare mio fratello, né di risolvere i miei problemi, mi basta che tu venga a vedere. Quando noi invitiamo Gesù, Egli viene. Forse se lo sentiamo lontano è perché non lo abbiamo invitato o lo facciamo solo per cortesia, senza una reale volontà di lasciarci coinvolgere; una volta che è con noi Dio, Gesù, non se ne vanno. Quando Dio vede, Dio si commuove, e qui si dice che Gesù scoppiò in pianto.

Un'ultima riflessione sui verbi finali. Gesù dice tre cose: prima, alle persone presenti fuori dal sepolcro di togliere la pietra: "togliete la pietra". Qui la pietra rappresenta il nostro tentativo di bloccare l'altro nella sua difficoltà, è il nostro pensare di non essere capaci. Allora la prima cosa da fare è togliere la pietra che opprime la nostra vita, perché di fronte a noi c'è una vita nuova ogni giorno. Vivere la vita è l'avventura più stupenda, lo cantiamo spesso, che ci è data.
Secondo verbo rivolto a chi si sente morto. A noi che ci sentiamo morti Gesù ci dice: "Lazzaro, vieni fuori!", non stare chiuso in te stesso, nel tuo limite, nella tua difficoltà.
L'ultimo verbo è sempre è rivolto a chi guarda, a coloro che non vivono in prima persona la sofferenza: "liberatelo e scioglietelo", cioè diamo la possibilità di esprimersi come sa. Diamoci la possibilità di esprimerci come sappiamo. Come dicevo prima, se non riusciamo a fare delle cose, facciamone altre e lasciamo quelle a chi può farle, ma se non facciamo niente facciamo peccato di omissione; fare niente è vivere morti. Allora ecco la scelta rispetto alla morte e alla vita: la morte non è la conclusione della vita perché noi possiamo vivere da morti tutta la nostra vita; vivere da morti vuol dire non accorgersi di tutto quello che accade intorno a noi. Allora la scelta è tra vivere da morti o morire da vivi; si può vivere la propria vita da morti, da persone insensibili, da persone a cui non frega nulla di ciò che ci accade intorno, da persone che pensano soltanto a sé stesse, da persone chiuse nel proprio egoismo. Ecco le pietre che dobbiamo togliere, l'egoismo, il pensare ai soli nostri interessi, la pigrizia, il dire "ma io il mio l'ho già fatto".

Ecco la riflessione che vi lascio e lascio a me stesso: se ha più senso per noi vivere da morti o morire da vivi. Noi per fede crediamo di avere in noi il germe della resurrezione, quindi di una vita che non muore, leggasi amore, perché quello che rimane alla fine è l'amore. Nel corso della terza media ai miei ragazzi provo a chiedere quali sono i valori più importanti per loro nella vita: generalmente vince l'amore, dopo aver discusso sulle risposte date, ma a volte trovi qualcuno che per prima cosa dice che per lui è più importante il telefonino o la playstation. Allora alla fine della vita che cosa rimane? Nel Cantico dei Cantici, alla conclusione, si dice che "l'amore è più forte della morte". Quando recentemente mi sono trovato di fronte a mia madre che era in terapia intensiva, mi sono reso conto che ciò che vi era di importante non erano tanti i discorsi che facevamo al telefono, ma la presenza mia e di mio fratello lì accanto a lei e la preghiera perché la sua vita facesse il suo corso. Cosa rimane alla fine? Rimangono i rapporti! Allora la vita nuova è quella di Lazzaro che è liberato, sciolto, ed è riuscito a venire fuori: la vita è lì, "talita qum", "alzati".

Prima domanda: "quale è la mia idea di Dio?", perché da questa domanda ne derivano tante altre, perché di qui posso capire quale idea ho dell'uomo, del mio prossimo, delle persone che ho accanto. Se il mio Dio è un Dio che punisce, anch'io userò la stessa misura per la mia vita. Dove Matteo scrive "siate perfetti come perfetto è il Padre mio", Luca traduce "siate misericordiosi come il padre mio è misericordioso". Allora perfezione è l'amore di misericordia... allora, quale idea ho di Dio?.
Quale idea ho dell'uomo, della mia umanità, del mio essere, della mia vita?
Che cosa vuol dire vivere vivi a 30 anni, quando abbiamo incontrato la comunità, a 40, a 50, a 70, al quarantesimo campo? Certo qualcosa è cambiato, però oggi, in questa settimana e durante tutto l'anno devo cercare di capire cosa vuol dire vivere vivo a 70 anni, perché per lottare contro la morte spirituale bisogna vivere vivi.

Se cominciamo a dibattere sul perché ci capitano le cose, non ne usciamo. Ma innanzi tutto occorre riconoscersi tutti un po' malati. E poi sapere che chi soffre è già un passo più vicino a Dio. E anche qui, però, come la sorella di Lazzaro, diciamo "non capisco ma ci credo", perché nei momenti in cui hai qualche difficoltà non ci resta altro che affidarsi.


Giovanni, cap. 11
La risurrezione di Lazzaro

[1]
Era allora malato un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella. [2]Maria era quella che aveva cosparso di olio profumato il Signore e gli aveva asciugato i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. [3]Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, il tuo amico è malato».


[4]All'udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato». [5]Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro. [6]Quand'ebbe dunque sentito che era malato, si trattenne due giorni nel luogo dove si trovava. [7]Poi, disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». [8]I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». [9]Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; [10]ma se invece uno cammina di notte, inciampa, perché gli manca la luce». [11]Così parlò e poi soggiunse loro: «Il nostro amico Lazzaro s'è addormentato; ma io vado a svegliarlo». [12]Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se s'è addormentato, guarirà». [13]Gesù parlava della morte di lui, essi invece pensarono che si riferisse al riposo del sonno. [14]Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto [15]e io sono contento per voi di non essere stato là, perché voi crediate. Orsù, andiamo da lui!». [16]Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse ai condiscepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!».

[17]Venne dunque Gesù e trovò Lazzaro che era gia da quattro giorni nel sepolcro. [18]Betània distava da Gerusalemme meno di due miglia [19]e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria per consolarle per il loro fratello. [20]Marta dunque, come seppe che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. [21]Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! [22]Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà». [23]Gesù le disse: «Tuo fratello risusciterà». [24]Gli rispose Marta: «So che risusciterà nell'ultimo giorno». [25]Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; [26]chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?». [27]Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo».

[28]Dopo queste parole se ne andò a chiamare di nascosto Maria, sua sorella, dicendo: «Il Maestro è qui e ti chiama». [29]Quella, udito ciò, si alzò in fretta e andò da lui. [30]Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. [31]Allora i Giudei che erano in casa con lei a consolarla, quando videro Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono pensando: «Va al sepolcro per piangere là». [32]Maria, dunque, quando giunse dov'era Gesù, vistolo si gettò ai suoi piedi dicendo: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». [33]Gesù allora quando la vide piangere e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente, si turbò e disse: [34]«Dove l'avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». [35]Gesù scoppiò in pianto. [36]Dissero allora i Giudei: «Vedi come lo amava!». [37]Ma alcuni di loro dissero: «Costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva anche far sì che questi non morisse?».

[38]Intanto Gesù, ancora profondamente commosso, si recò al sepolcro; era una grotta e contro vi era posta una pietra. [39]Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, gia manda cattivo odore, poiché è di quattro giorni». [40]Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?». [41]Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. [42]Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». [43]E, detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». [44]Il morto uscì, con i piedi e le mani avvolti in bende, e il volto coperto da un sudario. Gesù disse loro: «Scioglietelo e lasciatelo andare».

I capi Giudei decidono la morte di Gesù

[45]Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di quel che egli aveva compiuto, credettero in lui. [46]Ma alcuni andarono dai farisei e riferirono loro quel che Gesù aveva fatto. [47]Allora i sommi sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dicevano: «Che facciamo? Quest'uomo compie molti segni. [48]Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione». [49]Ma uno di loro, di nome Caifa, che era sommo sacerdote in quell'anno, disse loro: «Voi non capite nulla [50]e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera». [51]Questo però non lo disse da se stesso, ma essendo sommo sacerdote profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione [52]e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. [53]Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo.

[54]Gesù pertanto non si faceva più vedere in pubblico tra i Giudei; egli si ritirò di là nella regione vicina al deserto, in una città chiamata Efraim, dove si trattenne con i suoi discepoli.