41° Campo di Comunità Una                   Prea, lunedì 5 agosto 2019

L'opera di salvezza in Cristo

Salvezza gratuita - siamo figli e non schiavi - chiamati alla libertà e alla carità sotto la guida dello Spirito


Inizio questa riflessione con un pensiero di Ermes Ronchi sulla salvezza:
Dio non ha mandato il Figlio per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Mondo salvato, non condannato. Ogni volta che temiamo condanne, per noi stessi per le ombre che ci portiamo dietro, siamo pagani, non abbiamo capito niente della croce. Ogni volta invece che siamo noi a lanciare condanne, ritorniamo pagani, scivoliamo fuori, via dalla storia di Dio.

Mondo salvato, con tutto ciò che è vivo in esso. Salvare vuol dire conservare, e niente andrà perduto: nessun gesto d'amore, nessun coraggio, nessuna forte perseveranza, nessun volto. Neppure il più piccolo filo d'erba. Perché è tutta la creazione che domanda, che geme nelle doglie della salvezza. Perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Credere a questo Dio, entrare in questa dinamica, lasciare che lui entri in noi, entrare nello spazio divino "dell'amare tanto", dare fiducia, fidarsi dell'amore come forma di Dio e forma del vivere, vuol dire avere la vita eterna, fare le cose che Dio fa, cose che meritano di non morire, che appartengono alle fibre più intime di Dio. Chi fa questo ha già ora, al presente, la vita eterna, una vita piena, realizza pienamente la sua esistenza.


Ora vediamo come San Paolo, nelle sue lettere, ci parla del tema della salvezza in Cristo. Possiamo individuare tre aspetti dell'opera di Salvezza in Cristo che San Paolo mette in particolare evidenza nelle sue lettere:
  1. Dio salva gratuitamente.

  2. Siamo figli, non schiavi.

  3. La libertà e la carità sotto la guida dello Spirito.

Cominciamo dal primo punto, Dio salva gratuitamente, leggendo un brano dalla lettera ai Romani:

La giustizia di Dio e la fede (Rm 3, 21-31)
[21]Ora invece, indipendentemente dalla legge, si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla legge e dai profeti; [22]giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. E non c'è distinzione: [23]tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, [24]ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù. [25]Dio lo ha prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue, al fine di manifestare la sua giustizia, dopo la tolleranza usata verso i peccati passati, [26]nel tempo della divina pazienza. Egli manifesta la sua giustizia nel tempo presente, per essere giusto e giustificare chi ha fede in Gesù.
[27]Dove sta dunque il vanto? Esso è stato escluso! Da quale legge? Da quella delle opere? No, ma dalla legge della fede. [28]Noi riteniamo infatti che l'uomo è giustificato per la fede indipendentemente dalle opere della legge. [30]Poiché non c'è che un solo Dio, il quale giustificherà per la fede i circoncisi, e per mezzo della fede anche i non circoncisi. [31]Togliamo dunque ogni valore alla legge mediante la fede? Nient'affatto, anzi confermiamo la legge.

"Ora invece, indipendentemente dalla legge, si è manifestata la giustizia di Dio..." Il termine "giustizia" qui non è riferito né all'ambito giudiziale (sentenza di condanna o di assoluzione), né a quello retributivo (dare a ciascuno secondo il proprio merito), ma a quello dell'amore misericordioso (salvare gratuitamente). In Dio "giustizia" è sinonimo di "misericordia".

E questa giustizia si manifesta ora: la salvezza di Dio non è solo una promessa per il futuro, ma si realizza già nel presente, nella nostra vita.
Inoltre, la giustizia di Dio è per tutti quelli che credono.Quindi nessuna distinzione di razza, cultura, religione, condizione sociale, comportamento morale...

Al versetto 23 leggiamo: "Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio.". Esiste allora una qualche possibilità di salvezza per questa umanità perduta? Nessuna, se si guarda alle capacità dell'uomo. Ma Dio è il solo capace di ribaltare la situazione disperata in cui versa l'umanità peccatrice. Paolo ha una buona notizia per noi "ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia".

Troviamo successivamente una serie di belle notizie:
  • "Egli manifesta la sua giustizia nel tempo presente". Non dobbiamo aspettare perché Dio ci salvi con la sua grazia, il gesto liberatore di Dio Padre ha già preso forma in Cristo morto e risorto. Ci basta accogliere il suo messaggio di amore.
  • "l'uomo è giustificato per la fede indipendentemente dalle opere della legge". Dio in Cristo ci libera dalla schiavitù della legge. È la novità sconvolgente del vangelo stesso: Cristo viene a travolgere la fitta e opprimente barriera, fatta di una serie innumerevole di precetti, che i rabbini avevano costruito a protezione della Torah. Gesù li aveva smantellati sostenendo che erano solo precetti di uomini, che oscuravano la Parola di Dio.
  • "Dove sta dunque il vanto? Esso è stato escluso!" Non ha senso vantarsi di un'osservanza scrupolosa e minuziosa di prescrizioni e divieti. La salvezza non si merita: è un dono gratuito che Dio ci fa, perché ci ama.
  • "Dio [...] giustificherà per la fede i circoncisi, [...] e anche i non circoncisi." Questo dono è per tutti, si riversa su tutti quelli che aderiscono a Cristo e fanno proprio il suo unico comandamento: quello dell'amore... se si ama, gratuitamente come Cristo ci ha amati, le opere buone vengono di conseguenza.
Il versetto 31 pone una questione: se Dio salva tutti gratuitamente per mezzo di Cristo e della fede in lui, a cosa servono allora le pratiche religiose, le opere buone...? Paolo non nega il loro valore, ma chiede di superare decisamente l'idea, basilare tra i giudei, ma molto diffusa anche tra i cristiani di oggi, che la salvezza bisogna "guadagnarsela" con tanti meriti da accumulare attraverso l'osservanza di precetti, riti, fioretti, ecc.… per acquisire il diritto di entrare in paradiso. Ma, se ti senti amato da Dio, allora ami anche tu, se ti senti perdonato anche tu perdoni ...

Per affrontare il secondo punto: "Siamo figli non schiavi", leggiamo un brano del capitolo 4 della lettera ai Galati.

Filiazione divina (Gal 4, 1-11)
[1]Dico ancora: per tutto il tempo che l'erede è fanciullo, non è per nulla differente da uno schiavo, pure essendo padrone di tutto; [2]ma dipende da tutori e amministratori, fino al termine stabilito dal padre. [3]Così anche noi quando eravamo fanciulli, eravamo come schiavi degli elementi del mondo. [4]Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, [5]per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l'adozione a figli. [6]E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! [7]Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per volontà di Dio.
[8]
Ma un tempo, per la vostra ignoranza di Dio, eravate sottomessi a divinità, che in realtà non lo sono; [9]ora invece che avete conosciuto Dio, anzi da lui siete stati conosciuti, come potete rivolgervi di nuovo a quei deboli e miserabili elementi, ai quali di nuovo come un tempo volete servire? [10]Voi infatti osservate giorni, mesi, stagioni e anni! [11]Temo per voi che io mi sia affaticato invano a vostro riguardo.

San Paolo ci parla ancora del valore della Legge: essa ha avuto, per il popolo ebraico, la funzione di un pedagogo, cioè una funzione educativa e formativa adatta ad una situazione infantile del popolo di Dio.

L'apostolo infatti paragona l'uomo sotto la legge a un bambino, che pur essendo l'erede di tutti i beni del padre, finché non viene emancipato dal padre stesso non è padrone di questi beni ed è sottomesso a tutori e amministratori.

La liberazione da questa schiavitù ha avuto inizio quando Dio ha mandato il Figlio. Ed ha voluto che questi si integrasse pienamente nella storia umana. Il Cristo, infatti, è nato da una donna, come qualsiasi persona umana, è nato sotto la Legge, cioè all'interno di un popolo e di un sistema culturale ben preciso. Il Figlio si è fatto totalmente solidale con i suoi fratelli del popolo di Israele, fino alla morte in croce, perché questi suoi fratelli potessero passare dalla condizione di schiavi a quella di figli.

Passare dalla condizione di schiavi a quella di figli: è bellissimo, ma è un passaggio difficile. La condizione di schiavitù può risultare comoda: c'è un padrone al quale bisogna ubbidire e basta, non si devono fare scelte... Essere figli impone di crescere, assumersi responsabilità, mettersi sempre in discussione per migliorare, fare scelte che a volte richiedono coraggio...
La libertà è faticosa.

Ci sono delle grosse tentazioni: la più importante è quella di tornare indietro, di rinunciare alla condizione di figli liberi, per tornare a essere schiavi. Tornare a una situazione già conosciuta, anche se negativa, può risultare anche rassicurante: si tratta di una situazione conosciuta e sperimentata, la novità invece fa sempre un po'paura, specie se comporta fatica, se dobbiamo assumerci nuove responsabilità. Questa paura deriva dalla mancanza di fiducia in Dio, dal non riuscire a percepirlo come un padre che ci ama, ed è questa paura che ci spinge a tornare indietro, alla condizione di schiavi, alla non vita.

Paolo si riferisce proprio a questa tentazione a tornare indietro, quando dice: "come potete rivolgervi di nuovo a quei deboli e miserabili elementi, ai quali di nuovo come un tempo volete servire?".
Dio ci chiama alla libertà, alla novità; noi, invece, preferiamo restare fermi alle nostre rassicuranti immagini del passato, che sono i nostri idoli e da lì non vogliamo muoverci.  Dio ci chiama a cambiare... non più servi, ma figli!

E quali garanzie ha un figlio? Ha la garanzia che il padre lo ama e questo basta; un figlio che ha la fiducia in questo amore, e vive di questa fiducia e di questo amore, è aperto a tutto quello che avviene. Non ha più bisogno di cercare rifugio negli idoli, va avanti con fiducia... è un cammino, nient'affatto semplice!

Ripensiamo al popolo di Israele che esce dalla terra di schiavitù dell'Egitto e va verso la terra promessa. Proprio nel periodo intermedio, cioè nel deserto, avverte questa tentazione di tornare indietro, di rientrare nell'Egitto dove, tutto sommato, si stava bene... E questo torna, direi, nella nostra esperienza: la libertà è faticosa... è scomoda!

Ma questa fatica non è che la conseguenza della falsa immagine di Dio che ci portiamo dentro: facciamo Dio a nostra immagine, lo percepiamo come un giudice severo che ci ostacola nella nostra ricerca di felicità. E Dio deve morire in croce per farci capire che è proprio il contrario!!!

Cristo è venuto a dirci che non siamo schiavi ma figli: "E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà! Padre!"
È questa la novità assoluta e bellissima del cristianesimo: questa relazione di confidenza e di amore tra Padre e Figlio. Dio ci dona il suo Spirito, che è nel nostro cuore, al centro della nostra persona, Abbiamo in noi la vita stessa di Dio, il suo amore, ed è questo Spirito che in noi grida "Abbà".
Abbà è la parola elementare del bambino nella sua prima relazione libera di affetto col papà. Pensate a come si sente sicuro e felice un bimbo tra le braccia del suo papà o della sua mamma!!!

Non riesco a pensare a una salvezza più grande di questa! E basterebbe crederci davvero!!!


E veniamo all'ultimo punto, che potremmo chiamare: libertà e carità sotto la guida dello Spirito.

Libertà e carità (Gal 5, 1.13-23)
[1]Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù.

[13]Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri. [14]Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso. [15]Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!
[16]
Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne; [17]la carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste.
[18]
Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la legge. [19]Del resto le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, [20]idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, [21]invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le compie non erediterà il regno di Dio. [22]Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; [23]contro queste cose non c'è legge.

Nel capitolo quinto della lettera ai Galati San Paolo riprende la tematica della libertà cristiana, con due affermazioni forti: al versetto 1, "Cristo ci ha liberati per una vita di libertà" e ancora, al versetto 13, "Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà" .
Ma, avverte Paolo, "Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne".
Cioè, non dovete intendere la libertà come il pretesto per fare quello che volete.

È importante però precisare cosa Paolo intende indicare con la parola "carne". Non si riferisce a qualcosa di materiale e non indica nemmeno il corpo e tanto meno la sessualità.
La carne è l'istinto cattivo, una forza che appartiene alla mia persona, il mio ego, è il lato oscuro, negativo della mia persona, quella cattiveria profonda che c'è dentro di me; è l'inclinazione al male.  Allora, se viviamo secondo la carne non siamo liberi, ma servi del nostro istinto, prigionieri delle nostre voglie, dei nostri gusti, del nostro carattere: non facciamo quel che vogliamo, ma siamo costretti a fare quel che l'istinto ci costringe a fare, perciò siamo degli schiavi.
Notiamo che in latino prigioniero si dice captivus, quindi siamo cattivi, prigionieri della carne, dell'istinto, dell'inclinazione al male.
Questa non è libertà! Libertà è invece mettersi al servizio gli uni degli altri, mediante la carità.
Sembra un paradosso! Ma la libertà è proprio farsi servi mediante la carità.

Proviamo a rifletterci ...
Nella accezione comune la "libertà" è la facoltà di agire secondo la propria opinione: "Sono libero se faccio quello che voglio". Notiamo che questo concetto mette soprattutto l'accento sul verbo "volere" "faccio quello che voglio". Per Paolo il significato della "libertà" è qualcosa di molto più profondo che richiama piuttosto il verbo potere e il verbo dovere: io sono libero quando posso fare quello che devo.

È una questione di possibilità: se non riesco, non posso, non sono capace, non ho questa possibilità.

Faccio un esempio per chiarire: la legge mi dice: "Devi perdonare"; io ascolto alla legge, la conosco, però, quando ci sono dentro, il fatto di "sapere che devo perdonare" non mi rende capace di perdonare. Di fronte a una situazione dolorosa e pesante non sono capace, non ci riesco: la legge non è sufficiente. La legge mi dice quello che devo fare, ma non mi dà la forza di farlo, perché io trovo dentro di me un'altra legge, quella che Paolo chiama "la carne".

Non vi è mai capitato di dire: "Non ce la faccio, è più forte di me"? Ma che cosa è tanto più forte di me al punto di impedirmi, per esempio, di perdonare? È proprio quella potenza negativa che Paolo chiama "carne"; è quella realtà che abbiamo dentro, che è parte di noi stessi e che ci impedisce di fare quello che la legge dice.
Infatti, finché si tratta di seguire dei riti, di obbedire a dei precetti, ci si riesce. E si può anche far finta di perdonare. Il problema è che il sentimento, il cuore, non ha effettivamente perdonato e allora ecco il problema: la legge finisce per di portarci a fingere.
L'osservanza di precetti religiosi, fine a sé stessa, sconfina infatti facilmente con l'ipocrisia.
La carne, quindi, rende impotente la legge: la nostra natura umana a causa di questo istinto negativo, è impotente.

Allora... solo lo "Spirito" ci dona la vera libertà!
Lo Spirito, dal di dentro, crea la possibilità di una vita nuova, dà la possibilità di fare quello che la carne non permetteva di fare. Grazie allo spirito, una situazione di impotenza viene curata, ma non è una questione di leggi, di norme, ma di un dono di Dio che agisce dal di dentro e mi rende capace di fare il bene.
Dio ci ha chiamato ad essere persone libere; persone che possono realizzare sé stesse in pienezza; il dono dello Spirito realizza la vita.
Siamo chiamati ad amare, se non ci riusciamo non possiamo essere felici.

La Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: "Amerai il tuo prossimo come te stesso". Ci sentiamo oppressi dalla legge quando non riusciamo ad obbedire.
Ma Paolo ci dice: "Se però vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la legge", non siete più sotto la legge, non nel senso che la potete violare, ma nel senso che non ne siete schiacciati, che siete liberi, che potete seguire la legge perché vi viene quasi istintivo. Nell'uomo c'è l'istinto del male, ma c'è anche un istinto del bene. Mentre però il primo, purtroppo. fa parte della nostra natura umana, l'istinto al bene è un dono di grazia. È lo Spirito Santo che ci abita che fa nascere in noi, istintivamente, la voglia di fare il bene e la capacità di farlo. Non c'è più bisogno che ce lo comandi la legge, perché dal di dentro ci viene questa capacità.

Avendo ricevuto questa capacità autentica di amare, io posso amare, posso vivere come a Dio piace, sono una persona libera, posso amare tutti e non sono più prigioniero del mio io, del mio orgoglio. In me agisce il Cristo che è più forte di ogni istinto negativo (cioè la carne).
Questo è il vangelo cristiano; questa è la bella, la stupenda notizia che ha conquistato le prime generazioni di cristiani, perché è effettivamente un messaggio affascinante.

Purtroppo, con il tempo, questo affascinante messaggio si è atrofizzato, spento...
San Paolo ci dice: "Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c'è Legge.".
Non c'è legge che possa comandarci di essere contenti, di essere in pace, di essere benevoli; non c'è legge che tenga: o siamo così per grazia o la legge non ci può fare niente.
Il frutto dello Spirito è un modo di essere. Amore e gioia non rappresentano una azione e non sono neppure una conquista, ma sono il frutto dello Spirito. È lo Spirito che, nella nostra vita, porta come frutto: amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza dominio di sé.
Il cristiano, quindi, non è uno che compie determinate azioni rituali. Questa definizione di cristiano è profondamente scorretta, anche se purtroppo ancora molto usata.

Concludo ricordando che Papa Francesco, qualche anno fa, ha detto: "Se nel nostro cuore non c'è la misericordia, la gioia del perdono, non siamo in comunione con Dio, anche se osserviamo tutti i precetti. Perché è l'amore che salva, non la sola pratica dei precetti. È l'amore per Dio e per il prossimo che dà compimento a tutti i comandamenti".   (Angelus settembre 2013)