41° Campo di Comunità Una                   Prea, mercoledì 7 agosto 2019

Il cristiano, uomo nuovo

Una traccia di cammino, quotidiano e paziente, per vivere da "risorti"


Come forse saprete, in Segreteria siamo arrivati a scegliere i temi e i brani di questo Campo prima attraverso proposte, poi attraverso un lungo lavoro di Claudio per organizzarle in temi omogenei. Quando Claudio, visti i commenti di tutti, li ha raccolti in una proposta finale per cui io avrei trattato questo tema, mi è piaciuto moltissimo. Leggendo però i vari brani che potevano andare sotto questo titolo e anche i vari commenti che trovavo, sentivo i brani freddi, che non mi scaldavano niente dentro, come una serie di precetti, di norme esterne, e ho capito che il punto chiave sta nel perché sono cristiano, nel perché siamo al Campo. Se sono cristiano perché sono nato così e resto cristiano per paura dell'Inferno, allora questi brani sono per me religione, moralismo, comandi. Ma se, pur essendo nato cristiano, ho poi abbracciato il cristianesimo come bella notizia, il Cristo come mio maestro e come mio salvatore, allora questi brani ritrovano la loro luce di richiamo a quella bella notizia iniziale e di stimolo e incoraggiamento a proseguire, ogni giorno, un cammino di luce.

Le parole chiave sono forse in una frasetta che leggeremo tra poco: "Se dunque siete risorti con Cristo". Tutto parte da qui: abbiamo aderito a Cristo per essere persone nuove, dei "risorti", perché attratti da una prospettiva di vita nuova, più felice.

Ermes Ronchi, in un pomeriggio di incontro a Romena, quattro anni fa, ricordava che Sant'Agostino già affermava che nelle scelte della vita vince la promessa di più gioia, perché "l'uomo segue quella strada dove il suo cuore gli dice che troverà la felicità". Dice Ronchi:  "Che cosa fa muovere e avanzare la vita? Un'attrazione e una passione. Perché la vita non è statica, ma estatica (cioè esce da sé), la vita è un uscire, un andare oltre … Non avanza per divieti o per obblighi, ma per attrazione. Avanza per una passione, e la passione nasce da una bellezza, almeno intravista: la bellezza è profezia di gioia."[1].

Già qui potremmo condividere se ci ricordiamo uno spunto particolare, un motivo di attrazione, per aderire alla fede cristiana o per passare da una pratica religiosa "di testa", in cui la preoccupazione ultima è di non finire dannati (in cui il sentimento prevalente era "io speriamo che me la cavo") a una voglia di camminare verso una vita più libera e felice e di armonia con il resto del mondo.

La riflessione che oggi vi propongo attinge sia da un libretto che riporta le parole di Ronchi in quell'incontro, un libretto che si legge in poco tempo, anche sorseggiandolo pian piano, sia da un libro decisamente più ponderoso, "Un nuovo mondo" di Eckhart Tolle [2], un maestro spirituale del nostro tempo, che a sua volta attinge sia dal cristianesimo che da altre religioni, senza però identificarsi con nessuna di esse. Ovviamente quello che potrò darvi sono solo dei flash, degli "schizzi", che però spero ci aiutino a mettere entusiasmo nel cammino di luce incontro al Cristo.

Cominciamo a leggere un brano di San Paolo nella sua lettera ai Colossesi:

Il cristiano, uomo nuovo (Col 3, 1-17.23-24)
[1]Se dunque siete risorti con Cristo, [2]cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. [3]Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! [4]Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria. [5]Fate morire dunque ciò che appartiene alla terra: impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria; [6]a motivo di queste cose l'ira di Dio viene su coloro che gli disobbediscono. [7]Anche voi un tempo eravate così, quando vivevate in questi vizi. [8]Ora invece gettate via anche voi tutte queste cose: ira, animosità, cattiveria, insulti e discorsi osceni, che escono dalla vostra bocca. [9]Non dite menzogne gli uni agli altri: vi siete svestiti dell'uomo vecchio con le sue azioni [10]e avete rivestito il nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza, ad immagine di Colui che lo ha creato. [11]Qui non vi è Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti. Scelti da Dio, santi e amati, [12]rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, [13]sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. [14]Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto. [15]E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E rendete grazie! [16]La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e ammonitevi a vicenda con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine, cantando a Dio nei vostri cuori. [17]E qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie per mezzo di lui a Dio Padre […] [23]Qualunque cosa facciate, fatela di buon animo, come per il Signore e non per gli uomini, [24]sapendo che dal Signore riceverete come ricompensa l'eredità. Servite il Signore che è Cristo!

"Se dunque siete risorti con Cristo"... forse, stranamente, è questa frase iniziale che mi ha fatto difficoltà a iniziare la riflessione, a legare insieme alcuni punti di un cammino: aderire al Cristo, metterci al suo seguito, provare ad essere suoi discepoli, non ci fa essere di colpo dei "risorti". Anche gli apostoli che lo seguivano ogni giorno e lo ascoltavano e lo vedevano di persona e che riuscivano loro stessi ad operare guarigioni, ci hanno messo un bel po' a capire molte cose, a liberarsi dalle loro ambizioni di primeggiare ("Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra") oppure di risolvere i problemi con la forza/violenza ("Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?"). Diventare persone nuove, diventare dei risorti, è un cammino, e anche lungo. La frase iniziale andrebbe letta "Se dunque volete essere dei risorti con Cristo", e le raccomandazioni che seguono vanno viste non come ordini, ma come indicazioni per procedere in questo cammino: "datemi retta, seguite questi consigli!".

San Paolo inizia la sequenza dei suoi consigli dicendo: "Fate morire dunque ciò che appartiene alla terra", e prosegue elencando alcuni vizi o passioni negative, impurità, immoralità, desideri cattivi, ecc.. Il cammino spirituale, il cammino di resurrezione, però, non consiste semplicemente nel rinunciare alle cose negative. Tony De Mello dice espressamente: "Ogni volta che si rinuncia a qualcosa, si rimane legati per sempre all'oggetto della rinuncia. ... Finché la si combatte, le si dà potere. Le si dà un potere pari a quello impiegato per combatterla" [3]. La soluzione, anche per De Mello, è il risveglio, capire, rendersi conto, riconoscere l'illusorietà di quelle spinte, di quelle passioni, per raggiungere la vera felicità interiore.

Eckhart Tolle vede come possibile stimolo iniziale al risveglio anche la semplice osservazione di un fiore, o di un cristallo, o di un uccello: se siamo in uno stato vigile e guardiamo un fiore senza etichettarlo mentalmente, ci si apre alla bellezza come parte del nostro stesso essere, si può percepire, anche solo per un attimo, l'essenza divina della vita e coglierla come parte di noi stessi: noi siamo parte di un tutto, di una Vita più grande: si apre in noi una finestra verso il regno dello spirito.

Padre Ermes Ronchi dice che il ritrovare sé stessi comincia con una domanda: ma chi sono io?
"Sono forse i miei pensieri? Ma quante idee sbagliate ho coltivato e abbandonato... Sono forse queste idee sbagliate? No.
Sono forse la mia volontà, le mie decisioni? Ma quanta fragilità...
Sono i miei sentimenti? Ma ho dentro una tavolozza complessa, che oscilla dai colori più scuri ai più luminosi...
Io non sono i miei pensieri, non sono la mia volontà, non sono i miei sentimenti. C'è qualcosa di più profondo di idee, decisioni ed emozioni, e tutte le religioni l'hanno, da sempre, chiamato "cuore". Che non è la sede dei sentimenti, ma il mio principio di unità. Il cuore è la cattedrale del silenzio, la dove si sceglie la strada, dove si accolgono o si respingono le emozioni che sorgono selvatiche. Il luogo delle infinite rinascite, dove si ascolta, si ama, si gioisce, si sceglie."

Non credo di sbagliare dicendo che questo "cuore" è quello che Tolle chiama "coscienza" o "consapevolezza" o "presenza". Ma anche Tolle usa i termini "silenzio" e "spazio interiore", per indicare quello che Ronchi indica come "cuore". Un qualcosa che non si può andare a cercare, come se fosse un oggetto o un'esperienza. Come quando Gesù ha detto: "Il regno di Dio non viene in modo da attirare l'attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o: eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!". Questo "regno di Dio" che per ciascuno di noi è la pienezza della vita dello spirito immerso nello Spirito di Dio. Così anche il "cuore", la "consapevolezza", non lo si cerca con degli studi, ma forse solo facendo tacere la mente pensante, quella "voce nella testa" che continua a fare ragionamenti, a discutere del passato, a sognare o temere il futuro. E invece vedere, osservare, percepire, sia il mondo esterno che le altre persone che noi stessi, ma senza subito classificare, senza valutare, senza pensare "è giusto" o "è sbagliato".

Posso al riguardo raccontarvi l'esperienza di un mio lampo di consapevolezza. In un momento, non raro, in cui riconoscevo i miei limiti e non ero del tutto contento di me, sono riuscito a guardarmi in maniera distaccata e, a preghiera di Comunità, sono riuscito a ringraziare Dio "per il Carlo che mi aveva dato". Io non ero del tutto contento di quel "Carlo", ma riconoscevo che era il mezzo con cui io dovevo muovermi verso Dio. Così come può accadere che uno abbia delle gambe zoppicanti ma capisce che è con quelle che riesce a camminare. Il mio "Io" profondo non coincide con i miei pensieri, le mie reazioni, il mio carattere.

Così, se qualcosa mi va storto e io mi arrabbio... se riesco ad osservarmi mentre mi arrabbio, qual è il vero io? quello che si arrabbia o quello che osserva il me che si arrabbia?
E allora, per diventare dei "risorti", occorre cominciare ad osservarci e cogliere dentro di noi i molteplici condizionamenti dell'ego, per riuscire poi, pian piano, con infinita pazienza, a distaccarcene.

Cos'è l'ego? Difficile da definirsi in breve, ma in sostanza è una serie di meccanismi mentali che costruiscono ed alimentano una falsa idea di noi stessi, separandoci dagli altri facendoci identificare con qualcosa. Questo qualcosa può essere diverso da persona a persona, ma il meccanismo è sempre quello.

Molto spesso l'ego mi fa identificare con le cose, con quello che ho... la macchina, la moto, la casa o la seconda casa, la terra. E di qui la conseguenza è che per "essere" di più devo avere di più, soprattutto in confronto con gli altri e agli occhi degli altri. San Paolo ci dice di far morire "quella cupidigia che è idolatria", e che spesso genera anche l'insicurezza, l'ansia di perdere i propri averi e il proprio status sociale. Gesù dice "Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli": chi si distacca dalle cose, trova dentro di sé lo spazio per accogliere la Vita, per accogliere Dio.
Ecco perché la rinuncia a tutti i propri averi è un'antica pratica spirituale sia in Oriente che in Occidente. Però bisogna stare molto attenti: la rinuncia ai beni materiali non porta automaticamente alla liberazione dall'ego. L'ego cercherà di sopravvivere trovando qualcos'altro con cui identificarsi, ad esempio con un'immagine mentale di sé stesso come una persona che è distaccata dalle cose, ed è quindi migliore degli altri, superiore, più spirituale. Uno può essere poverissimo ma avere un ego più grande di qualche miliardario! Se ci liberiamo da un certo tipo di identificazione, dobbiamo sapere che il nostro ego cercherà subito di identificarsi con qualcos'altro: l'importante, per l'ego, è di avere un'identità che lo separi dagli altri.

Così l'ego ci porta ad esempio ad identificarci con la nostra nazionalità, religione, classe sociale, fede politica, usi tradizionali. L'ego tende a rafforzarsi attraverso il confronto: il concetto "io" non può sopravvivere senza il concetto "altro". Se l'ego lo lasciamo fare e non ci rendiamo consapevoli di questi meccanismi dentro di noi, involontari, automatici, tenderemo a notare le manchevolezze negli altri, a lamentarci se gli altri non fanno come faremmo o vorremmo noi. Gesù dice: "Perché osservi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio? ... Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello.". Se non diventiamo consapevoli di questi meccanismi, i risultati possono arrivare a quei comportamenti che Paolo scongiura di gettare via, ira, animosità, cattiveria, insulti e discorsi osceni (come ad esempio chiamare gli altri "maiale", "bastardo", "strega"), ma che si possono superare solo "risorgendo", cioè diventando più consapevoli, rompendo l'identificazione con le nostre caratteristiche, per così dire, "superficiali".

E il peggio è quando si ha ragione!!! Avere palesemente ragione aumenta il senso di separazione, rafforza il nostro senso di superiorità e fortifica sempre di più il nostro ego. E, come ulteriore conseguenza, ci rende sempre meno capaci di ascoltare e di capire l'altro: ho chiaramente ragione nel dire che l'altro sbaglia, che ha dei comportamenti ingiusti, e quindi non riesco nemmeno ad intravedere i motivi per cui l'altro sia e faccia così. Quali vicende ha passato? Quali paure lo abitano? Come gli sono arrivate dentro queste paure? Io stesso confondo l'altro con il suo ego, non intravedo quello che lui/lei è nel profondo. Diversamente da come faceva Gesù, che quando "guardava" una persona che incontrava, coglieva il suo essere profondo e le sue potenzialità.

Se queste manifestazioni dell'ego le guardiamo poi a livello collettivo, a livello di popoli, di nazioni, di gruppi etnici, non ci vuole molto a renderci conto dove portano: invasioni, guerre, stermini, genocidi, persecuzioni... Eckhart Tolle, al Cap,1 afferma: "Se la storia dell'umanità fosse la storia di un caso clinico di un singolo essere umano, la diagnosi dovrebbe essere: fissazione cronica a sfondo paranoico, propensione patologica a commettere omicidi, atti di estrema violenza e crudeltà contro coloro che vengono percepiti come "nemici"".

L'ego ha un grandissimo numero di sfaccettature, che non posso certo provare ad illustrare qui. Ne menziono solo due apparentemente di segno opposto: c'è chi si identifica col suo ruolo professionale importante e si sente superiore ("lei non sa chi sono io!"), ma c'è anche chi si identifica con le vicende negative che ha vissuto e dice di sé "io sono sfigato". Magari è un credente, ma se tu cerchi di portargli la buona notizia, vuoi fargli vedere che la vita è bella, provi a dirgli, come dice San Paolo, di essere lieto, sempre lieto, ti risponderà "dici bene tu!" e si richiuderà nel suo guscio di sfigato, perché è quella la sua identità e non saprebbe che fare altrimenti: Se scoprisse che in realtà NON è sfigato, dovrebbe fare un periodo di riabilitazione per comportarsi da persona che sente la fortuna di vivere.

Il risultato della nostra mancanza di consapevolezza, del nostro lasciarci dominare dall'ego, da queste false immagini di quello che siamo, da questi meccanismi di identificazione, è una profonda infelicità di fondo, impazienza, irritazione, essere "stufi", una specie di risentimento verso le cose che ci sono successe e quelle che non ci sono successe, in definitiva verso la realtà. E se combattiamo contro la realtà abbiamo già perso!

Lasciarci dominare dall'ego è il normale stato della mente umana. Le varie religioni lo hanno chiamato in modi diversi: nell'Induismo viene chiamato "maya", il "velo dell'illusione", mentre nel Buddhismo viene chiamato "dukkha", "insoddisfazione" o "sofferenza". Per noi cristiani è il "peccato originale", quella disfunzione del nostro spirito o della nostra mente per cui manchiamo l'obiettivo dell'esistenza, viviamo senza qualità, causando sofferenza agli altri e a noi stessi.

Come ritrovarsi, come "risorgere"? Come detto prima, dobbiamo fare un cammino di comprensione delle illusioni e delle trappole dell'ego, un cammino di consapevolezza di noi stessi e degli altri, un cammino di liberazione dallo strapotere della mente pensante, un cammino di migliore percezione della realtà, un cammino di adesione al momento presente e di liberazione dal passato e dal futuro, l'uno che non esiste più e l'altro che non esiste ancora e forse non esisterà mai (e quando esisterà sarà il momento presente!).

Ermes Ronchi dice che la prima domanda, la più vitale, quella da cui inizia ogni incontro con la sua anima, è: ma io sono contento? Mi piace la mia vita? "È come un punto di agopuntura che, attivato, contribuisce a guarire l'intero corpo". E poi andare ad indagare quali sono le cose che mi portano più gioia, ma una gioia che dura. È l'inizio di un cammino di conoscenza di sé stessi e, in particolare, di riconoscimento di quello che non siamo, delle illusioni dell'ego che ci intrappolano negli atteggiamenti negativi visti prima. Non potremo mai scoprire chi siamo, ma la buona notizia è che, riconoscendo le false idee che l'ego coltiva nella nostra mente, ritroveremo noi stessi, anche senza poter spiegare chi siamo con discorsi e descrizioni. È la stessa cosa che dice San Paolo nel brano letto: "avete rivestito il nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza".

Un cammino proposto da Ronchi segue la parabola del buon samaritano, in particolare le sue prime tre azioni: vedere, fermarsi, toccare, tre azioni per ritrovare sé stessi, ritrovare il proprio cuore, ritrovare gli altri. Col risultato di crescere a più libertà (specie dalla paura), a più consapevolezza e a più amore, a più unione con gli altri.

Il samaritano vede, si accorge dell'uomo derubato e lasciato mezzo morto dai briganti. Il suo è uno sguardo che non ha paura, che non mette etichette. Gesù ha dato al personaggio della parabola il suo stesso sguardo, uno sguardo includente, che non giudica ma anzi vede nell'altro il bene. Come lo sguardo del padrone del campo nella parabola della zizzania, che vede il buon grano che nascerà a dispetto della zizzania.

Il samaritano si ferma, lascia perdere la sua tabella di marcia per fermarsi addosso alla vita. La vita, dice Ronchi, non ha un senso prestabilito, né senso vietato né senso obbligatorio. E se non ha senso, vuoi dire che va in tutti i sensi e che trabocca di senso e tutto inonda. La vita fa male quando le si vuole imporre un senso, piegarla in una direzione o in un'altra. Se non ha senso, significa che essa è il senso.

Il samaritano tocca il ferito, lo fascia, lo carica sul suo asino, lo porta alla locanda. È ovviamente il modo di fare di Gesù, che incurante delle leggi sul puro e l'impuro, tocca il lebbroso (Mc 1, 41), così come tocca la bara del figlio della vedova di Naim (Lc 7, 14), in entrambi i casi avendo prima provato una profonda compassione, un "groppo allo stomaco", secondo il testo greco originale.

San Paolo esprime questo cammino così: "rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto". Se queste cose le percepiamo come ordini esterni a noi, siamo fritti, ma se le scopriamo come un modo per esprimere e tirare fuori il nostro vero essere, diventano fonte di vita.

E tornando a Ronchi, questo cammino si nutre anche di due ingredienti. Il primo è quello di lasciarsi abbracciare dall'infinito, smettere ogni tanto di essere la persona che deve fare, fare, fare, ma sentirsi creatura, sentirsi parte dell'Universo. E poi la preghiera, per ritrovare il pezzetto di Dio che è in noi. Preghiere brevi, possibilmente, e frequenti, come piccole finestre di luce, come fili di seta che formano un tappeto su cui sentire posare leggero il piede di Dio (sono parole usate da Ermes Ronchi).

Dove porta questo cammino? Man mano che si diventa più consapevoli del nostro "io" profondo e ci si svincola dal "me", dice Tony De Mello, si diventa più invulnerabili alle vicende che ci capitano. Non ci importa più del successo o del fallimento, di avere o di non avere, dell'essere considerati grandi o ridicoli, di avere ragione o avere torto. Si ha più energia, si è più vivaci. Si è molto più aperti e disponibili agli altri, e si è anche molto più efficaci nel fare le cose, perché non rischiamo di perdere qualcosa, non ne va della nostra reputazione.

Eckhart Tolle elenca tre principali modalità di fare (o essere) della persona che si è liberata dall'ego. La prima è saper accettare la vita. Il che non vuol dire che, se sono in una situazione antipatica io non cerchi di uscirne. Non sarò contento di dover cambiare una gomma bucata sotto la pioggia battente, certo, ma accetto la realtà e non mi arrabbio. Non è che, se mi arrabbio, la gomma si cambia da sola o più facilmente! Fare una cosa antipatica, noiosa, faticosa in uno stato di accettazione significa essere in pace mentre la si fa. L'accettazione è la base della pace. Ed è anche la base della gioia, la gioia dell'Essere. Non dobbiamo aspettare che ci succeda qualcosa di grande o di bello, per essere felici. La gioia è qui, dentro di me, e questa gioia mi porta ad essere grato per la vita che mi è data. Gesù, in (Mt 12, 25) proclama "chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà.": chi resta attaccato al proprio ego non vive, mentre chi lo abbandona è veramente vivo!! E infine, un'ultima modalità del fare della persona risvegliata (o "risorta"), che può verificarsi in certe situazioni, specie quando si devono affrontare dei compiti impegnativi, è l'entusiasmo. La parola "entusiasmo" deriva dal greco e significa "in Dio". Agire con entusiasmo è come avere Dio dentro di noi, e allora portare avanti con entusiasmo un compito anche molto impegnativo rende capaci di non arrendersi, di aggirare le difficoltà, di coinvolgere gli altri.

Vorrei qui raccontarvi un'altra esperienza personale. Quando Barbara è andata via, a parte un primo periodo in cui spesso mi prendevano botte di tristezza, dopo qualche mese ho cominciato ad essere regolare con la preghiera, ogni giorno, e dopo ancora un po' di mesi ho aggiunto alla preghiera (lodi al mattino e ora media al pomeriggio) un tempo di silenzio, con esercizi di consapevolezza del corpo, del respiro, dei suoni. Questo pian piano mi ha portato ad un livello molto migliore di serenità. Ricordo che certe sere in cui Naomi non era a cena, mi sentivo assalito da un senso di solitudine. Allora mi fermavo e "bevevo quel bicchiere di solitudine". Immediatamente sgorgava da dentro di me un "grazie!" e sentivo arrivare dentro di me una grande pace, e anche un sottile senso di gioia: sperimentavo la gioia dell'Essere!

Sentiamo ancora cosa dice San Paolo ai Filippesi:

Siate sempre lieti (Fil 4,4-9)
[4]Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. [5]La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! [6]Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. [7]E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù. [8]In conclusione, fratelli, quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri. [9]Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica. E il Dio della pace sarà con voi!

Sono raccomandazioni, quelle di Paolo, ma sono anche il risultato dell'essere "risorti con Cristo", di essere persone nuove, risvegliate, consapevoli: essere lieti, non angustiarsi di niente, essere amabili con gli altri, essere attenti a quello che è vero e giusto, a quello che è virtù e merita lode, ecc. E il risultato è la pace di Dio.

È un cammino lungo e che non finirà mai, quello indicato. Ogni giorno l'ego tenta di prendere il sopravvento, di ingabbiarti in schemi mentali egoici, di insinuarti in testa ragionamenti del tipo "sì, ma...", preoccupazioni per il futuro, insicurezze, confronti con gli altri. Ed ogni giorno dobbiamo esercitare, come dice Ermes Ronchi, "l'infinita pazienza di ricominciare": "Vivere è l'infinita pazienza di ricominciare. E quando sbagli strada, ripartire da capo. E là dove ti eri seduto, rialzarti. Salpare a ogni alba verso isole intatte. Ma non per giorni che siano fotocopia di altri giorni, bensì per giorni risorti, passati al crogiolo di amore, festa e dolore che è la vita, e restituiti un po' più puri e più leggeri." E prosegue: "Le parole più caratteristiche della mia fede cominciano tutte con un prefisso: "ri", due sole lettere per dire "da capo", "ancora", "di nuovo", "un'altra volta". Sono le parole rinascita, riconciliazione, risurrezione, rimettere il debito, rinnovamento... È quella piccola sillaba "ri" che dice: "non ti devi arrendere, c'è un sogno di cui non ti è concesso stancarti"". San Gregorio di Nissa, ricorda Ronchi, diceva "Noi andiamo tutti di inizio in inizio, attraverso inizi sempre nuovi". E ancora Ronchi: "È come se Dio perennemente ti dicesse: vieni, con me vivrai solo inizi; non stileremo consuntivi, ma tracceremo preventivi".

La Bibbia esprime questa infinita pazienza di ricominciare con due parole che indicano un unico movimento: "alzati e va'". È detto ad Abramo, al popolo in Egitto, a Giona, ai profeti. È detto agli apostoli negli Atti. "Per noi è scritto questo "alzati e va'". Da dove ci eravamo fermati, Dio ci fa ripartire. Dio è un colpo di vento nelle vele della nostra nave".
Ed ancora le parole di Ronchi: "Siamo creature: ... siamo coloro che non hanno finito di essere creati, che sono ancora nelle mani di Dio, che non hanno mai finito di nascere, che vengono dal futuro ancor più che dal passato. Stiamo sempre nascendo, siamo sempre nella preistoria di noi stessi. L'uomo non è tanto un essere mortale, ma ancor più è un essere "natale". Dobbiamo essere indulgenti con il nostro lungo nascimento che è la vita. Maria Zambrano afferma: "Noi nasciamo a metà. Tutta la vita ci serve a nascere del tutto".".

E allora anche oggi noi ricominciamo questo cammino: noi la vela e Dio il vento, un vento che non sappiamo dove porta ma che, di sicuro "non lascia dormire la polvere", come dice David Maria Turoldo in un suo inno.

Buon cammino di illuminazione, buon cammino di risurrezione!



Riferimenti bibliografici

[1]   Ermes Ronchi, L'INFINITA PAZIENZA DI RICOMINCIARE (a cura di Paolo Ciampi e Massimo Orlandi), Casa Editrice Romena Accoglienza, febbraio 2016.

[2]   Eckhart Tolle, UN NUOVO MONDO, Arnoldo Mondadori, maggio 2008.

[3]   Antony De Mello, MESSAGGIO PER UN'AQUILA CHE SI CREDE UN POLLO , Edizioni PIEMME, 1995.