42° Campo di Comunità Una                   Certosa di Pesio, venerdì 29 luglio 2022

Vivere con leggerezza


Sembra un titolo strano, vero? In verità ho scelto io questo argomento perché anni fa mi aveva affascinato leggere un libretto della Editrice Romena dal titolo “La forza della leggerezza”, un libretto che riporta pensieri di Arturo Paoli condivisi a Romena, assieme a suoi dialoghi con Massimo Orlandi sulla gioia di stare al mondo. Il libretto contiene in sostanza solo dei flash sulla vita di Arturo Paoli e sul suo modo di stare al mondo, ma da lì sono partito e ho cercato di mettere insieme una riflessione, piluccando anche da un libretto di Angelo Casati su “Le paure che ci abitano” e su altre mie vecchie letture.

L'obiettivo è quello di mettere insieme spunti di riflessione che ci siano utili per vivere meglio questa vita, e la cosa mi appassiona proprio perché io non riesco sempre a vivere “con leggerezza”. Magari su certi aspetti sì, magari a volte sì, ma in altri aspetti e in altri momenti no.

Nel proporre questa riflessione mi raccomando innanzi tutto di prenderla “con leggerezza”: sarebbe assurdo che ve la facessi vivere come un peso. Spero di non essere lungo, ma mi raccomando di restare “leggeri”: prendete quello che vi arriva, che risuona dentro di voi, che vi fa respirare e lasciate cadere il resto! Non vi devo interrogare alla fine!!!!

Ovviamente con “leggerezza” non si intende vivere prendendo la vita “alla leggera”, cioè disinteressandosi degli altri, chiudendo gli occhi davanti alle ingiustizie, disinteressandosi di situazioni drammatiche come quelle dei migranti rimasti d'inverno al freddo nei Balcani o tra Bielorussia e Polonia o lasciati affogare nei giorni scorsi dalla polizia greca, o quelle di chi è nato e vissuto in un campo profughi, o della condizione della donna in certi paesi. Quello è “menefreghismo”, non “leggerezza”!

No, la “leggerezza” di cui parlo è il contrario di “pesantezza”: posso fare molte cose, impegnarmi, faticare, vivere una situazione di malattia, ma tutto questo non è vissuto come un peso che mi schiaccia, o come una costrizione, non è vissuto con ansia, paura, affanno.

La leggerezza, contrariamente a quello che forse abbiamo recepito in gioventù, è alla base del nostro essere cristiani, è la via che ci indica Gesù stesso. Quando mi vengono a mente frasi come “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo” (Mt 11, 28), mi si allarga il cuore: Gesù offre riposo, non fatica, non oppressione. Ma Gesù fa anche il confronto con la religione del suo tempo, quando dice: "Legano infatti dei fardelli pesanti e li mettono sulle spalle della gente; ma loro non li vogliono muovere neppure con un dito." (Mt 23,4), mentre, per contrasto, Gesù così invita i suoi discepoli: "Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, che  sono mansueto e umile di cuore; e troverete riposo alle anime vostre; poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero" (Mt 11. 29-30). Arturo Paoli fa la considerazione che se Gesù ha osato dire queste parole, è perché ha in serbo per noi un altro modo lieve e soave di vivere, rispetto a quello offerto dai sacerdoti del tempo. Una religione che non libera non è sicuramente la religione di Cristo! Gesù non ci comanda di fare questo o non fare quello, ma ci chiama ad una conversione del cuore, che ci porti a vivere più in pienezza: “Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv 15, 11).

La leggerezza si fa quindi per noi proposta, stimolo. Si presenta a noi come bisogno di uno spazio aperto dove incontrare noi stessi e liberare la nostra capacità di amare!

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Tutto questo ci porta subito al primo passo, la leggerezza nel sacro, la leggerezza nella fede, nella vita cristiana. Tutti noi ricordiamo le immagini di Dio come un grande occhio dentro al triangolo della Trinità, un Dio poliziotto che sta appostato a vedere quando sgarri. Ma Dio non è così! Non lo è certo nel Vangelo annunciato da Gesù Cristo, ma non lo è neanche nell'Antico Testamento!

Già nella Genesi si prospetta la “paura” di Dio, quando Adamo ed Eva si rendono conto di aver sbagliato a mangiare del frutto dell'albero del bene e del male: “Poi udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno e l'uomo con sua moglie si nascosero dal Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. Ma il Signore Dio chiamò l'uomo e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto».” (Gn 3, 8-10). Noi in genere ricordiamo che Dio cacciò Adamo ed Eva dal giardino di Eden, ma dimentichiamo che “Il Signore Dio fece all'uomo e alla donna tuniche di pelli e li vestì” (Gn 3, 21). Anche per lo scrittore della Genesi Dio era quello che si prendeva cura dell'uomo e della donna! Dio non è un Dio che apre i cieli per scaricare fulmini, ma per ricercare chi si è smarrito!

E in Isaia si legge: “Sali su un alto monte, tu che rechi liete notizie in Sion ... Alza la voce, non temere; annunzia alle città di Giuda: «Ecco il vostro Dio! Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul seno e conduce pian piano le pecore madri»” (Is 40, 9.11). Ed è Gesù stesso che riprende questa immagine: «In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore … Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo ... Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore ... conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me» (Gv 10, 7-9.11.14). Gesù ci rassicura che si prende cura di noi, che ci lascia liberi di entrare e uscire, che va in cerca della pecora smarrita, che dà la vita per noi: cosa vogliamo di più per vivere serenamente il nostro essere cristiani?

Arturo Paoli, nel raccontare la sua esperienza nel deserto, come piccolo fratello di Charles de Foucauld, dice di aver cercato Dio a lungo, là nel deserto, con insistenza, ma senza risultati. Dio si è invece fatto sentire quando lui aveva smesso di cercarlo con insistenza! Sì, perché Dio non si conquista, Dio si accoglie. Non siamo noi che amiamo Dio, è Dio che ama noi! Quello che possiamo e dobbiamo fare noi è creare le condizioni per incontrarlo, creare spazio, svuotare il nostro rapporto con Lui di concetti, idee, dottrine.

Mi sembra un bellissimo programma per incontrare Dio e allo stesso tempo alleggerirsi: partire dal sapere che è Dio che ci ama, ma non da lontano; Dio ci cammina accanto e ci invita a camminare con lui. Dio è spirito (lo dice anche espressamente Gesù a Nicodemo), è lo spirito che anima la nostra vita. Quindi sganciamoci il più possibile dall'idea che sono io che devo fare questo o quello, cioè da una concezione della vita cristiana come insieme di doveri che richiedono uno sforzo.

Un canto degli anni '60 diceva “Ma lasciati fare da chi ti conosce, ma lasciati fare da chi ama te!”. Bisogna lasciarsi plasmare, abbandonarsi, e il migliore dei modi è avere quotidianamente tempi per stare alla sua presenza, in silenzio, mettendosi davanti a lui senza maschere, senza darsi atteggiamenti da buon cristiano, ma consapevoli, per quanto possibile, dei nostri punti deboli, come “non sopporto che...”, “non so rinunciare a...”, “pretendo dagli altri questo o quello... o mi aspetto che facciano/dicano...”, “sono fissato su queste cose...”. Lui ci conosce ed è inutile fargli tanti discorsi. Poche parole, tanto silenzio. La fiducia di essere nelle braccia del babbo o della mamma che conosce bene anche i nostri difetti e problemi ci alleggerisce. Persino il peccato non è un ostacolo, perché può generare in noi il senso del bisogno della sua grazia, il senso di una inferiorità che ha bisogno di essere aiutata, il bisogno di una più profonda intimità col Signore.

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Passiamo allora al secondo aspetto, quello della leggerezza nel vivere quotidiano. Anche ora è Gesù stesso che ci chiama a questo. Gesù non è solo quello che ci dice cosa è bene e cosa è male, non è, per usare una metafora sportiva, un arbitro che ti spiega il regolamento, cosa è permesso e cosa viene fischiato come fallo, ma un allenatore che ti insegna come ingannare l'avversario, come fare i passaggi giusti, come andare a punto... e divertirti a giocare la partita! Gesù è un maestro spirituale che insegna come vivere una vita piena, ricca, viva, frizzante... e leggera. È anche in questo senso che dobbiamo sempre più abituarci a leggere il Vangelo, andarci a cercare gli insegnamenti per noi, le buone notizie per noi.

Gesù, quando parla alla gente e ai discepoli usa immagini di tutti i giorni, parla di gigli, di uccelli, di erba del campo, di granai, di vigne: non è pesante come i documenti ufficiali, senza immagini, senza poesia, e magari come questa mia riflessione. E Gesù, nel Vangelo di Matteo, fa un discorso proprio sulla leggerezza del vivere, un discorso contro l'affanno: «per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete. La vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito?», «Non affannatevi dunque dicendo: che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?», «Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena.» (Mt 6, 25.31.34).

E poi, dopo il verbo al negativo, “NON affannatevi”, ci sono i verbi al positivo: «Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai...», «Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano...», «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6, 26.28.33).

Pochi versetti prima, Gesù aveva pronunciato parole contro l'accumulo di beni materiali: «Non accumulatevi tesori sulla terra ... accumulatevi invece tesori nel cielo... Perché là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore.» (Mt 6, 19-21). Ma quando dice “Non affannatevi” non si riferisce ad un accumulo ingordo, ma al desiderio del necessario, il cibo e il vestito. Come sta la faccenda? La questione sta nella distinzione tra “occuparsi” e “preoccuparsi”, quella che emerge anche nel brano di Marta e Maria nel Vangelo di Luca, cioè tra occuparsi di cosa va fatto e invece subire una occupazione, un'invasione, nella testa e nel cuore, da parte di tutte queste questioni, anche se necessarie. Chi si affanna non ha più la mente sgombra, l'anima libera. La sua testa è altrove e si perde le persone, le cose, gli eventi.

Gesù porta anche delle motivazioni contro l'affanno:  
  • l'affanno non porta a niente. Puoi aggiungere un'ora alla tua vita per il fatto di essere preoccupato, affannato? Dovremmo riconciliarci con la nostra provvisorietà, liberarsi dall'ansia di avere tutto sotto controllo, che tutto vada secondo la nostra programmazione.
  • Con l'affanno, lasciandoci invadere dalle preoccupazioni, rischiamo di trascurare quello che vale di più. Marta è rimproverata da Gesù non perché pensa al mangiare, ma perché ha la testa tutta sui lavori di casa e questo le toglie il respiro vitale, la capacità di ascoltare la Buona Notizia che Gesù porta. Gesù vuole che Marta non si riduca solo ad essere una casalinga: lei è molto di più! 

  • Dio è Padre: noi valiamo molto di più, ai suoi occhi, dei fiori del campo e degli uccelli dell'aria. Gesù ci invita alla fiducia!

Il verbo al positivo, «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta», non sta ad indicare un “prima” nel tempo, ma nel senso di primato, cioè di dare il primo posto a Dio, che non è un Dio astratto, ma è Padre. Cerchiamo il regno di Dio, cerchiamo il suo sogno sulla terra, cerchiamo la sua giustizia che non è quella ristretta degli scribi e farisei ma quella di un amore smisurato. Cerchiamo di lasciare entrare in noi il sogno di Dio.

E allora anche “tutte queste cose”, tutto quello che avremo, non saranno più solo cose appiattite dal consumo, ma avranno un'anima, avranno la luce del dono. L'invito a non affannarsi non è quindi l'invito ad essere senza sguardo per le cose, ma ad avere uno sguardo e un pensiero più profondo, quello del “guardate!” e “osservate!”. Non guardiamo le cose come oggetti di consumo, ma impariamo di nuovo, ogni giorno, ad incantarci, impariamo a soffermarci su un tramonto, su un fiore, su un fringuello, impariamo a cogliere i colori, la bellezza, il mistero che abita le cose. «Il regno di Dio è in mezzo a voi», «Il regno di Dio è dentro di voi» dice Gesù.

Abbandoniamo la fretta che va di pari passo con l'affannarsi. L'ansia, l'affanno, non ci fa guardare il presente, la vita. La vita passa e tu sei da un'altra parte! La fretta ci rende predatori, consumatori. Contro l'affanno ritorni in noi il tempo dell'incantamento!

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Infine, dopo aver accennato alla leggerezza nel rapporto con Dio e al non affannarsi per la vita, vorrei concludere con delle considerazioni generali valide per ogni aspetto della vita, dai rapporti interpersonali alle nostre fragilità e alla malattia. Il discorso ovviamente potrebbe essere lunghissimo, ma ci limitiamo a dei pensieri di tipo generale che potremmo cercare di fare nostri, sì, per vivere più leggeri.

Vivere leggeri vuol dire, in definitiva, “non portare fardelli”, liberarsi il più possibile da tutto ciò che ti lega e ti appesantisce. E come si fa a liberarsene? Rendendosene conto, osservandosi mentre si vive, osservandosi senza subito esprimere un giudizio di sbagliato o giusto. Si fa notando che ad esempio, nei rapporti con le persone, reagisco in un certo modo per orgoglio, notando che agisco così perché mi dà fastidio questo o quello, accorgendomi che in fondo io pretendo certi comportamenti dagli altri e mi innervosisco quando fanno in modo diverso, notando che forse io faccio in un certo modo “perché si è sempre fatto così” o “bisogna fare così” o “lo ha sempre detto mia mamma”, e non sono pronto, aperto, a fare in un altro modo. E, man mano che mi rendo conto di tutte le idee che mi condizionano, mi frenano e mi appesantiscono, cominciare a farsi venire il sospetto, a capire che forse , dando meno importanza a tutte queste cose, posso vivere più leggero.

Per vivere leggeri è fondamentale vivere il momento presente, liberarsi dal peso del “tempo psicologico”, quello del passato che non c'è più e del futuro che non c'è. Il peso del passato si può manifestare come rimpianto dei bei momenti, come rammarico di occasioni perse, come rancore per dolori e ingiustizie subite. Il peso del futuro come ansie (non affannatevi) o aspettative che ti fanno rimandare al futuro la felicità e, come dicevo poco fa, non ti fanno vedere le cose belle che hai ora.

Vedete, la mente è un grandissimo strumento, ma va usata quando serve, come per rivedere il passato per capire, oppure per pensare al futuro per pianificare. Ma quando mi lascio prendere da rimpianti, rancori oppure ansie e aspettattive, allora la mente non è più uno strumento, ma è lei che si impossessa di te e ti impedisce di vedere la vita. «La vita è quella cosa che ci accade mentre siamo occupati a fare altri progetti», dice Tony De Mello.

Vivere il momento presente è il segreto per vivere in leggerezza anche la vecchiaia ed, anzi, utilizzare la vecchiaia come leva per la nostra crescita spirituale. Vuol dire che io accetto quello che è, non oppongo resistenza a ciò che esiste. La resistenza è data dalla nostra testa che pensa che non dovrebbe essere così, oppure che, se avessi fatto così o cosà dieci anni fa ora non sarei a questo punto. Ma lottare contro la realtà ci vede sicuramente perdenti (non puoi cambiare quello che è ora!) e non fa che appesantire la vita.

Questo non vuol dire non fare niente per cambiare la mia situazione, se questo è possibile. Faccio un servizio che mi è diventato troppo pesante? Vedo come passarlo a qualcun altro. Ho dei problemi di salute? Cerco dei medici che mi curino. Ma in ogni caso parto da accettare che ora le cose sono così. Se mi rendo conto che in me ci sono delle resistenze a ciò che esiste nel momento presente, che ci sono delle negatività che mi appesantiscono, queste automaticamente si affievoliranno. E anche le mie azioni per cambiare la situazione saranno più efficaci.

Se invece la situazione non può essere cambiata, accettare quello che è, ora, in questo momento e abbandonarsi nelle mani del Signore, può trasformare in pace profonda anche la sofferenza. 

Qualcuno di noi potrebbe dire: “Ma come faccio ad accettare questa situazione disastrosa?”. Allora accetta che in te c'è fatica, dolore, paura o quella che è la tua sofferenza. Vedrai che arrendersi alla presenza di questa tua sofferenza ti porterà pian piano alla pace profonda.

E in questa pace profonda possiamo entrare sempre più in contatto con Dio, quel Dio che è lo “IO SONO” che posso incontrare solo nel momento presente. Ed in questo incontro, in questa pace e in questo abbandono si dilata la capacità di volere bene, la tenerezza.

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Grazie della sopportazione. Accettate che io sono stato un po' pesante, non rifiutate la realtà di quello che è, e dall'accettazione nasce la leggerezza! Buon venerdì a tutti!