43° Campo di Comunità Una                   Roburent, venerdì 11 agosto 2023

Misericordia - Perdono


Questa mattina riflettiamo insieme sul tema della misericordia e del perdono, tema che ci svela il “cuore di Dio”.
Lo facciamo leggendo e meditando il Vangelo di Luca al cap.15 v.11-31: ossia la parabola del Padre Misericordioso. Il cap.15 comprende anche le parabole de “la pecorella smarrita” e  della “dracma perduta”. 

In tutte le tre parabole, il concetto sottolineato è la gioia di Dio per la conversione del peccatore.
Nella prima si legge “così vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore che si converte, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione”.
Nella seconda: “così vi dico, gli Angeli  di Dio fanno grande festa per un solo peccatore che si converte”; mentre nella terza parabola, “il Padre Misericordioso”, manca la parola  “gioia”, però si parla di festa: “facciamo festa, poiché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita”.

Ma perché Gesù introduce queste tre parabole?
Perché Egli accoglie i peccatori, mangia con loro e questo gli procura critiche e mormorazioni, creando tensione tra Lui, i  dottori della legge e i farisei, come tutto il Vangelo testimonia.

Nelle tre parabole, in risposta alle domande, Gesù pone l’accento  sull’iniziativa di Dio:
  • Dio è il pastore che va alla ricerca della pecorella smarrita.
  • Dio è la donna che accende la lucerna, spazza la casa e cerca ovunque la dracma perduta.
  • Dio é il padre che veglia e aspetta i suoi figli, corre loro incontro, li abbraccia, li supplica, li implora e li scongiura di tornare a casa.
L’annotazione introduttiva al cap. 15 ricorda che l’accoglienza dei peccatori era un comportamento abituale di Gesù, come suggeriscono i verbi “si facevano vicino a Lui tutti i pubblicani e i peccatori”. E’ un comportamento che irrita spesso i presunti giusti, non soltanto quelli del tempo di Gesù, ma anche i cristiani successivi, come Luca stesso ricorda negli  Atti degli apostoli (Lc, 11-13). Non è che i farisei escludessero definitivamente i peccatori: volevano però che il comportamento di Dio nei loro confronti fosse severo e che, di conseguenza, i peccatori per ritornare nella comunità dovessero pagare un prezzo di penitenza, di opere e di osservanze.
Non accettano quindi, i farisei, un comportamento di Dio benevolo, come appunto quello di Gesù.
Per scribi e farisei la condotta di Gesù è scandalosa ed irritante perché sconvolge i più ovvi criteri pastorali e la più comune concezione di Dio...
Per Gesù invece è una condotta che rivela la novità di Dio, il suo vero volto di Padre.
Nella misericordia di Gesù, spiegano le parabole, si fa presente la misericordia del Padre: un Dio che ama i peccatori, li attende, li cerca e gioisce del loro ritorno.

Accogliendo i peccatori Gesù vuole essere una trasparenza del volto di Dio.
Ma come sappiamo, a volte, quelli che si ritengono giusti, hanno invidia di questa misericordia e ne restano irritati. Vorrebbero, come il figlio maggiore della parabola, un altro tipo di padre, più severo, più giudice, meno padre.
Quindi l’attenzione dell’evangelista si concentra sulla gioia di Dio per la conversione del peccatore e non sull’azione del peccatore che si converte.

Qui possiamo fare un confronto con il vangelo di Matteo (cap.18, vv. 12-24), dove non si insiste sulla gioia del ritrovamento ma bensì sulla ricerca da parte del pastore: un invito alla comunità ecclesiale poiché vada alla ricerca degli smarriti imitando in questo il Signore Gesù. Questo ci ricorda, in questo tempo, il “Cammino Sinodale” di una "Chiesa in uscita".
Nel testo si racconta ciò che prova Dio, non ciò che il peccatore deve fare. La conversione del peccatore è vista dalla parte di Dio. Dio davanti all’uomo, non l’uomo davanti a Dio.
La domanda teologica “chi è Dio?” viene prima della domanda morale “che cosa devo fare per obbedire a Dio?”.

Gesù perciò ci invita a guardare le cose da un punto di vista diverso da quello che è abituale: non dalla parte del peccatore, ma da quella di Dio.
E questo è proprio uno strano modo di parlare della  conversione!

Rivolgiamo ora la nostra attenzione all’ascolto del brano del Vangelo di Luca al cap. 15, vv. 11-32, “Il padre e i due figli”.

"Il padre e i due figli" (Lc 15, 11-32)

[11] Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. [12] Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. [13] Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. [14] Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. [15] Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. [16] Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. [17] Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! [18] Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; [19] non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi servi. [20] Partì e si incamminò verso suo padre.

Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. [21] Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. [22] Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. [23] Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, [24] perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa.

[25] Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; [26] chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. [27] Il servo gli rispose: È tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. [28] Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. [29] Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. [30] Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso. [31] Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; [32] ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».

Da qualsiasi angolatura si analizzi la parabola ci si accorge che al centro c’è sempre la figura del PADRE, lui davanti ai due figli, i due figli davanti a lui: il padre é la figura che dà unità all’intera narrazione. Le due vicende, quella del figlio minore come quella del figlio maggiore, si scontrano con la novità della sua paternità. Il punto su cui la parabola concentra l’attenzione del lettore è il modo in cui Dio, il padre, si pone di fronte ai due figli, il peccatore e il giusto e come i due figli si pongono davanti a Lui.

In ambedue i casi c’è un netto contrasto. E qui sta la novità della teologia di Gesù.
Sono in gioco il vecchio e il nuovo, il vino e gli otri… come in un'altra parabola di Luca (5,36-38)  Non c’è spazio per un rattoppo nuovo su un vestito vecchio: occorre cambiare gli otri e il vestito… aprirsi ad una nuova visione: una novità che sorprende e capovolge il punto di vista tradizionale… Una svolta radicale, non fare aggiustamenti, ma indossare un abito completamente nuovo. Gesu’ è la Rivelazione.

L’attenzione deve dunque indugiare anzitutto sulla figura del padre.
Egli non cessa d’amare il figlio che si è allontanato ma continua ad attenderlo: a lui non interessa che il figlio gli abbia dissipato il patrimonio. Ciò che lo addolora e lo intristisce è che il figlio sia lontano e a disagio.
E quando il figlio ritorna, il padre lo scorge da lontano, gli corre incontro.
Nessuna rimostranza, nessun rimprovero, ma solo una commozione incontenibile…

Il padre non bada neppure alle parole del figlio (v.19) “trattami come uno dei tuoi servi”.
L’importante è che questo figlio abbia capito e sia tornato!
L’amore non tollera indugi (vv.22-24) “presto portate il vestito più bello”: quel figlio appena tornato deve subito capire che nulla è cambiato nei suoi confronti, è un figlio come sempre e quella casa è la sua!
Quante volte noi stessi ci siamo trovati, nella nostra vita, in situazioni difficili, stressanti, dolorose e abbiamo sentito il bisogno, la necessità di  ritrovare un abbraccio, serenità, una casa, un luogo dove riposare al sicuro, dove trovare conforto…
E’ questo il volto vero di Dio, il volto di un padre e basta, che Gesù ha inteso rivelare con la sua incondizionata accoglienza ai peccatori.

Il figlio minore esce di casa non perché ha bisogno di lavoro (sono ricchi, hanno braccianti) ma perché vuole organizzarsi una vita indipendente. Lo stare in casa gli pesa come una schiavitù. Un vero padre è amore ma è anche legge e questo, a volte, può insinuare nei figli che egli sia solo un padrone anziché un padre.
L’allontanamento dal padre come ricerca della libertà, questo è il vero peccato del figlio!
E qui, cosa accade successivamente lo conosciamo già, ma tutto quello che capita al figlio serve per risvegliare la sua coscienza: il suo cammino di ritorno inizia infatti con un mutamento interiore (v.17) “rientrò in sé  stesso”, comprendendo che la casa del padre non è una prigione, ma un luogo di libertà e dignità.
La cosa più importante che lui deve fare è “conoscere suo padre”. Infatti lui è convinto di aver perso il suo amore e che debba di nuovo meritarselo lavorando come un servo. Invece il padre reagisce in un modo completamente diverso da come il figlio immaginava, ordina “la veste più bella, l’anello al dito, i calzari” che sono tutti segni dell’essere figlio. Il padre glieli offre prontamente ma non per dirgli “sei di nuovo mio figlio” bensì per dirgli “lo sei sempre stato!”.

D’altro canto il figlio maggiore, anziché godere di questa gioia, ne prova irritazione; non riesce a vedere la questione con gli occhi di suo padre: rifiuta di partecipare alla festa del fratello perduto e ritrovato, ritenendola ingiusta e pensa che la sua fedeltà di rimanere in casa sia stata del tutto sprecata… Pensa: se il peccatore è trattato in quel modo, a che serve essere giusti?
Anche questo figlio maggiore non conosce il padre e neppure ragiona come un fratello, non è contento che sia tornato, né ha capito che lo stare in casa con il padre è una fortuna. Ragiona come se la fedeltà fosse un peso e la compagnia del padre una fatica. Quindi in altro modo assomiglia al fratello minore e assomiglia a scribi e farisei che “mormoravano” perché Gesù accoglieva i peccatori.
Il padre vorrebbe riunire i due figli, unendoli a sé e tra loro, è il suo sogno! Vorrebbe che scoprissero la sua paternità e la loro fraternità… Lo stesso amore che ha spinto il padre a correre incontro al figlio minore, lo spinge ora ad uscire e pregare il maggiore di lasciar perdere le proprie rimostranze e di far festa insieme… Così è Dio per tutti noi.

In conclusione di questo racconto il figlio maggiore si sarà lasciato convincere?
Sarà entrato in casa a far festa? Non lo sappiamo, ovviamente, perché questa è una storia inventata da Gesù, che non ha voluto creare anche la conclusione, come noi vorremmo. Resta solo la domanda che ci facciamo.

La conversione del giusto, a volte, è più difficile di quella del peccatore… Quante volte noi siamo arroccati sulle nostre convinzioni, sulle nostre certezze!

Ma approfondiamo ancora un po' il brano letto e le sue implicazioni, per noi, sia come persone individuali che come comunità, come Chiesa.
Le parole del  racconto che ci indicano l’amore di questo padre sono:

“Ma quando era ancora lontano, il padre lo vide e ne ebbe compassione e correndo lo abbracciò e lo baciò, questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.

Come abbiamo già detto, la figura del padre nella parabola svela il cuore di Dio: egli è il padre misericordioso che in Gesù ci ama oltre ogni misura. Aspetta sempre la nostra conversione ogni volta che sbagliamo, attende il nostro ritorno quando ci allontaniamo da Lui pensando di poterne fare a meno. E’ sempre pronto ad aprirci le sue braccia qualunque cosa sia successo.

Papa Francesco, in una sua riflessione, ci dice che Dio continua a considerarci suoi figli quando ci siamo smarriti e ci viene incontro con tenerezza quando ritorniamo a Lui. Dio ci parla con tanta bontà anche quando crediamo di essere giusti ma stiamo sbagliando.

Gli errori che commettiamo, anche se grandi, non scalfiscono la fedeltà del Suo amore.
Inoltre con il Sacramento della Riconciliazione possiamo sempre e di nuovo ripartire… 
Egli ci accoglie, ci restituisce la dignità di figli suoi e ci dice: “Vai avanti! Sii in pace! Alzati, vai avanti!”.

Il Salmo 136 ripete molte volte “Eterna è la Sua misericordia”… Perché la Misericordia è la Sua natura! La Sua essenza.

Mi piace ricordare un pensiero di papa Paolo VI che dice: “la misericordia di Dio cerca la nostra povertà, le nostre fragilità e le ama, e la nostra povertà, una volta amata, diventa misericordia, che non è un sentimento ma un FATTO, frutto e opera dello Spirito Santo che agisce in noi”.

La misericordia di Dio infatti, ha in sé sia la paternità, sia la maternità.
L’amore fa il bene dell’amato con robustezza paterna e tenerezza materna, attraverso il prendersi cura dell’altro, curando, dando nuove prospettive, nuove possibilità: in questo sta la nostra felicità e la felicità dell’altro.

Così agisce Dio con noi, ci lascia liberi, anche di sbagliare, perché creandoci ci ha fatto dono della libertà e sta a noi farne buon uso.
Se penso alla storia recente, quante persone come Gesù sono state testimoni, esempi coraggiosi di amore misericordioso nei confronti dei loro nemici, persone che hanno guardato l’altro con gli stessi occhi con cui li avrebbe guardati Gesù: don Pino Puglisi, don Beppe Diana, vittime per aver difeso la legalità, Liliana Segre che non ha provato vendetta verso i suoi carnefici, il giudice Rosario Livatino ammazzato perché perseguiva le cosche mafiose, mons. Oscar Romero che ha combattuto le ingiustizie sociali schierandosi dalla parte dei poveri… e quante altre persone comuni e non, a noi sconosciute o della porta accanto!

E’ soltanto partendo dall’AMORE e non dal senso del dovuto, dall’impulso di giustizia o dalla nostra buona volontà, che la misericordia nasce  dal rapporto con Dio, nasce dalla Fede e sa di ETERNITÀ.

Una società che non conosce il perdono, ma anzi alimenta l’odio, difficilmente creerà cose buone.
Ecco allora che una comunità deve mettersi in ASCOLTO della Sua voce, della Sua Parola e mettersi in ascolto di chi non è ascoltato: fratelli, poveri, sfiduciati, sofferenti per malattie, per isolamento, solitudine, ecc… per allontanare preconcetti e pregiudizi… Importante è “l’ascolto del cuore”, cioè immergersi, provare empatia per le situazioni disastrate della terra: terrorismo, guerre, migranti, terremoti ecc.. Per far questo è necessario, anzi indispensabile, “fermarsi”, come esseri umani, innamorati, per comprendere, per vedere, per sentire, per accogliere.

In "Fratelli tutti”, papa Francesco ci dice: “le ingiustizie subite si possono superare soltanto con il bene, abbandonare la triste consuetudine al conflitto permanente: nella politica, tra le nazioni, ma anche nei nostri quartieri e città; nei conflitti in famiglia, nella vita quotidiana, in strada”.

Occorre maggiore capacità di dialogo, quindi di ascolto, perché l’altro è una persona fallibile. E a ben guardare sono fallibile anch’io, allo stesso modo.
Perdono e giustizia sono inestricabilmente collegati.
Ed è per questo che la giustizia da sola non basta, ci vuole “di più” per definirci comunità “civile”: è necessaria la capacità di perdono! Perdono come stato d’animo di persone che conoscono prima di tutto i propri limiti e dunque provano ad accettare i limiti degli altri…



Quadro RembrandtPer comprendere e approfondire meglio il Vangelo che stiamo commentando, è opportuno introdurre il concetto di “bellezza”. La Parola di Dio è BELLEZZA e così lo è anche l’arte.

Vorrei proporvi perciò di osservare questo dipinto di arte cristiana di  Rembrandt “Il figliol prodigo”: in esso l’artista rappresenta soprattutto “il padre misericordioso”.
E’ un dipinto che a me ha fatto molto pensare, ha mosso dentro di me qualcosa che non so ben definire, come lo è stato per Henri Nouwen, che lo ha ben descritto  nel suo libro “l’abbraccio benedicente”.

Rembrandt elabora questo lavoro poco prima di morire. Egli riversa in quest’opera tutta la sua carica emotiva concentrata sul senso del perdono attraverso un gesto di tenerezza: un “abbraccio”.
A tal proposito si dice che nel momento in cui il pittore sentì che la vita lo stava abbandonando, si fosse pentito di come la sua esistenza fosse stata a volte “disordinata”, ma si scoprì alla fine desideroso di avere l’anima salva.
Questo dipinto si trova nell’Ermitage di San Piertoburgo: è una grande opera del ‘600. Nel dipinto si notano alcune figure: un padre, un figlio, un fratello e altre tre persone che non interagiscono nella rappresentazione.
I colori dominanti sono il rosso, ad indicare regalità e sofferenza e il giallo, che richiama la luce, il calore. I toni sono chiaroscuri e ricordano lo stile del Caravaggio.

Nella scena il padre si china ad abbracciare il figlio più giovane, posa le sue mani sulle sue spalle che, inginocchiato ai suoi piedi, appoggia il volto sul petto del genitore. La luce che illumina sia il padre che il figlio minore, sta ad indicare l’intensità e l’amore che in quel momento avvolge i due corpi. Il padre è molto invecchiato, gli occhi socchiusi rivelano gioia, emozione per il ritorno del figlio ma indicano pure che che il passato è dimenticato e ciò che conta è  il ritorno a casa del figlio. Che sia un abbraccio di tenerezza lo dimostrano anche le mani del padre  appoggiate sulle spalle del figlio minore: sono diverse tra  loro,  la sinistra maschile, la destra femminile: questo indica che l’amore del padre come pure quello di Dio per noi, è materno e paterno contemporaneamente:  la mano maschile dà forza e potenza e la mano femminile trasmette dolcezza, cura , protezione.

Il fratello maggiore è invece a lato del dipinto, in piedi, rigido, con le mani appoggiate e chiuse su un bastone e il mantello teso, non avvolgente come quello del padre, ad indicare le sue convinzioni, le sue sicurezze. Che questo sia il figlio maggiore è evidenziato dal mantello rosso, come quello del padre, e dal cappello e dal bastone, a indicare che ha la dignità di persona della famiglia. Lo sguardo è indignato ma illuminato anch’esso da una luce: questo ci indica come l’essere umano può scegliere se stare nell’ombra, nelle tenebre, oppure vivere nella luce, la luce di Dio. Il Signore ci da questa possibilità… sta a noi decidere!

In sintesi i personaggi di questo dipinto possono ripercorrere alcune fasi della nostra vita:
  • figlio più giovane, fratello maggiore;
  • il padre, la madre celata, come abbiamo visto nell’atteggiamento del padre.
Il Signore ci guida e ci sprona in questo cammino a volte complicato ma con il Suo sogno per noi di diventare PADRE e MADRE, per i figli o per gli altri, di riversare il nostro amore sconfinato sui figli in senso ampio, per divenire padri e madri, come Lui lo è sempre, ogni giorno, nonostante tutto, per ciascuno di noi.
Rembrandt in quell’ABBRACCIO identifica se stesso come avrebbe voluto essere accolto dal Padre Celeste... un desiderio anche nostro.

TRACCE PER LA RIFLESSIONE PERSONALE

Concludo con alcuni spunti e domande per la nostra riflessione personale e per lasciarci interrogare da queste mani compassionevoli di Dio, che accolgono, spezzando consuetudini e tradizioni e irrompono inaspettatamente con un contemporaneo abbraccio di padre e di madre.

  1. Quale immagine ho di DIO nel mio quotidiano?
  1. Giudico gli altri, oppure cerco di trasmettere sentimenti di misericordia e perdono, che riflettono la tenerezza di questo Dio “padre e madre”?
  1. In quali occasioni della mia vita ho ricevuto compassione e ho donato compassione? Era o è stata inaspettata? Ha cambiato la mia vita, il mio approccio all’altro?
  1. Partecipo al banchetto Eucaristico con sentimenti di gratitudine per questo amore infinito di Dio che si dona a noi?