38° Campo di Comunità Una                   Bardineto, giovedì 4 agosto 2016

Misericordiosi come il Padre

Le indicazioni lasciateci da Gesù per una vita in pienezza,
 attraverso il "discorso della pianura" di Luca e altri brani biblici.

La riflessione di oggi parte da Lc 6,36; è questa la conclusione delle Beatitudini di Gesù.
Per Matteo Gesù pronuncia questo discorso su un monte, mentre Luca al contrario lo situa in un luogo pianeggiante; ma per entrambi l’indicazione è la stessa: infatti se per gli Ebrei, per i quali scrive Matteo, il monte è il luogo dell’incontro con Dio, per i pagani il luogo dei discorsi importanti era il foro, la piazza, un luogo pianeggiante. Siamo quindi al centro costitutivo dell’insegnamento di Gesù che appunto, secondo Luca, il Cristo conclude con la frase che oggi vogliamo lasciar risuonare nei nostri cuori: “
Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro” (Lc. 6, 36), mentre Matteo (5,48) riporta “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”. Abbiamo quindi una prima indicazione: la perfezione dell'uomo sta nella misericordia o meglio ne viene fuori un’altra e cioè Dio è perfetto perché è misericordioso e l’uomo può raggiungere la perfezione se sarà misericordioso.

In questi discorsi Gesù indica la strada per giungere al paradiso. A volte pare ridicolo la nostra preoccupazione di non arrivare in paradiso: ci è stato detto tutto quello che dobbiamo fare e come farlo; insomma per essere in paradiso basta semplicemente usare misericordia con gli uomini e le donne che quotidianamente incrociamo, a cominciare da noi stessi.

Nella pericope (brano) di Luca, gli esegeti riconoscono uno schema concentrico A-B-A’-B’ dove i versetti centrali rappresentano il senso profondo di tutto il messaggio:

A -->    Non giudicate e non sarete giudicati

B -->    Non condannate e non sarete condannati

B’ -->   Perdonate e sarete perdonati

A’ -->   Date e vi sarà dato

Essere misericordiosi vuol dire: non giudicare, poiché chi giudica si innalza su un piedistallo. Anzi dobbiamo abbassarci, per metterci al servizio degli altri, ma soprattutto dobbiamo non condannare, perché nel momento della condanna io precludo all’altro la possibilità di uscire dal male che eventualmente ha commesso. Così dobbiamo aprirci al perdono che rigenera nel bene l’altro e innanzitutto noi stessi.

Giovanni XXIII diceva “Occorre condannare l’errore e non l’errante”: il peccatore è sempre e anzitutto un essere umano e conserva, in ogni caso, la sua dignità di persona, e va sempre considerato e trattato come si conviene a tanta dignità. Quindi non condannare l’errante, ma l’errore; credo sia proprio questo il senso dell’anno giubilare indetto da Francesco.

Non giudicare

1.    Il giudizio è figlio della nostra idea di bene e di male: la Genesi (Gn 2,16-17; 3,4-9.22) in modo inequivocabile rende indisponibile alla libera decisione dell’uomo il definire ciò che è bene e ciò che è male, poiché tale scelta è prerogativa inalienabile di Dio

2.    Noi siamo chiamati a rispettare la legge, o meglio il comandamento dell’amore che Cristo ci ha lasciato, evitando di giudicare il fratello. (Gc 4,11-12)

3.    Il giudizio troppe volte è figlio delle apparenze (Gc 7,24) e soprattutto della presunzione, cioè del mettersi al di sopra degli altri e del cercare il proprio interesse (Gv 8,42-44.47-51)

4.   Nella lettera di Giacomo si dice di non giudicare il fratello (Gc 4, 11-12) Non parlate gli uni contro gli altri, fratelli. Chi parla contro un fratello, o giudica il suo fratello, parla contro la legge e giudica la legge. Ora, se tu giudichi la legge, non sei un osservatore della legge, ma un giudice. Uno soltanto è il legislatore e il giudice, Colui che può salvare e perdere; ma tu chi sei, che giudichi il tuo prossimo?”

5.   Un solo giudizio siamo chiamati a dare ed è il giudizio circa le situazioni e le cose intorno a noi; in questo caso il giudizio nasce dallo Spirito: infatti grazie allo Spirito “noi abbiamo il pensiero di Cristo” (1Cor 2,10-16)

6.    Siamo comunque chiamati a vivere sotto il giudizio della nostra coscienza; è lì che, ascoltando la voce di Dio, cogliamo il nostro ruolo nel progetto d’amore di Dio; ci sarà il giudizio, ma saremo giudicati “secondo una legge di libertà”. Per noi che amiamo costringerci in catene e formalismi sempre più ristretti, questa espressione sembra una contraddizione, ma non lo è per Dio, perché per Lui “la misericordia ha sempre la meglio sul giudizio” (Gc 2, 12-13). Qui sta il vangelo, la buona notizia, notizia talmente grande da non sembrare vera: il giorno che ci troveremo davanti a Dio, avremo forse davanti a noi anche il male che avremo commesso, ma il Signore sarà così accecato d’amore per quell’unico gesto di misericordia che avremo fatto che ci dirà: “Vieni, prediletto del Signore!!!”

Non condannate.

Se la condanna elimina la speranza di un possibile cambiamento, il perdono apre al sogno di una conversione. La condanna che si fonda sul giudizio fa compiere all’uomo un ulteriore passo perché rinchiude l’altro nel male che, secondo me, ha commesso.

1.      Dio non condanna, salva (Gv 3, 16-21)

Dio non può condannare perché ha tempo, o meglio vivendo al di là del tempo, non può chiudere la porta del suo cuore: prima o poi per chi ha sbagliato c’è sempre la possibilità di un ravvedimento, anche nell’eternità. Allora l’inferno è vuoto? Probabile! Quel giorno davanti a Dio vedremo probabilmente anche tutto il male commesso, ma saremo così abbracciati dall’amore misericordioso di Dio che diventeremo capaci finalmente anche noi di perdonare noi stessi; Pietro dopo aver rinnegato per ben tre volte il suo maestro ha potuto incontrare il perdono di Dio e ha quindi saputo perdonarsi in quel pianto liberatorio: nelle sue lacrime ha purificato sé stesso da quel tremendo peccato.

2.      Giudizio e condanna

Eppure una condanna esiste: sono io che mi autocondanno, se scelgo volontariamente di rifiutare la salvezza offerta da Dio.  Il diavolo ha scelto di disobbedire ed essendo un angelo, cioè un essere perfetto e spirituale ed in quanto tale non potendo cambiare idea: è perfettamente malvagio. Noi, per fortuna, siamo uomini, per cui se io faccio una cavolata, se cado in errore e nel peccato, posso sempre sperare di non rifarlo e di ritornare nel progetto d’amore di Dio (Gv 12, 44-50)

Perdonate

1.      La nostra capacità di perdonare nasce dal perdono di Dio nei nostri confronti

A questo proposito a me piace molto la versione a riguardo del perdono nel Padre Nostro riportato da Luca: "Perdona a noi i nostri peccati anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore”

2.   Perdonare sempre  

Quante volte Signore devo perdonare? Bellissima la domanda che Pietro pone a Gesù, una domanda alla quale tenta anche di dare una risposta per far vedere al suo Signore e maestro che ha capito “Fino a 7 volte?”. Il numero 7 rappresenta la perfezione, per cui potremmo tradurre questa affermazione con “tutte le volte che posso?”; la risposta di Gesù ha qualcosa di meraviglioso:  "non ti dico fino a 7 volte ma fino a 70 volte 7”, ovvero “non tutte le volte che puoi, ma sempre, cioè anche quando non puoi!” Occorre prendere il perdono sul serio: mi dà molto fastidio, quando vedo giornalisti banalizzare questo gesto, mentre chiedono a chi ha subito qualche grave lutto se si sente in grado di perdonare chi ha loro tolto qualche caro. Il perdono è il dono più grande che possiamo fare ed è anche una liberazione per il nostro cuore malato.

Ma soprattutto dobbiamo imparare a perdonare noi stessi, e questo è davvero molto complicato: i peggiori nostri giudici siamo troppe volte noi stessi. Ricordo ancora la condivisione di un fratello fatta ormai diversi anni fa; diceva la sua fatica nel guardarsi ogni giorno allo specchio mentre si faceva la barba perché vi vedeva una persona che in qualche modo aveva tradito quel progetto che Dio aveva su di lui. Lo so è davvero molto difficile, ma devo imparare a perdonarmi. Il primo passo è riconoscere i propri limiti e perdonarci, cioè superare l’idea che questi limiti siano la nostra prigione e non sempre ci si riesce.

Dare

Il nostro essere chiamati a dare nasce dall’avere ricevuto; così come infatti gratuitamente abbiamo ricevuto, gratuitamente dobbiamo dare (Mt 10,8). In questo senso la grandezza nel Regno di Dio sarà commisurata con quanto avremo saputo donare nel corso della nostra vita; infatti la logica che governa il Regno di Dio è la logica del servizio che rivoluziona l’idea del potere (Mc 10, 42-45).

Il nostro servizio deve essere guidato dal riconoscimento nel fratello più povero e piccolo del nostro Signore; è secondo questo spirito che troveremo la forza per essere sempre disponibili, trovando anche la ricompensa del nostro agire: al termine del giorno vivremo nella gioia e nella consapevolezza di aver operato nella costruzione del Regno: sarà quella la nostra ricompensa e potremo allora esclamare con forza “Siamo solo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Lc 17,10). Servi "inutili" perché ormai figli chiamati a lavorare nella vigna del Padre. Il “servizio” non è un momento, ma un’opzione fondamentale per la vita, un modo di essere, di vivere: la ricompensa del “dare” è il dare stesso, perché in quello io trovo la mia gioia.

Vivere nello stile del servizio è vivere già oggi nella logica del Regno. Ricordo un campo con i ragazzi dell’ACR dal titolo “Servivere”: era il tentativo di rendere concreta la nostra vita nel servizio ai fratelli. Ma soprattutto il nostro tentativo dovrà essere quello di proporre nel servizio una testimonianza concreta del Regno. Scrive Paolo “… pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero…. Mi sono fatto debole per i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io

Non importa l’età, gli acciacchi e le mie difficoltà: rinunciare a vivere in spirito di servizio vuol dire rinunciare già oggi alla gioia del regno di Dio, progetto d’amore del Signore per il mondo e per tutti gli uomini e le donne che lo abitano.