38° Campo di Comunità Una                   Bardineto, sabato 6 agosto 2016

Vivere la "misericordia spirituale", in Comunità e nella vita quotidiana,
cercando la piena realizzazione del fratello

Dio Padre desidera la nostra piena realizzazione come uomini e donne, e in questo senso dobbiamo vivere la misericordia verso i fratelli e le sorelle, in Comunità e nella vita quotidiana.

 

Il punto di partenza di una riflessione sulle "opere di misericordia spirituale" è capire e interiorizzare che Dio, il Dio creatore, vuole che la vita dell'intero universo, e soprattutto dell'uomo, creato "a sua immagine e somiglianza", si sviluppi in pienezza.

Già nell'Antico Testamento si ritrova questo concetto. Nella Genesi si legge che "Quando Abram ebbe novantanove anni, il Signore gli apparve e gli disse: «Io sono Dio onnipotente: cammina davanti a me e sii integro" (Gn 17,1). Abramo è chiamato a camminare alla presenza del Signore e ad essere "intero", non spezzato, non diviso, come spesso siamo noi (e qui ci tornerò sopra), ad essere pienamente sé stesso, ad essere Abramo al 100%. È come se Dio ci dicesse. "cammina alla mia presenza e sii completamente Carlo, Ornella, Cesare, Claudio, Silvia...".

E nell'Esodo Dio parla a Mosè dicendo: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto» (Es 3, 7-8). Dio non è insensibile alle sofferenze del popolo, e interviene, per mano di Mosè, per liberarlo dalla condizione di schiavitù. Ma noi, alla luce di tutto quello che segue, sia nell'Antico Testamento che nel Vangelo, sappiamo che Dio non vuole solo la libertà del suo popolo da un faraone che li opprime, ma da qualunque tipo di schiavitù, materiale e spirituale, compreso tutte le forme di idolatria possibili, come la sete di soldi, di potere, di successo, di sesso. E compreso tutte le forme di paura che ci impediscono di vivere veramente liberi, respirando a pieni polmoni, ma ci fanno vivere delle vite ridotte, chiuse, perennemente sospettosi, arrabbiati, auto-limitati nella nostra realizzazione.

Anche i salmi ci parlano della premura del Signore per il cuore dell'uomo: "Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito" (Salmo 34), oppure "Risana i cuori affranti e fascia le loro ferite" (Salmo 147).

Pensiamo un po' a noi stessi: mi sento intero o sono un po' spezzato? Io, per esempio, quante volte sono scontento dentro: vorrei fare tutte le cose bene, ma poi certe cose, che andrebbero davvero fatte, non ho voglia di farle e mi perdo invece a fare scemate. Vorrei avere sotto controllo tutte le cose da fare, quello che so che dovrei fare per qualcun altro o per gestire la casa ecc., e quello che mi piace per me stesso, che mi dà soddisfazione personale, e poter dire a me stesso che ho fatto tutto bene. Ma alla fine questo controllo non ce l'ho e non sono contento. Mi sembra sempre di aver gestito male il mio tempo e non mi accorgo che l'errore fondamentale è forse di pretendere di avere tutto sotto controllo e di farmi pilotare dalla mia mente, ma anche di essere frenato dentro dalle pigrizie, dal rifiuto o dalla fatica di fare delle cose anche semplici come andare a trovare una persona, fare una telefonata, oppure mettermi a preparare dei documenti o pensare ai bagagli per la prossima vacanza. Mi accorgo di essere impastoiato come quel ciclista di quella pubblicità che pedala in una specie di colla, e in definitiva di "camminare poco alla presenza del Signore". Non sono tutto intero, non sono realmente libero, non sono il Carlo pienamente realizzato che il Signore vorrebbe.

E poi mi piacciono tantissimo certi passi del Vangelo in cui si sente la cura, la tenerezza, di Gesù verso l'intera persona.  Come nella frase: "Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò." (Mt, 11, 28). Non si rivolge qui ai ciechi, ai lebbrosi, ai paralitici, ma solo a quelli che sono "affaticati e oppressi", quelli che vivono col fiatone perenne, quelli che vivono schiacciati dalle preoccupazioni quotidiane.

E poi, in (Mt 9, 36): "Vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore.". Bello, questo versetto! Gesù ha pena per tutta questa gente, ma non perché ha fame o è malata, ma perché sono in cerca di qualcosa di più dalla vita, perché non basta loro andare al tempio e offrire due colombe per sentirsi persone "intere", perché cercano un senso vero per la loro vita e non lo trovano.

Ripenso a certi personaggi, di successo e con ricchezza di beni materiali, dello spettacolo o dell'industria, che finiscono la loro vita suicidandosi. Cosa mancava loro, ci diciamo? Mancava la cosa più importante, un senso profondo alla loro vita, avere uno spirito vivo, legato su dei valori veri e non fasulli. I soldi e il successo non ci bastano, e non è neanche vero che "quando c'è la salute c'è tutto", perché questi personaggi in genere la salute ce l'avevano, mentre vediamo persone malandate e sofferenti che vivono la loro vita irradiando serenità intorno.

Dio ci vuole realizzati e liberi. Posso sembrare provocatorio, ma Lui ci vuole liberi anche da sé stesso: Dio ci vuole liberi da Dio! Assurdo? Beh, diciamola tutta: Dio ci vuole liberi da tutte le immagini che ci facciamo di Dio e che ci legano, ci limitano, ci fanno camminare con passo fiacco, ci fanno stare nella paura. «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo», dice Gesù (Mc 1, 15). Convertitevi, cioè cambiate modo di ragionare, anzi, andate oltre la mente razionale, e credete alla Buona Notizia, quella di un Dio che è vita, amore, libertà, pienezza, e accoglietela con la semplicità di un bambino!

"Dio è spirito", dice Gesù (Gv 4, 24), spirito, soffio, quello che dà e mantiene la vita. La Vita è in noi anche se normalmente non ci facciamo caso. Anche se dormiamo il nostro cuore batte, i polmoni si dilatano, i peli crescono.

Volete sperimentare una conoscenza diretta di Dio? Provatela subito, ora, per qualche minuto. Chiudete gli occhi e girate l'attenzione all'interno del corpo. È vivo? C'è vita sulle guance, sulle labbra, sulla nuca? E nelle mani, nelle gambe, nei piedi? Riuscite a sentire come un sottile campo di energia che dona vita a ogni organo e ogni cellula? Non pensate, ma solo sentite. Più vi concentrate sulla percezione del corpo, dal di dentro, e più questa diventa nitida, e potete sentire in tutto il corpo come un unico campo di energia, come un brulicare di vita dentro di voi.

Fatelo spesso di fermarvi a sentire la Vita dentro di voi: è un portale per entrare di più in contatto con il Dio della Vita. Convertitevi, uscite dal ragionamento, e scoprite che Dio non è lassù lontano, ma vicino, qui, dentro. Questa è già una gran bella notizia!

Dio è Vita. Dio è pienezza di vita, e chiama noi, fatti "a sua immagine e somiglianza" a collaborare per espandere la vita intorno a noi. Questo è il significato più grande delle "opere di misericordia spirituali".

E qui vorrei fare una breve considerazione sull'espressione "opere di misericordia spirituale". Da una parte capisco che sia giusto che la Chiesa abbia inventato questa definizione, per ribadire che non è importante solo il corpo, non è importante curare solo la fame, il freddo, la malattia fisica del fratello, ma è importante avere cura di tutta la persona. Dall'altra parte quest'espressione mi infastidisce, perché parla di "opere", perché sembra voler parcellizzare la misericordia. E perché mi richiama alle "buone azioni" da fare, alla mentalità del giovane ricco che chiede "Cosa devo fare per avere la vita eterna?" (Mc 10, 17). La misericordia non è una cosa da fare, ma una disposizione costante del cuore. E se io posso ancora pensare di poter dare da mangiare a un senza tetto anche se non mi importa niente di lui, non posso pensare di aiutare un fratello angosciato dandogli semplicemente un piatto di buone parole, senza metterci il mio cuore. La misericordia spirituale avrà quindi il significato più ampio di avere cura del fratello, desiderare la sua piena realizzazione, vispa e spiritualmente dinamica, desiderare che sia una persona intera e non divisa, desiderare che abbia la pace nel cuore, la gioia. "Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro" (Lc 6, 36) ci dice Gesù. Sì, perché la misericordia, l'amore è anche la nostra piena realizzazione.

Dio può essere paragonato all'oceano e noi alle onde in superficie. Abbiamo gli occhi sull'esterno, vediamo le altre onde come qualcosa di separato da noi. Magari proviamo invidia per quella là davanti, più alta e col ciuffo d'acqua sulla testa, o prendiamo in giro quella là di fianco, piccola e sfigata, e non ci accorgiamo che, se guardassimo sotto, scopriremmo che siamo tutte parte dello stesso oceano. La separazione in realtà non esiste. Siamo anche noi oceano, come le altre onde, siamo tutti in Dio, siamo pienamente realizzati quando viviamo l'unità e siamo allineati col flusso di energia di amore di Dio.

Siamo chiamati a vivere quotidianamente la "misericordia spirituale" verso il prossimo, verso il coniuge, il parente, il vicino, il collega di lavoro, il compagno di sport o di hobby, verso i figli, verso chi incontro sulla mia strada. Questo vuol dire che non posso fregarmene se vedo, ad esempio, che sei sempre negativo riguardo alla vita e dici "che schifo" ogni momento. Se il tempo meteorologico non è mai abbastanza buono o se, in ogni situazione, "era meglio prima". Se sei perennemente incazzato col mondo, anche quando avresti tutto quel che serve per essere felice. Se ti lasci angosciare per ogni scemata, o se rinunci a tante cose, anche normali come guidare la macchina o camminare in campagna, perché dici "non ne sono capace" oppure "tanto io sono sfigata/o". Siamo chiamati ad aiutare il fratello che vive con tante paure, che vede il mondo avverso, che vede la vita come una fatica, che si lascia innervosire da ogni piccola cosa che non va perfettamente come desiderato.

Mi rendo conto però che non è per niente facile. E d'altra parte anche Gesù non è che abbia liberato tutti. Ripenso all'incontro col "giovane ricco" (Mc 10, 17-22).

Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre». Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: và, vendi quello che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi». Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni.

Questo arriva di corsa e si butta ai piedi di Gesù. Ha qualcosa dentro che non lo fa essere tranquillo. E Gesù, dopo aver subito stabilito che solo Dio può essere chiamato "buono", per definizione, chiede al giovane se ha seguito i comandamenti, riferendosi a quelli che riguardano il comportamento con gli altri, il rispetto della loro vita, dei loro beni: non uccidere, non frodare, non tradire la moglie, non dire falsità sugli altri, onorare i genitori. Ma il giovane, pur riconoscendo di aver sempre osservato i comandi di Dio, ha ugualmente un'inquietudine dentro. Allora Gesù, fissandolo con amore, gli lancia una proposta e in pratica gli dice: vedo che il rispetto della legge non ti basta, come non ti basta essere un uomo realizzato economicamente; vedo che hai dentro di te un'aspirazione più alta; e allora, dai!, molla tutto, molla la tua logica di doverti conquistare tutto da solo; lascia il tuo mondo di ricchezze da gestire e vieni dietro a me, e entra nell'ottica di accogliere la vita come dono! E di sicuro Gesù, che legge nel cuore degli uomini, gli faceva la proposta giusta per la sua felicità. Ma questo è un salto di qualità e di stile di vita che il giovane non si sente di fare, e se ne va triste. Chissà, magari dopo la morte e risurrezione di Gesù avrà fatto il salto e si sarà unito agli apostoli, chissà! Ma quello che volevo notare è che Gesù non è che lo rincorre. Ed è questo, mi pare, che noi possiamo fare: guardare gli altri con amore, leggere dentro di loro il bisogno di un aiuto, e provare a darglielo.

Dovremmo provare a dare aiuto al fratello sul serio, avere a cuore la sua felicità. Sì che anche De Mello dice: "Di tanto in tanto vi dico: «Svegliatevi!». Se ne saprete approfittare, bene; altrimenti pazienza! Io non devo far altro che ballare la mia danza". Lo dice per ribadire che la nostra crescita spirituale, la nostra realizzazione piena, dipende da noi, e lui ha solo il compito di indicarci le possibili strade, ma di più non può fare. Il lavoro per crescere è "nostro" e non ce lo può fare un altro, anche fosse il "guru" più illuminato su questa terra. Però sento anche che, a volte, potremmo davvero essere più perseveranti nel seguire una persona, e non contentarci di poter dire: "io glie l'ho detto".

Mi viene a mente quando, all'inizio del Gruppo Fuoco, a volte andavamo al mare insieme. E uno dei nostri bimbi aveva paura a nuotare: nemmeno Barbara, specialista nel trattare coi bimbi, era riuscita a fargli vincere la paura, pur nuotando con lui. Allora avevo pensato: dovremmo stargli dietro; dovremmo portarlo noi al mare; avrebbe bisogno di qualcuno che non si preoccupi solo che non si faccia male, ma anche che si desbelini. Ma poi non ci ho nemmeno provato a proporlo...

In tutto questo discorso la Comunità può avere un ruolo importante. Molti di noi qui presenti c'erano anche nei primi anni della Comunità, quando si rimasticava il Cicciobello, Lasciarsi Convertire, I Talenti, Fecondità di Cuore... Ricordo come un ritornello permanente fosse l'invito ad uscire da un'ottica ristretta alla propria famiglia, ma allargata agli altri, per fare una "Famiglia di famiglie". E quello di smetterla di tenere all'ordine della propria casa, alla bella figura con gli altri, al prestigio di un lavoro qualificato, alla macchina bella o alle vacanze da sbandierare con orgoglio, per passare a un'ottica di rapporti fraterni, di apertura al vicino e ai problemi del mondo. E non mancavano le pressioni perché la donna acquistasse più libertà di parlare, di esprimersi, senza le frequenti critiche del marito "ma cosa dici???", o di rendersi indipendente prendendo la patente di guida, insomma, pressioni perché anche dentro la famiglia si stabilisse un rapporto di parità, di rispetto, di collaborazione, di aiuto reciproco alla crescita e alla piena realizzazione.

Ci veniva, in buona sostanza, detto che era possibile vivere una vita più dilatata e gioiosa, più libera da ansie per il futuro e aperta al mondo dell'invisibile, al mondo dello Spirito. Sì, credo proprio che, anche in Comunità, dobbiamo (io per primo) riscoprire questa cura per il fratello, questo desiderio della sua piena realizzazione, quest'attenzione a cercare di rimuovere gli ostacoli che gli impediscono una vita serena e gioiosa.

A questo punto mi scatta il pensiero: "Come posso dare al fratello qualcosa che io non ho?". E allora cosa dirò, che devo diventare pienamente realizzato io prima di aiutare il fratello? Fesseria! Però io devo cercare di realizzarmi come persona completa, intera e non spezzata, non solo per me stesso ma anche per gli altri, i fratelli di comunità, i parenti, i vicini, i figli o i nipoti. È come quando si cammina in montagna: la cosa principale è avere la minima capacità di camminare e il desiderio di fare quel certo percorso, di arrivare a quella cima o a quel valico, e poi ci si aiuta l'un l'altro. Quando da giovane andavo a camminare sui ghiacciai del Rosa, legati in cordata, a turno uno "faceva sicura" all'altro nel saltare un piccolo crepaccio, piazzandosi ben saldo e tenendo la corda tesa. E quando sui sentieri ripidi si trovano degli scalini troppo alti, a turno uno spinge l'altro o gli da la mano per tirarlo sù. Non c'è, di solito, quello bravo che fa tutto da solo e aiuta gli altri, ma si procede attraverso l'aiuto reciproco. Ciascuno di noi può aiutare l'altro a crescere sotto un certo aspetto; ciascuno di noi può essere aiutato a fare un certo altro scalino. Di passo in passo più interi, più aperti, più gioiosi. Bellissima un'espressione usata da Sister Koi a Taizé: "aiutarci vicendevolmente ad essere servi della fiducia, anziché signori del dubbio". Sì, è vero: è facile "padroneggiare" il dubbio, essere di quelli che dicono "sì, dici bene tu, ma se tu fossi al mio posto..." oppure "bei discorsi, ma nella realtà...". Noi dobbiamo però seguire la fiducia, lasciandoci guidare da essa, come suoi servi, ed aiutarci l'un l'altro in questo cammino.

Possiamo quindi ora guardare all'ultimo tiro di corda, per andare verso una conclusione di questa riflessione. L'ultimo tiro di corda è quello che ci porta in cima, sulla vetta. Il massimo della realizzazione, dell'interezza, della libertà, è quando ci si trova in Dio. "Solo in Dio riposa l'anima mia; da lui la mia salvezza." recita il Salmo 62, e anche sant'Agostino confessa: «Tu, o Dio, ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto, finché non trova riposo in te».

La festa di oggi della Trasfigurazione mi richiama ancora alle parole del Salmo 34: "Guardate a lui e sarete raggianti, non saranno confusi i vostri volti". Chi ha lo sguardo fisso sul Signore diventa anche lui luminoso, e il suo volto non è più confuso.

Quindi, se non vogliamo lasciare il lavoro a metà, la nostra cordata deve muoversi in quella direzione, ciascuno deve cercare di avvicinarsi a Dio, coltivando l'ascolto e la fiducia interiore, e deve cercare di portare a Dio il fratello, almeno quello che ne ha il desiderio, quello che in fondo in fondo ne è alla ricerca. Non si tratta di cercare di diventare maestri: se io sono nella ricerca sincera di Dio, anche se peccatore, anche se molto limitato, potrò aiutare il fratello che attraversa un periodi di incertezza, di confusione, di scontentezza interiore, di non vedere con chiarezza davanti, semplicemente condividendo le strade per cui io ho fatto dei passi avanti nella fiducia e nell'incontro con Dio.

Parole chiave dell'anno giubilare sono "pellegrinaggio" e "porta santa". La nostra vita sia un cammino per entrare in questa porta, che è il Cristo. "Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo" dice Gesù (Gv 10, 9)

E del resto Gesù ci ha detto parole chiare (e noi crediamo che lui non ci raccontasse delle frottole, vero?): «Chiunque beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna» (Gv. 4, 14). Siamo chiamati ad attingere all'acqua che ci dona il Signore, sicuri che in noi diventerà sorgente per dissetare i fratelli assetati di vita eterna e per sostenerci a vicenda nel pellegrinaggio della vita.

Oggi è l'ultimo giorno del Campo, e non faremo condivisione su questo argomento. Ciascuno di noi è però invitato a riflettere, qui o a casa, su sé stesso e sul rapporto con gli altri e con i fratelli, in modo da essere più consapevole di dove si è e in quale direzione cercare di muovere il prossimo passo.

Riguardo a me stesso: dove sono nel mio cammino verso Dio e di crescita spirituale? Quanto sono "intero" o spezzato, quanto pacificato e quanto in perenne agitazione interiore, quanto libero e quanto vincolato da tante scemate? Come mi faccio aiutare per vivere la mia vita più in pienezza, serenità e gioia? Quanto mi faccio aiutare a camminare incontro al Signore?

E verso gli altri: quanta cura ho dei problemi e delle difficoltà degli altri, in famiglia, negli ambienti in cui vivo e opero, in Comunità? Consolare, consigliare, aiutare, correggere fraternamente e con amore, sopportare, perdonare, sono verbi che coniugo ogni tanto, spesso, mai?

Per la chiusura del Campo riceviamo invece una cartolina, con riprodotta l'icona della misericordia di Taizé. Rappresenta, al centro, il Cristo benedicente e con in mano il Vangelo, con le lettere Alfa e Omega. Intorno, in sei cerchi, è sintetizzata la parabola del buon samaritano: 1) i rapinatori che picchiano il viandante, 2) questi steso a terra mentre il fariseo e il levita passano oltre pregando, 3) il samaritano che arriva col suo asino e solleva il poveretto, 4) il samaritano che cura le ferite del viandante, 5) il viandante a letto nella locanda, mentre il samaritano lo assiste, e infine 5) il viandante, il samaritano e il locandiere seduti a tavola che condividono il pasto.

La cartolina però è per noi anche un supporto di carta per rivedere la settimana di Campo e mettere a fuoco alcune cose, come ad esempio: