35° Campo di Comunità Una                   Prea, martedì 6 agosto 2013

Credo... vivo...





L'anno scorso papa Benedetto ha indetto "l'anno della fede", un tempo per riflettere sulla nostra fede in Cristo, per approfondirla, per farla scendere più a fondo nella nostra vita. Per questo Campo si è pensato, in Segreteria, che fosse bello agganciarci anche noi, nel nostro piccolo, a questo indirizzo datoci da papa Benedetto, attraverso un approfondimento sul Credo apostolico. Cosa vuol dire, per me, "credo in Dio, Padre, ... e in Gesù Cristo, suo unico Figlio... Credo nello Spirito Santo..."? Che significato ha questo mio "credere"? Che impatto ha questa mia fede nella mia vita, nel mio comportamento, nei miei sentimenti?

Ci siamo quindi assegnati il compito di approfondire, ciascuno, uno degli aspetti della nostra fede espressa nel Credo apostolico, per poterli poi offrire agli altri, cercando di andare al di là delle definizioni dottrinali, "di testa", per scendere nel vissuto, in quel nostro "cuore" intimo da cui partono i nostri sentimenti, gli atteggiamenti, il modo di rapportarsi con la vita, coi fratelli, col mondo.

Oggi, in questo primo momento di riflessione, vorrei che facessimo, ciascuno, un approfondimento preliminare a tutta la nostra fede: cosa significa, per me, "avere fede"? Cosa significa "credere"? Come posso "crescere", fare dei passi avanti, nella fede? In che direzione muovermi perché questa fede illumini sempre di più il mio quotidiano e mi faccia camminare più leggero, più sereno, più gioioso, nelle strade della vita?
 

L'importanza della fede nei Vangeli
Per cominciare la riflessione su cosa significa per me credere e avere fede, ho voluto prendere tutti i Vangeli e cercare tutte le volte che ricorre la parola "fede" o il verbo "credere". Cercando la parola "fede" ho riempito 3 pagine di brani, quasi tutti dai Vangeli sinottici, ma senza riportarci i brani uguali tra loro nei 3 evangelisti. Cercando invece il verbo "credere" ho riempito quasi 5 pagine di brani, quasi tutti da San Giovanni. Sarebbe bello poterli scorrere con calma, e magari qualcuno lo può fare come meditazione personale, ma ovviamente non lo si può fare ora.

Quello che emerge in maniera evidentissima è l'enorme importanza della fede, importanza dichiarata continuamente da Gesù stesso. Quante volte Gesù dice a qualcuno: «Va', la tua fede ti ha salvato»! Lo dice al cieco di Gerico che gridava  «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!» (Mc 10, 46-52). Lo dice alla peccatrice che gli bacia e profuma i piedi in casa di Simone il fariseo (Lc 7, 36-50). Lo dice a quello dei dieci lebbrosi guariti, un samaritano, che torna indietro a ringraziarlo. «Va', la tua fede ti ha salvato!» (Lc 17, 11-19).

La fede è quella che salva! La fede è la porta che mette in contatto diretto con la potenza della Vita, con la potenza di Dio.

Più volte Gesù dice frasi come questa, pronunciata quando i suoi discepoli si stupiscono perché il fico, maledetto da Gesù, si era seccato: «In verità vi dico: Se avrete fede e non dubiterete, non solo potrete fare ciò che è accaduto a questo fico, ma anche se direte a questo monte: Levati di lì e gettati nel mare, ciò avverrà. E tutto quello che chiederete con fede nella preghiera, lo otterrete» (Mt 21, 18-22).

E i Vangeli citano tanti casi concreti di guarigioni ottenute grazie alla fede. All'emoroissa che arriva a toccargli il mantello, Gesù dice: «Coraggio, figliola, la tua fede ti ha guarita» (Mt 9, 20-22). E quando i due ciechi gridano : «Figlio di Davide, abbi pietà di noi», Gesù chiede loro: «Credete voi che io possa fare questo?». E siccome quelli rispondono prontamente: «Sì, o Signore!», Gesù li guarisce dicendo: «Sia fatto a voi secondo la vostra fede» (Mt 9, 27-31).

Sì, Gesù a volte mette alla prova la fede delle persone che lo incontrano, come nel caso della donna Cananea alla quale risponde duramente: «Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele». Ma visto che quella non desiste e inizia quasi un dibattito, ribadendo «E' vero, Signore,  ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni», alla fine Gesù replica: «Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri», e la figlia di lei è guarita (Mt 15, 21-28). Bello! Una fede che non demorde neanche davanti a una facciata contro quello che tu speri ti possa salvare! Mi metto davanti a Dio, lui mi sbatte la porta in faccia, ma io non mollo, e alla fine è lui che cede! Incredibile, eppure è così che Gesù ci chiede di essere.

Gesù a volte mette alla prova, ma incoraggia anche. Sentite questa: quando il padre del ragazzo posseduto da uno spirito muto (o epilettico, fate voi) dice a Gesù «Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci», Gesù gli risponde: «Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede». Allora il padre del ragazzo risponde ad alta voce: «Credo, aiutami nella mia incredulità», e Gesù ordina allo spirito di uscire e compie la guarigione tanto desiderata dall'uomo (Mc 9, 16-27). Ecco, possiamo anche chiedere al Signore di aiutarci nella nostra incredulità!

La fede è la porta che mette in contatto diretto con la potenza della Vita, con la potenza di Dio.

Sinceramente, penso che la nostra fede sia piccola, scarsa. Questi episodi miracolosi li vediamo come avvenuti in un passato lontano e non più ripetibili. E in un certo senso è bene che non cerchiamo il contatto con la potenza della Vita solo per risolvere i nostri problemi fisici, per guarire le nostre malattie, per cambiare situazioni che non ci piacciono. Entrare in contatto con la potenza di Dio vuol dire accogliere quello che Lui ci dà e aprirci ad una vita molto più ampia e totale, anche se dobbiamo credere che avere la sua Vita dentro di noi non può che dare benefici enormi anche al funzionamento più fluido del nostro corpo e delle nostre relazioni con gli altri...

Ma la prospettiva che la fede ci apre è veramente molto più ampia e totale, parola di Gesù. Nel colloquio notturno con Nicodemo, Gesù parla molto esplicitamente: «Nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (Gv 3, 9-16). Caspita! Se c'è una cosa sicura nella vita questa è la morte, eppure Gesù ci parla di vita eterna! E dopo aver sfamato cinquemila uomini con cinque pagnotte e due pesci, Gesù afferma di essere lui il vero pane che dà la vita: «In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.» (Gv 7, 47-50). E ancora: «Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno» (Gv 7, 37-38). E infine, un po' più avanti, quando Gesù è preso in dibattiti con i Giudei, dice a quelli che avevano creduto in lui: «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8, 31-32). La fede porta alla vita, alla fecondità alla conoscenza, alla libertà.
 

Cosa significa credere, avere fede?
Sì, lo so,i pezzettini di Vangelo che ho letto sono scioccanti, se li prendiamo sul serio e non li ascoltiamo in modo superficiale, come una favola. Ma siccome vogliamo essere cristiani, è importante  che ci lasciamo scuotere, che ci ricordiamo spesso che la nostra fede ha dell'incredibile.

La potenza di Dio? Ma se siamo qui che barcolliamo! La vita eterna? Ma se siamo qui che tiriamo avanti a stento! La conoscenza? Ma se siamo qui che non ci capiamo un fico secco! La libertà? Ma se siamo qui invischiati in mille preoccupazioni, paure, pregiudizi, regole sociali e familiari!

Vedete, l'apostolo San Tommaso ci ha dato un esempio illuminante, ma non tanto per aver dubitato della resurrezione di Gesù, bensì per aver dimostrato di aver preso la questione estremamente sul serio. E in effetti Gesù non si arrabbia con Tommaso, ma lo invita solo ad avere fede: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!» (Gv 20, 27). Per Tommaso era troppo importante se Gesù era risorto o no, per poter credere alla parola dei fratelli con facilità! E così deve essere per noi: avere la vita eterna, lasciare che sorgenti di acqua viva sgorghino da noi, ottenere la libertà e la gioia che Cristo promette, non sono cose da prendere alla leggera. La fede non può limitarsi a una lezione imparata a memoria, ma deve colare dentro le midolla delle nostre ossa... e questo richiede tempo e abbandono....

Ricordo quando ero ragazzo e, con il catechismo, il messaggio che avevo recepito era che non si potesse mai dubitare, che il dubitare fosse già peccato, fosse già mettersi lontano dall'amore di Dio. Dovevi credere, senza alcun dubbio: punto e basta! Chissà se dietro c'era la cultura del "credere, obbedire, combattere" del ventennio fascista, penetrata nelle ossa anche della fede... o se magari era solo una percezione mia, o la conseguenza di uno stile dei sacerdoti che avevo avuto come catechisti, uno stile dottrinale e dogmatico. Forse da ragazzo la cosa poteva tenere, ma come è stato liberatorio scoprire, più avanti negli anni, molti grandi cristiani che indicano invece la via della fede attraverso il dubbio e l'incertezza! Sì, la fede in Dio non ha certezze, non ha sicurezze!

Illuminante è l'esperienza del grande filosofo e teologo san Tommaso d'Aquino, vissuto nel 1200 e che ha rappresentato il culmine del razionalismo cristiano: verso la fine della sua vita, dopo aver scritto libri su libri, si chiuse in un grande silenzio, e per anni non scrisse più niente, come se avesse capito di aver scritto troppe "fesserie", elucubrazioni razionali che molto probabilmente non centravano affatto l'obiettivo. E infatti, nella prefazione della sua Summa theologiae, il sunto di tutta la sua teologia, scrive: «Riguardo a Dio, non possiamo dire cosa sia, ma piuttosto cosa non è». Per San Tommaso, Dio lo si può "conoscere" nella creazione e nella storia, ma la forma più elevata di conoscenza è conoscerlo "tamquam ignotum", in quanto inconoscibile. Dio non lo si può conoscere con la mente, non lo si può descrivere a parole: si può solo dire cosa non è. È come se un cieco nato mi chiede di spiegargli com'è l'azzurro del cielo... e io gli dico che è come una carezza... e a un altro cieco nato gli dico che è come un notturno di Chopin... e il giorno dopo li trovo che si prendono a botte gridando "è come una carezza!"... "no, è una sinfonia di Chopin!"... Nessuno dei due sa di cosa parla, altrimenti tacerebbe! Questo esempio è ispirato da de Mello, e mi piace proprio perché rende l'idea di un Dio che è al di là della nostra possibilità di esprimerlo con parole.

Per questo Gesù usa un gran numero di parabole per descriverci il Regno di Dio. Le parole sono solo degli indicatori, sono come dei segnali stradali che indicano come muoversi, ma non ci fanno assaggiare la realtà. Se siete in Piazza del Duomo a Milano con la nebbia fitta, non potete dire di aver visto Piazza del Duomo solo perché eravate sotto al cartello che la indica!

Quindi questo è il primo passo da compiere in questo cammino sul "Credo", renderci conto che non possiamo "catturare" Dio con parole e con concetti. I concetti generalizzano la realtà e non descrivono mai pienamente ciascun singolo individuo. Se io dico che ho visto passare un cane, ciascuno di voi ne immaginerà uno diverso. Cosa ho visto: un setter? un doberman? un cocker spaniel? un bassotto? E come potrò farvi capire l'espressione di quel particolare cane che ha il mio vicino di casa? Se dico che ho visto una donna potete solo capire che non era un cavallo, che non era un passerotto, che non era un uomo, che non era un bambino. Potete solo capire cosa non era, ma non cosa era. E se dico che quella donna era Silvia, Emma, Nunzia, allora capite, ma solo perché siete voi ad avere una conoscenza diretta di Silvia, Emma, Nunzia. La persona concreta la devo vedere io stesso, intuire io stesso, e non può essere schematizzata in parole.

E poi i concetti sono sempre statici, mentre la realtà è dinamica, è un movimento e un cambiamento continuo. E infine le parole frammentano la realtà, mentre essa è un tutt'uno. Tutti i mistici ce lo confermano: Dio non può essere "descritto", come se fosse la somma di alcune singole proprietà. Dio è novità continua, è movimento, è creazione. Ogni volta che lo fermiamo in uno schema lo tradiamo, lo uccidiamo.

"E allora", mi chiederete, "perché ci prepariamo queste catechesi?". Mi piace rispondere con quella storiella che racconta Tony de Mello, "Il Canto Degli Uccelli":
 

I discepoli facevano molte domande su Dio. Il maestro disse: «Dio è ignoto e inconoscibile, ogni affermazione che lo riguarda, ogni risposta alle vostre domande è una distorsione della verità». I discepoli rimasero perplessi: «Ma allora perché parli di lui?». «Perché cantano gli uccelli?» disse il maestro. 
Un uccello non canta perché ha qualche dichiarazione da fare. Canta perché ha una canzone. Le parole dell'erudito devono essere comprese, ma le parole del maestro non si devono comprendere, bisogna ascoltarle come si ascolta il vento tra gli alberi e il rumore del fiume e il canto degli uccelli. Esse risveglieranno nel cuore qualcosa che è al di là di ogni conoscenza.

La fede non è una convinzione, ma è apertura verso la verità, quali che siano le conseguenze, dovunque ci porti, senza sapere nemmeno dove ci porterà. Le convinzioni danno sicurezza, la fede è insicurezza. Non si sa dove si andrà a finire. Si è pronti a seguire e si è aperti. Si è pronti ad ascoltare: Il che non vuol dire credere a tutto quello che ci viene detto, anzi!! Vuol dire semmai metterlo in discussione, ma con un atteggiamento di apertura. Pronti cioè a mettere in discussione anche tutto il sistema di convinzioni che avevamo fin'ora.

Per incontrare Dio può essere necessario liberarsi di "Dio", cioè essere pronti ad abbandonare tutte le schematizzazioni che abbiamo in testa.

Dice Gesù: «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. » (Mt 18, 3). Gesù ci invita a convertirci e diventare come bambini, anzi ce lo ordina. Conversione in greco si esprime con la parola "metànoia", che significa cambiamento di mente o, forse meglio, andare al di là della mente, perché "metà" significa "oltre". Gesù ci chiede di non voler ridurre tutto alla misura del nostro cervello, ma di diventare "come bambini", ritornare allo stupore del bambino che scopre le cose nuove e le accetta così come le percepisce, senza farci ragionamenti sopra.

Ecco quindi che l'obiettivo nostro, di sempre ma in particolare di questo campo, è quello di crescere nella fede, non come insieme di idee, concetti e convinzioni, ma, al modo in cui ce lo presentano i Vangeli, come accoglienza, fiducia, disponibilità all'ascolto della voce di Dio, una voce  che ci parla anche attraverso i fratelli.

Quindi anzitutto fede come fiducia, anche quando le cose non sono chiare intellettualmente. Come Marta a cui Gesù  dice: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?». E Marta gli risponde: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo» (Gv 11, 25-27). E a me una risposta di questo tipo mi fa pensare che Marta volesse quasi dire: "Gesù, io non ci ho capito mica tanto in questo fatto di vivere anche se si muore, ma ho fiducia in te come il Figlio di Dio, e allora mi fido e credo in te".

E mi viene a mente anche un'intervista a Arturo Paoli in cui il giornalista Massimo Orlandi gli chiede cosa pensi dell'aldilà. E Paoli gli risponde dicendo che nel pomeriggio verrà un caro amico a portarlo a fare una passeggiata e lui non sta a chiedere dove andranno e cosa troverà. E così è riguardo all'incontro con Dio. Arturo Paoli dice di Dio: "È un amico. E io mi fido di lui".

Crescere nella fede come fiducia e anche come disponibilità a camminare. Occorre infatti accogliere quello che ci verrà detto non come la verità, ma come indicazioni, descrizioni di un viaggio che dobbiamo poi compiere ciascuno nel proprio intimo. Un cammino in ascolto della voce di Dio in noi, Dio che è la Vita che anima il nostro spirito e tutto il mondo, un cammino in ascolto del canto di Dio in quella nota particolare che è l'essenza stessa di Dio, l'amore. Un cammino che coinvolga tutta la nostra persona, e non solo la testa, in modo che ogni crescita nella fede possa scendere nel nostro agire quotidiano, in particolare nell'amore ai fratelli.

Un cammino personale perché anche noi, come i concittadini della Samaritana, possiamo poi dire: «Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo» (Gv 4, 42). Un cammino personale perché possiamo scoprire Dio in noi e poter dire alla fine: "Signore, sei qui!".

Auguro a tutti noi, ed egoisticamente comincio da me stesso, un buon cammino di crescita nella fede, un buon cammino di crescita nell'ascolto della volontà di Dio e nell'allineamento del nostro cuore con essa, un buon cammino di crescita nella vita.... fiumi di acqua viva, libertà, vita eterna.
 

Per la riflessione personale e condivisione comunitaria

Potrei cercare di ricostruire la storia della mia fede, dalla giovinezza, età del crescere, delle speranze e delle energie, alla maturità, età del fare e delle giornate piene di lavoro, all'età delle energie che calano e dell'avere più bisogno degli altri, se ci sono già arrivato. Ad esempio: