Responsabili della fede dei fratelli.
Responsabili della fede dell’altro
La preoccupazione di Paolo per la fede
dei Tessalonicesi ci porta ad una riflessione importante: la nostra fede
deve essere assolutamente frutto di una scelta personale, ma è fede
vissuta nell’ambito del popolo dei figli di Dio, per cui nel giorno del
giudizio sono assolutamente convinto che ci verrà chiesto di rendere
conto non solo della nostra fede, ma anche della fede di coloro che con
noi hanno condiviso un percorso di vita. Una domanda da Dio risuona fin
dall’inizio dei tempi nella nostra coscienza: “Dove è tuo fratello?”,
domanda a cui Caino rispose: “Non lo so. Sono forse il guardiano di mio
fratello?”, domanda quest’ultima, talmente vuota da non meritare neanche
la replica di Dio; certo siamo responsabili dei nostri fratelli, siamo
responsabili soprattutto del loro percorso di fede: qui si aprirebbe tutta
la riflessione che più volte abbiamo fatto circa il fondamentale
valore della correzione fraterna, riflessione che non voglio riprendere
in questo momento, ma voglio comunque richiamare a tutti noi.
Paolo non può più resistere,
troppo forte è l’ansia pastorale verso la comunità di Tessalonica;
non ci resta, quindi, che verificare quanto quest’ansia sia presente in
noi verso le nostre mogli, i nostri mariti, i nostri figli, i nostri fratelli
di comunità. Sentiamo forte il problema che i nostri cari abbiano
fede? quanto questo problema coinvolge la nostra vita? Ma questa preoccupazione
si rivolge anche a coloro che sono la nostra seconda famiglia, quella costituita
secondo legami spirituali; infatti compito della comunità è
confermare e confortare ciascuno di noi nella fede.
La nostra fede viene quotidianamente verificata
nelle diverse persecuzioni; anzi la fede è vera se provata dalle
persecuzioni perché essere cristiano vuol dire essere estranei al
mondo. Scrive lo stesso Paolo alla comunità di Roma “vi esorto,
dunque, fratelli per la misericordia di Dio ad offrire i vostri corpi come
sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro sacrificio
spirituale. Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma
trasformatevi rinnovando la vostra mente, per discernere la volontà
di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.” (Rm 12,1-2)
Ecco le motivazioni delle persecuzioni:
di fronte alle tre S (successo, sesso, soldi) noi opponiamo il valore dell’amore
vero, speso per l’altro soprattutto se povero, sfruttato e solo.
A queste persecuzioni siamo destinati
e queste persecuzioni sono la verifica ultima del nostro essere realmente
e pienamente cristiani; lontano da noi l’idea di un cristianesimo che si
trasformi in "cristianità", cioè in società cristiana.
Dico questo senza sottovalutare l’importanza che hanno avuto nella cultura
europea i valori cristiani, ma d’altra parte sono convinto che l’idea di
società cristiana rappresenti la fine e la negazione della fede
in Gesù Cristo: siamo lievito che fa crescere la pasta nel nascondimento
e non spada che costringe con la forza. Qui ritroviamo la grande differenza
tra la nostra visione laica di società e ciò che propone
ad esempio l’islam, dove la religione diviene totalizzante e finisce per
comprendere tutta la vita dell’uomo.
Ma torniamo alla nostra lettura: la preoccupazione
si trasforma in gioia nel momento in cui Paolo viene a sapere della fede
dei tessalonicesi; quanto spazio c’è nella nostra gioia, nel nostro
far festa per la fede nostra e dei nostri fratelli?
Infine Paolo invita all’amore fraterno,
strumento importante perché tutti possano crescere anche nella fede;
ecco la comunità con i suoi rapporti fraterni diventa strumento
di evangelizzazione, di missione, di testimonianza della fede sia rivolta
all’interno della comunità stessa sia verso coloro che non fanno
parte della comunità, ma ai quali dobbiamo mostrare nell’amore fraterno
che ci unisce una via migliore verso il Dio che Gesù ci ha mostrato
essere amore infinito.
Una ultima considerazione su un brano
che nel corso di questi incontri non affronteremo: 1Ts 4,13-18. In questo
brano Paolo affronta un tema piuttosto difficile, forse quello che maggiormente
stava mettendo in crisi la fede della comunità di Tessalonica: cosa
accade a coloro che sono morti prima della seconda e definitiva venuta
di Cristo?
Nella predicazione degli apostoli e dello
stesso Paolo si riteneva infatti che Cristo sarebbe tornato presto, anzi
sarebbe tornato prima della conclusione dell’allora presente generazione;
nasce però il problema di un Cristo che sta tardando, mentre i fratelli
della comunità cominciano a morire e nasce così la questione
su quale sarà la sorte di questi nostri fratelli. Paolo rivolge
l’invito a consolarsi a vicenda perché nessun vantaggio avranno
coloro che alla venuta di Cristo saranno in vita poiché tutti coloro
che sono morti in Cristo risorgeranno e ci precederanno in cielo perché,
aggiungo io, già vivono nelle braccia del Padre.