Giovedì 25 novembre 2010

 


Avvento:    Attesa di Dio che ci viene incontro....
O celebrazione della presenza del Dio-con-noi ?
1Ts 5,1-11: Riguardo poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva;infatti voi ben sapete che come un ladro di notte, così verrà il giorno del Signore.  E quando si dirà: «Pace e sicurezza», allora d'improvviso li colpirà la rovina, come le doglie una donna incinta; e nessuno scamperà.  Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, così che quel giorno possa sorprendervi come un ladro: voi tutti infatti siete figli della luce e figli del giorno; noi non siamo della notte, né delle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma restiamo svegli e siamo sobrii. Quelli che dormono, infatti, dormono di notte; e quelli che si ubriacano, sono ubriachi di notte.  Noi invece, che siamo del giorno, dobbiamo essere sobrii, rivestiti con la corazza della fede e della carità e avendo come elmo la speranza della salvezza.  Poiché Dio non ci ha destinati alla sua collera ma all'acquisto della salvezza per mezzo del Signor nostro Gesù Cristo, il quale è morto per noi, perché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui.  Perciò confortatevi a vicenda edificandovi gli uni gli altri, come già fate.
 

Prima di tutto due parole sulla lettera. La prima lettera ai Tessalonicesi è quasi certamente la prima delle lettere di Paolo, e anche il primo documento scritto del Nuovo Testamento. Scritta nel 50 o 51 d.C., precede molto probabilmente i Vangeli, eccetto forse solo quello di Matteo che veniva scritto all’incirca nello stesso periodo. La lettera è diretta ai credenti di Tessalonica, che nel I secolo era la capitale della provincia romana di Macedonia. Lì Paolo era arrivato insieme a Sila e Timoteo, aveva predicato per tre sabati nella sinagoga, convincendo e convertendo alcuni Giudei, un buon numero di Greci e di donne della nobiltà. La comunità ebraica aveva però reagito con violenza, incitando il popolino ad assaltare la casa di Giasone che li ospitava. Giasone si era trovato davanti al tribunale e costretto a pagare una cauzione, e Paolo per sicurezza fu fatto fuggire di notte con Sila. Andati a Berea, anche qui predicarono con successo, fino a che di nuovo i Giudei sollevarono un tumulto e lo costrinsero a fuggire fino a Atene. Timoteo era andato a trovarlo (lo dice Paolo in questa stessa lettera) e Paolo l’aveva spedito a Tessalonica a prendere notizie e a esortare e confermare nella fede la comunità nata da poco. Al ritorno di Timoteo, che portava notizie incoraggianti, Paolo scrive questa prima lettera, che contiene anche racconti di sé stesso, ma soprattutto esortazioni e raccomandazioni.

Elemento fondamentale della lettera è però un chiarimento di un insegnamento di Paolo ai suoi discepoli sulla parusia (seconda venuta) di Gesù alla fine dei tempi. Paolo aveva affermato che ciò sarebbe accaduto presto, entro la fine della generazione corrente, e i suoi discepoli si erano interrogati sul destino di coloro che erano morti nel frattempo: a questi Paolo, nel paragrafo immediatamente precedente quello letto, spiega che i morti sarebbero risorti e insieme ai vivi per unirsi a Gesù. In seguito Paolo forse cambia in un certo senso idea sull’imminenza del ritorno di Cristo, ma soprattutto esorta sempre i cristiani a vivere responsabilmente, senza fare i conti con la possibilità di un ritorno di Cristo prossimo o lontano nel tempo. E già in questa lettera, nel brano che abbiamo letto, dà indicazioni chiare sul modo di vivere che deve tenere il cristiano.

In questo testo vorrei sottolineare alcune delle parole di Paolo. Dice “voi tutti infatti siete figli della luce e figli del giorno; noi non siamo della notte, né delle tenebre”. C’è di sicuro l’invito a comportarsi in modo limpido, alla luce del sole, sapendo di essere sempre sotto lo sguardo di Dio. C’è però, mi pare, anche l’esortazione a cercare di farsi illuminare dal Cristo. Nel Vangelo di Giovanni si riporta che: “Di nuovo Gesù parlò loro: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita»” (Gv 8,12). Questi inviti, ovviamente, valgono anche per noi, oggi: vivere sotto lo sguardo di Dio e farsi illuminare da Cristo, facendosi ogni giorno suoi seguaci.

E aggiunge:  “Non dormiamo dunque come gli altri, ma restiamo svegli e siamo sobrii”. Ecco un’esortazione che è molto di più che un semplice precetto morale ma un vero invito a coltivare la propria spiritualità, a non farsi imbambolare dalla cultura corrente che ti vuol convincere che la felicità sta nel prestigio, i soldi, la carriera.... beato quello lì che c’ha il SUV e la villetta a Arenzano, o che va in vacanza alle Maldive.... Essere sobri, non farsi ubriacare dal martellamento delle pubblicità che ti vogliono consumatore passivo e rimbambito. Essere svegli, capire che la sorgente della gioia e della felicità non sta fuori di noi, ma nel fatto che il tutto il nostro essere suona con le armonie dirette dallo Spirito, anche accettando che ogni tanto stecchiamo, ma pazienza, avanti, siamo nell’orchestra del Signore Dio!

Paolo prosegue: “rivestiti con la corazza della fede e della carità”. Un modo poetico per invitare ad una assoluta fiducia. Se ascolto lo Spirito dentro di me che mi dice parole di vita, posso riscoprire la fiducia. E quando scendo nel profondo di me stesso, entro anche in contatto più immediato con gli altri che non attraverso le forme esteriori e da qui si rafforza la carità, quella che ci corazza dalle raffiche di stupidaggini che ci arrivano da fuori, quelle che portano ai contrasti, all’isolamento, al vuoto interiore. Fiducia e comunione con gli altri sono la nostra corazza.

E ancora: “e avendo come elmo la speranza della salvezza”. La speranza della salvezza mi protegge la testa. Paolo lo spiega benissimo nel brano appena letto: “Poiché Dio non ci ha destinati alla sua collera ma all'acquisto della salvezza per mezzo del Signor nostro Gesù Cristo, il quale è morto per noi, perché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui”. Se ci abbandoniamo all’amore del Signore, niente ci deve far paura, perché siamo sempre vivi in lui. Se scendiamo nel profondo del nostro essere, scopriamo che siamo parte della Vita divina. Più ci radichiamo nel profondo e meno conta cosa c’è in superficie, acciacchi, vecchiaia, grane, affanni... stiamo vivendo insieme con Lui!

E infine Paolo conclude il paragrafo dicendo: “Perciò confortatevi a vicenda edificandovi gli uni gli altri, come già fate”. Mi va solo di sottolineare che questo è quello che stiamo cercando di fare anche noi in Comunità, con la nostra preghiera del giovedì e i nostri incontri di condivisione! Forza! Anche Paolo ci incoraggia a perseverare!

Vorrei ora riprendere il discorso iniziale, quello della venuta del giorno del Signore, per fare una breve riflessione sull’Avvento, che comincia giusto domenica prossima, e che si lega direttamente al brano letto. L’Avvento è il tempo di preparazione al Natale, il tempo in cui ci si sofferma prin-cipalmente sull’attesa del Messia da parte del popolo di Israele. La Chiesa ci invita in sostanza a ri-cordare la situazione dell’uomo prima della venuta di Cristo, l’attesa di un Salvatore. La cosa che vedo come fondamentale di questo periodo di Avvento, per noi oggi, è riconoscersi bisognosi di una salvezza che può venire solo dall’alto, da Dio. Salvezza dalle nostre miserie, dagli egoismi, dal peccato, dalle divisioni, dalle ingiustizie, dalla confusione del cuore che non vede la potenza del-l’amore e che, prima della venuta del Cristo, aveva dovuto inventarsi una miriade di leggi per re-golare la vita e non andare del tutto allo sbando. Avvento come riflessione sul bisogno di un Cristo che ci porti la Buona Notizia di un Dio Padre che ci ama fino a dare il suo Figlio, Dio-con-noi, per prendere su di sé i peccati dell’umanità, e, come dice Zaccaria nel Benedictus, “per  rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte, e dirigere i nostri passi sulla via della pace”.

L’Avvento è identificato quindi come un’attesa. Ma il Gesù storico è nato in Palestina oltre 2000 anni fa, ha predicato, compiuto segni prodigiosi, è morto e risorto, apparso ai discepoli e a molte persone, e infine è salito al Padre. Che significato dobbiamo dare dunque oggi alla nostra attesa?

Comincio da una piccola condivisione personale. Negli anni passati avevo scoperto chiaramente di essere un “uomo di Avvento”, nel senso che questo periodo dell’anno liturgico era il più in sintonia con il mio cuore, sempre in attesa di salvezza, di un senso più preciso della mia vita, di sentirmi di stare camminando col Signore e non di perdermi in scemate per stradine secondarie, un cuore che si trovava molto spesso a invocare “Vieni, Signore Gesù!”. Molto bene, ma la qualità di quell'attesa aveva una proiezione nel tempo che adesso sta cambiando, come sarà chiaro tra poco.

Facciamo ora un salto, con un altro flash personale che viene invece da Taizé. Come sapete, nella preghiera del mattino i frère cantano un pezzo di un salmo. Una volta rimasi colpito da un versetto del Salmo 5, che si recita il lunedì, che diceva "al mattino ti invoco e resto vigilante". Questo nel testo cantato in Francese, mentre il Salmo 5 in Italiano dice "al mattino ti invoco e sto in attesa". Ho poi scoperto che la traduzione francese ufficiale usa parole più simili a quella standard italiana, segno forse che quella è una traduzione rivista da Taizé. Le due traduzioni in realtà differiscono solo per la sfumatura che gli diamo attraverso l'uso abituale delle parole. La parola attesa ha la stessa radice di attento, attenzione, ma nell'uso comune indica un atteggiamento più passivo: quando sono in lista di attesa, aspetto che mi chiamino e intanto magari leggo il giornale. "Resto vigilante" indica di sicuro un atteggiamento attivo, tenere le orecchie dritte e gli occhi aperti, come una vedetta che deve vedere se il nemico si muove, e non si mette a pensare alle vacanze o a rimuginare sul passato o sul futuro.  Come profetava Isaia quando scriveva “Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? ” (Is 43, 19), l’avvento del Regno richiede attenzione perché si noti il germogliare di una cosa nuova. Anche nel brano letto oggi San Paolo ci dà questa raccomandazione: “Non dormiamo dunque come gli altri, ma restiamo svegli e siamo sobrii”.
Ecco quindi la sottolineatura che dobbiamo dare all'Avvento oggi: non attesa di avvenimenti nel futuro, che ora non esiste e quando verrà sarà un nuovo adesso, ma vigilanza, attenzione a quello che c'è già, pronti a cogliere i segni della presenza di Dio, qui, ora. Il Cristo è già venuto, e il Regno di Dio è già iniziato.

Gesù manda i suoi discepoli a predicare «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete alla Buona Notizia» (Mc 1,14). L'indicazione di Gesù non è precisa; egli dice solo che il regno di Dio è vicino. Ma in (Lc 17,20-21) si riporta anche che"interrogato dai farisei: «Quando verrà il regno di Dio?», [Gesù] rispose: «Il regno di Dio non viene in modo da attirare l'attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o: eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!»". E in (Mt 12,28) Gesù, rispondendo a chi lo accusa di scacciare i demòni in nome di Beelzebùl, dice "Ma se io scaccio i demòni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il regno di Dio". Il Regno di Dio è già iniziato, è già tra noi, anche se non è certo già realizzato completamente.

Anche San Paolo parla spesso del Regno di Dio. In (Col 1, 13-14) dice: "E' lui infatti che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati.". Il Regno quindi è qualcosa che c'è già, anche se deve ancora venire compiutamente. Ma cos'è questo Regno? Nella lettera ai Romani (Rm 14,17) Paolo scrive "Il regno di Dio infatti non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo". Un'affermazione che risuona con quella di Gesù a Pilato (Gv 18,36): "Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù»".Il Regno di Dio non è di quaggiù, non è nel mondo materiale, non è fuori di noi, non è qualcosa di cui si possa dire "eccolo lì"; il Regno di Dio lo troviamo dentro di noi, è una nostra condizione. Il Regno di Dio non è qualcosa da aspettare nel futuro, di cui si possa dire "sta per arrivare", ma è ora.

Quindi l'Avvento è il tempo per riscoprire la venuta di Dio, per essere vigilanti e accorgersi dei segni della sua presenza dentro di noi. Se sono sveglio e mi metto in ascolto anche solo del mio corpo, posso sentire la Vita che mi anima, posso sentire il respiro, il sangue che circola, le sensazioni che arrivano da ogni parte del corpo attraverso il sistema nervoso, i suoni che il mio udito riesce a captare... Caspita, quanto è complesso il funzionamento del nostro corpo: la digestione, le ghiandole, i polmoni, la contrazione ordinata dei muscoli quando mi muovo, la salivazione per pre-digerire il cibo, le lacrime per tenere umido e pulito l'occhio.... e tutto senza che io faccia niente di volontario! Se mi soffermo in silenzio sulla complessità del mio corpo, se ascolto il mio corpo mentre funziona,  posso intuire il Progettista dietro la complessità dei meccanismi del mio corpo, della mia mente, del mio cuore... Se sono sveglio....

Avvento non per aspettare qualcosa nel futuro ma per essere svegli e cogliere i segni della presenza di Dio, ora. Il Gesù storico è venuto e andato, ma il Cristo è sempre presente. Lo ha detto anche espressamente Gesù: «Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18, 20) e anche «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20). In Dio, in effetti, il tempo non esiste. Gesù lo ha detto con parole non equivocabili, come riportato da Giovanni: "Rispose loro Gesù: «In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono»" (Gv 8, 58). Gesù non dice: "io esistevo prima che nascesse Abramo". Con quel salto grammaticale, dal tempo passato ("prima che Abramo fosse") al tempo presente ("Io sono"), Gesù non solo afferma di essere Dio, secondo la definizione che Dio dà di sé stesso a Mosè ("Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». Poi disse: «Dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi»" (Es 3, 14)), ma ribadisce che in Lui non esiste il passato e il futuro, ma solo l'istante presente. Con Cristo l'eternità è entrata nel nostro mondo, eternità che non è tempo di durata infinita, ma eterno presente.

Certo, il mondo può e deve cambiare e migliorare. Certo, io, noi, possiamo e dobbiamo cambiare e migliorare, la Chiesa può e deve migliorare, la Comunità può e deve migliorare. Certo che dobbiamo lavorare per sviluppare sempre di più il Regno di Dio e realizzarlo più pienamente. L'invito pressante che però faccio a tutti noi è di non proiettare la salvezza, la santità, la felicità nel futuro. Tutto quello che cerchiamo è adesso, qui, nel profondo di noi stessi. L'invito è a non stare a guardare tanto al passato, ma nemmeno tanto al futuro, bensì di spostare la nostra attenzione nel profondo. Non rimandiamo la gioia, la felicità, la salvezza a un futuro sempre lontano, ma cogliamo ora tutto questo. Vi prego, aiutiamoci l'un l'altro a scoprire la presenza del Cristo, l'Emmanuele, il Dio-con-noi, dentro ciascuno di noi “il quale è morto per noi, perché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui”.