Comunità Una Rivarolo


Campo San Giovenale di Peveragno
 giovedì 4 agosto 2011


In casa di Marta e Maria

(Lc 10, 38-42)

[38]Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. [39]Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; [40]Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: «Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». [41]Ma Gesù le rispose: «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, [42]ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta».

[Vedi anche (Gv 11,1-44) e (Gv 12 1-8)]


 

Ospite rappresentante di Dio: nell’incontro con l’altro incontro l’Altro

Il tema dell’ospitalità è un tema che attraversa tutte le culture e le civiltà e mai termine è stato caricato di senso “divino” come questo in tutte le religioni non solo nella tradizione ebraico cristiana: nel NT è Dio stesso l’Ospite (vedi nota 1)  che viene a cercare l’uomo nel suo ambiente, operando per la prima volta in assoluto quel radicale comportamento opposto che vuole che sia l’uomo a scalare il cielo per cercare e trovare Dio (Ap 3,20: “Ecco, io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me”). 
La mitologia greca narra che Zeus, Posidone ed Ermète fecero visita ad Ireo in Beozia (vedi nota 2), al quale, dopo avere beneficiato della sua ospitalità, preannunciano la nascita del figlio desiderato e mai giunto. Tra il racconto greco e quello biblico di Abramo che accoglie i tre ospiti vi sono affinità, anche se il racconto greco è basato sull’inverosimile, quello biblico invece sulla «relazione»; le affinità tra i due racconti, pur così distanti tra loro ci dicono che esiste alle origini un canovaccio di narrazione comune sia alla cultura greca che a quella semitica e possiamo anche dire al sentire universale: ciò è segno che l’ospitalità è una dimensione «divina» del cuore umano a qualunque latitudine e longitudine, codificata nell’espressione: «l’ospite è sacro», pertanto offendere l’ospite è denigrare e sconfessare Dio.
Il Talmud descrive l’ospitalità nella sua concretezza come imitazione dell’agire di Dio.

«Così come Dio veste i nudi, come ha fatto con Adamo ed Eva, vesti anche tu i nudi; così come Dio visita i malati, come gli angeli hanno visitato Abramo subito dopo la sua circoncisione, visita anche tu i malati; così come Dio consola i familiari del defunto, come ha fatto con Isacco dopo la morte di Abramo, conforta anche tu i familiari del defunto; così come Dio seppellisce i morti, come ha fatto con Mosè, seppellisci anche tu i morti» (Trattato Sotàh –  Adulterio 14a).

Il NT tradurrà questo atteggiamento nel discorso programmatico della montagna, dove si ribalta il concetto di ospitalità del prossimo come connazionale (Lv 19,18) per giungere al paradosso dell’accoglienza addirittura del nemico e dell’ostile:

«[43]Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. [44] Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, [45] affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. [46] Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? [47] E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? [48] Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,43-48).

La nostra civiltà occidentale, che  ha economicizzato ogni aspetto della nostra vita, ha perso il senso dell’ospitalità: l’ospite è diventato turista, cioè visitatore a tempo, da sfruttare; pertanto nella nostra cultura non c’è posto per la sacralità dell’ospite che se non è funzionale degli interessi di una nazio-ne o di un gruppo, è visto e trattato da nemico. Avendo perso la dimensione di Dio, ritenuto super-fluo se non ingombrante, abbiamo anche smarrito il senso umano dell’accoglienza che nell’ospitalità testimonia la civiltà di un popolo; l’ospitalità dice interdipendenza e ci insegna che nessuno di noi è un isola, ma tutti abbiamo bisogno gli uni degli altri. Prenderne coscienza significa agire politicamente: nessuno può salvarsi da solo, ma tutti possiamo salvarci insieme.

Dimensione orizzontale o dimensione verticale: lotta e contemplazione per un mondo di condivisione

Una seconda riflessione si può fare a partire dall’episodio di Marta e Maria; esse hanno rappresentato due modi contrapposti di porsi di fronte al Signore e in questa contrapposizione si è esagerato ponendo l’accento sulla parte migliore che Maria avrebbe scelto rispetto a Marta. La dicotomia così creata pareva risolversi, quindi a favore di un rapporto di ascolto contemplativo e mistico rispetto a un più concreto impegno, anche ascetico, nel servizio per la costruzione del Regno di Dio.
Come già detto l’errore, se così possiamo chiamarlo di Marta non sta nell’essere occupata nelle faccende di casa, ma nell’esserne distratta: Marta pensa a quelle dimenticando il senso delle cose che sta facendo, cioè dimenticandosi dell’ospite. 
San Paolo, maestro di Luca ricorda ai Tessalonicesi che ognuno deve guadagnarsi il pane che ogni giorno mangia operando nel mondo con il proprio lavoro; pertanto Luca non vuole negare la necessità di operare nel mondo, ma porre ogni momento dell’uomo nel suo giusto ordine.
Il cristiano che nasce secondo Giovanni nel momento della crocifissione con il dono dello Spirito e dell’effusione del sangue e dell’acqua (simboli del battesimo) di Cristo sulla croce, non può, pena la perdita della sua identità, allontanarsi dalla dimensione della croce. Essa ci indica, infatti, come due siano i fondamenti della relazione, e quindi della vita di ogni uomo: il rapporto con l’Altro e di conseguenza con gli altri come bene indicato da Gesù quando, alla domanda del dottore della Legge su quale fosse il primo dei comandamenti, risponde unendo in modo inscindibile l’amore verso Dio con l’amore verso il prossimo anche e forse soprattutto quando questo è l’altro, il diverso da te (parabola del buon samaritano).
Giovanni che ben comprende l’insegnamento di Cristo chiede ai fratelli della sua comunità come sia possibile amare Dio invisibile ai nostri occhi se non amiamo i fratelli che ci stanno accanto.
Il cristiano quindi non può dimenticarsi queste due dimensioni così bene rappresentate dal simbolo della croce: la dimensione verticale di Dio senza la quale perderemmo di vista il senso ultimo della nostra esistenza e la dimensione orizzontale dell’amore per i fratelli senza la quale non daremmo concretezza e quindi testimonianza al nostro essere creature rinnovate. Freré Roger di Taizé ha voluto sintetizzare questa nostra duplice relazione nel motto che ha data alla sua comunità: lotta e contemplazione per un mondo di condivisione. La lotta senza la contemplazione perde il suo riferimento ultimo e la speranza finale che ci sarà una felice conclusione a quello che oggi noi stiamo tentando di costruire perché già è pronto un regno di pace, giustizia e gioia che ci accoglierà; la contemplazione senza l’impegno concreto rischia di essere una vuota teoria che non cambia la nostra vita e tantomeno le strutture sociali di peccato che caratterizzano il mondo facendolo diventare iniquo, sfruttatore e ingiusto.
 

Spunti per la revisione personale e la condivisione:

  • Chi è l’altro per me?
  • Quale significato hanno nella mia vita le parole : servizio e preghiera?
  • Come vivere in modo contemplativo il mio servizio?
  • Come vivere in modo concreto la mia preghiera?
 

 
Note
  1. L’etimologia diretta proviene dal latino «hóspitem» che è l’accusativo di «hóspes». Il termine di compone di due parti: a) «hos / host» che potrebbe derivare da «hosti» nel senso originario del termine: «straniero, forestiero, pellegrino»; b) «pes / pets» derivato dal sanscrito «pati» che significa padrone/signore, a sua volta basato sulla radice «pa-», senso col significato di sostenere/proteggere. L’ospite sarebbe quindi colui che sostiene, protegge, nutre il forestiero.
  2. Ireo, fondatore di Iria, in Beozia, non aveva una discendenza, e un giorno, dopo aver accolto con grande ospitalità Zeus, Ermete e Poseidone, chiese loro un rimedio al suo problema. Gli dissero di prendere la pelle di un toro che aveva sacrificato e, dopo averla bagnata della sua orina, di bruciarla. Nove mesi dopo nel luogo dove avvenne il rito nacque un ragazzo che Ireo chiamò Orione, che ben presto si rivelò essere un gigante.