Comunità Una Rivarolo


Campo San Giovenale di Peveragno
 martedì 2 agosto2011


 

Colloquio con Nicodemo

(Gv 3, 1-21)

[1]C'era tra i farisei un uomo chiamato Nicodèmo, un capo dei Giudei. [2]Egli andò da Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti può fare i segni che tu fai, se Dio non è con lui». [3]Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio». [4]Gli disse Nicodèmo: «Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». [5]Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio. [6]Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito. [7]Non ti meravigliare se t'ho detto: dovete rinascere dall'alto. [8]Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito». [9]Replicò Nicodèmo: «Come può accadere questo?». [10]Gli rispose Gesù: «Tu sei maestro in Israele e non sai queste cose? [11]In verità, in verità ti dico, noi parliamo di quel che sappiamo e testimoniamo quel che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza. [12]Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? [13]Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo. [14]E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, [15]perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna». [16]Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. [17]Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. [18]Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. [19]E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. [20]Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. [21]Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio.
 


 

Oggi vediamo un altro incontro con Gesù, quello di Nicodemo, che presenta delle somiglianze con quello del giovane ricco su cui abbiamo riflettuto ieri.

Anche qui l’iniziativa parte da Nicodemo, desideroso di interrogare Gesù per capire, comprendere di più. Nicodemo è un fariseo, uno dei capi, uno stretto osservante della Legge, probabilmente un membro del sinedrio. Dunque un "maestro d’Israele", come lo definisce Gesù stesso al versetto 10.
Egli è colpito non tanto dall’insegnamento di Gesù, quanto dai "segni" che egli compie. Questo lo spinge a porsi degli interrogativi su Gesù, che lo discostano dalla linea ufficiale adottata da quella del suo partito, fatta di rifiuto e di ostruzionismo. Infatti gli dice: «Sappiamo che sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti può fare i segni che tu fai, se Dio non è con lui». Anche se, di sicuro, è condizionato come tutti gli altri da una concezione terrena e politica del Messia.
Nicodemo va da Gesù di notte. Ha probabilmente vergogna a presentarsi a Gesù di fronte alla gente. Un fariseo che chiede luce, una chiarificazione, delle spiegazioni! Troppo umiliante. O forse ha paura di essere criticato dagli altri farisei, di essere messo in disparte. In sostanza, Nicodemo non ha fatto ancora nessuna scelta. Egli vuole anzitutto capire. Vuole vedere se è possibile conciliare un dialogo con Gesù pur non compromettendosi e sbilanciandosi pubblicamente. Non si mai...

La risposta di Gesù è brusca: «In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio». Ha capito l'incertezza di Nicodemo ma non rifiuta un incontro ambiguo: è venuto per tutti perché tutti siano salvi. Ma allo stesso tempo capisce che il dialogo con Nicodemo è possibile solo nella misura in cui egli si lascerà scalfire le sue certezze teologiche. Gesù quindi va subito al nocciolo della questione e invita Nicodemo a guardare bene e a vedere in quello che Gesù fa e dice una "diversità" rispetto a quella che ha visto e sentito dai profeti che lo hanno preceduto. Se Nicodemo non coglie questa diversità non c’è niente da fare. Se noi non cogliamo questa diversità non c'è niente da fare: Gesù resta un profeta come tanti e noi siamo ancora all'Antico Testamento.

Occorre rinascere: questa è la condizione per entrare nel Regno che Nicodemo sta aspettando. Nicodemo non capisce: «Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». La seconda risposta di Gesù ribadisce il concetto: è necessario rinascere, e questo è possibile mediante lo Spirito, di cui si possono sentire gli effetti, come il vento, ma che non può essere catturato e inquadrato.
Gesù vuole aprirgli lo sguardo su una realtà nuova, a lui che è immerso talmente nei problemi teologici da divenire incapace di scoprire il Regno di Dio nella vita che gli sta intorno. La vita non si identifica con l’osservanza delle leggi, anche se esse, per l’ebreo, potevano rigenerare l’uomo. Occorre lo Spirito che è vita e che ci apre a una nuova libertà, a risposte nuove e imprevedibili alle situazioni: la pienezza consiste nel vivere non solo come Dio vuole ma nel vivere lo stesso respiro di vita di Dio. Dalla legge al Vangelo, alla Buona Notizia!

Nicodemo resta ancora perplesso: «Come può accadere questo?». E qui Gesù mostra la sua amarezza per non essere creduto, direi in generale dalla categoria dei farisei, quelli che passano per "maestri" in Israele: «...voi non accogliete la nostra testimonianza. Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo?». E ribadisce di parlare non per sentito dire, ma per conoscenza diretta, pungolando Nicodemo perché abbia fede in lui: «In verità, in verità ti dico, noi parliamo di quel che sappiamo e testimoniamo quel che abbiamo veduto». In fondo Nicodemo era venuto da lui perché aveva visto che i segni che Gesù faceva erano compatibili solo col fatto che Dio fosse con lui!
Per noi questo è e deve essere un punto fondamentale: Gesù, il Cristo, è la Parola di Dio fatta carne. Noi lo crediamo sulla testimonianza degli apostoli che hanno dato la vita per questo, e che ci mostrano in modo fermo che Gesù era il Figlio di Dio, il Messia, sulla base delle parole dette, della vita e dei segni compiuti. Perciò, anche se non capiamo bene quello che Gesù ci dice, vogliamo ascoltarlo, dargli fiducia, riporre le sue parole nel nostro cuore e meditarle con pazienza, finché verrà il giorno che potremo dire a noi stessi: "ah, ecco, ora capisco!".

Gesù allo stesso tempo esce da qualsiasi riserbo con Nicodemo e svela l'essenza del mistero della salvezza: «...come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna». Nicodemo viene rimandato all’esperienza dell’Esodo: la rinascita nello Spirito scaturisce dalla fede in Cristo innalzato sulla croce. Questo mi richiama un bel libro di Giovanni Vannucci, «Cristo e la libertà» edito dalla Fraternità di Romena, che ho letto un mesetto fa e in cui si delineano tanti aspetti della novità assoluta che Cristo ha portato e che è importante sottolineare oggi in relazione all'incontro con Nicodemo. Uno di questi è legato all'esperienza del passaggio del Mar Rosso da parte del popolo ebreo, messo a confronto con l'episodio di Gesù che cammina sul mare di Galilea. Il mare rappresenta sempre l'inconscio, la parte tenebrosa del nostro essere. Tutto il nostro cammino verso la luce non è altro che diventare consapevoli di noi stessi, capire il perché delle nostre azioni, capire quali forze si muovono dentro di noi, scoprire la vita che ci anima e ci unisce a Dio nel profondo di noi stessi. Imparare a conoscere lo sconosciuto che è in noi è camminare sulle acque. Ma tra i due episodi c'è una grande differenza. Nel passaggio del Mar Rosso è il popolo che attraversa il mare, come popolo, mentre Gesù lo fa individualmente. Gli ebrei affermano: "io sono figlio del popolo eletto". Gesù invece dice "io sono figlio dell'uomo e figlio di Dio", perché anche ciascuno di noi possa dire "io sono figlio dell'uomo e figlio di Dio". Se nella storia della salvezza è stato importantissimo che il popolo ebreo vivesse come popolo l'alleanza con Dio, il Cristo, nella pienezza dei tempi, ci dice che il cammino verso la luce e la salvezza è un cammino individuale. Certo che è importantissimo l'aiuto fraterno, così come ci si aiuta in montagna a superare passaggi difficili, ma nondimeno il percorso va fatto da ciascuno. E del resto Gesù lo dice chiaramente anche quando parla del giudizio finale: "così sarà anche alla venuta del Figlio dell'uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno sarà preso e l'altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una sarà presa e l'altra lasciata" (Mt 24, 39-41). Non basta appartenere alla Chiesa Cattolica o alla Comunità Una: è ciascuno di noi che deve rinascere dall'alto, rinascere nello Spirito e aprirsi alla luce.

E infine la rivelazione più sconcertante: "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui". Non è chiaro se questa frase e quello che segue subito dopo sia stato detto da Gesù a Nicodemo o aggiunto da Giovanni: la Bibbia di Gerusalemme chiude le virgolette prima, mentre la traduzione interconfessionale le chiude dopo, ma per noi può essere indifferente. Il Cristo è venuto a dirci che Dio ci ama di un amore smisurato e che ci vuole tutti con sé. Sempre nel libro «Cristo e la libertà», Vannucci si chiede: che religione c'era prima di Cristo? La risposta che dà è che prima di Cristo tutte le religioni, sia quella ebraica che quelle cosiddette "pagane", erano in sostanza "religione del Padre", dove padre è inteso alla maniera antica, cioè quella del capo autoritario che comanda su tutta la famiglia: in tutti i casi c'era un Dio, che fosse Jahve o Jupiter o Zeus o Brahma o altro, che incuteva timore e verso il quale gli uomini si sentivano servi. Gesù, mentre ci rivela l'amore smisurato di Dio, ci rende coscienti del fatto che non siamo servi, ma figli. Per questo possiamo dire che Gesù ha introdotto la nuova, vera, religione, la religione del Figlio. Nella religione del Padre, gli uomini comuni, il "popolo di Dio", come si diceva spesso, sono sottomessi ai capi carismatici, ai grandi sacerdoti che danno le indicazioni per la vita, continuando l'autorità del padre. E questo è stato senz'altro importante nell'evoluzione della coscienza del tempo. Ma con Gesù, nella religione del Figlio introdotta nella pienezza dei tempi, questo non è più valido, è limitativo. Il Cristo ci dice: "E non fatevi chiamare "maestri", perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo." (Mt 23, 10) e anche: "Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi" (Gv 15, 15). C'è un capovolgimento, dice Vannucci, un passaggio dalla coscienza di schiavitù a quella di figli, amici di Cristo, figli di Dio come lui. Nella religione del Figlio c'è un capovolgimento: nell'Antico Testamento è in evidenza l'Onnipotente, quello che ti punisce se non obbedisci; nel Nuovo Testamento emerge l'Onnisciente, colui che ha imparato dal patire. L'Onnipotente si rivela come il Misericordioso, come l'Amore senza limiti, e l'uomo non deve più avere paura. Dobbiamo invece imparare dal Figlio a donare la nostra vita.

Ma come si possono afferrare queste cose? Solo con il silenzio e l'ascolto, lasciando lavorare lo Spirito dentro di noi, perché ci faccia rinascere. Mi piace un altro paragone che fa Vannucci, quello dell'indemoniato a cui Gesù chiede "Qual'è il tuo nome?" e l'indemoniato risponde "Legione", perché erano molti i demòni dentro al poveretto. È un po' la nostra situazione, nel senso che noi abbiamo dentro una grande varietà di "io", di personalità, di forze che ci spingono e tirano di qua e di là. Un giorno prevale l'io entusiasta, sicuro che da domani la mia vita sarà molto più vispa e attiva. Il giorno dopo prevale l'io pigro e sfiduciato, sicuro che le cose non possono che peggiorare. Un momento sento grande generosità verso il mio prossimo e in un altro momento sospetto e risentimento. A volte chi mi guida è l'io che fa le cose per gli altri senza volersi fare notare, e altre volte prende i comandi l'io che cerca il riconoscimento. Siamo fatti a immagine di Dio, ma questa immagine è offuscata da quella legione di personalità diverse. Cristo è l'immagine perfetta di Dio, l'uomo pienamente realizzato. Noi siamo tutti esseri in cammino per la realizzazione dell'immagine di Dio, siamo uomini e donne ancora da realizzare, siamo cristiani in continuo divenire, che cercano di far emergere la vera immagine di Dio da sotto la legione di io diversi. La consapevolezza di questo è un primo passo importante per il nostro cammino. La rinascita nello Spirito è un processo lento, che richiede pazienza, fiducia. Occorre, come dice Gesù negli ultimi versetti del brano letto, accogliere la luce, lasciarsi illuminare. Non dobbiamo aver paura di scoprire i nostri lati oscuri, le nostre meschinità, pigrizie, egoismi, vanità. Solo facendoli venire alla luce e diventandone consapevoli possiamo pian piano ridurne la forza. Se so di avere un ginocchio che ogni tanto cede, quando cammino per monti eviterò i passi che lo mettono in crisi. E se per caso lo sento scrocchiare una volta, non mi spavento più che tanto, e riprendo il cammino con più attenzione. La luce fa diradare le oscurità, il sole fa evaporare le nebbie.
Vedete, noi tutti vorremmo poter trovare qualcuno esterno a noi che ci renda facile questo cammino, una guida autorevole, un "maestro" da seguire. Ma, intanto, saremmo disposti ad ascoltarlo quando ci dicesse che dobbiamo eliminare certe nostre attività dispersive, tagliare certe nostre abitudini che ci frenano, dedicare una parte consistente del nostro tempo ad altre occupazioni? E poi, funzionerebbe? Forse sì, se riuscisse a leggerci dentro, capire i nostri punti di forza e di debolezza e aiutarci a diventarne sempre più consapevoli. Ma il fatto principale è che l'unico vero maestro è nell'invisibile, è lo Spirito del Cristo che si trova nel profondo del nostro essere. È solo lui che ci indica la nostra strada personale, individuale per realizzarci come uomini e donne. È solo lui che può gettare luce sulle nostre ombre. È lui che ci permette di rivolgerci al Padre con "gemiti inesprimibili", come dice San Paolo, e di chiamare Dio abbà, babbo, papà, e di rinascere come figli di Dio.

Chissà che risonanza avranno avuto in Nicodemo le parole di Gesù? Lo ritroviamo accanto a Giuseppe d’Arimatea al momento della sepoltura di Gesù, poi non se ne sa più niente. Non pare che sia diventato né discepolo né apostolo. Gesù lo ha lasciato libero di decidere se sperimentare la rinascita a una nuova vita nello Spirito o continuare a cercare la salvezza nell'osservanza puntuale della legge, che mantiene gli uomini in uno spirito di schiavitù. Cristo non forza la nostra libertà.

E per me? Sono messo dinanzi ad una verità: la realizzazione della mia vita non dipende anzitutto dai miei sforzi e dall'osservanza precisa di regole di comportamento, ma dalla mia docilità all’ascolto della Parola viva che mi trasforma. Si tratta di fare lo sforzo per rendersi disponibili all’azione rigenerante dello Spirito di Gesù.
Gesù mi sta chiedendo, e in un certo senso costringendo, ad andare con la mia fede ad una profondità ancora più grande, che va al di là delle mie possibilità. A non accontentarmi del già visto, sentito, vissuto: egli mi vuole aprire alla novità: "Ecco io faccio nuove tutte le cose". E’ la vita stessa che nel suo evolversi mi chiede questa docilità e apertura in avanti: in fin dei conti essa si spiega solo con una chiamata; e solo in una mia risposta di adesione totale essa può svolgersi, svilupparsi in tutta la sua pienezza. Io sarò quello che Dio mi farà, se mi lascerò fare da lui. E solo così vivrò al massimo tutte le mie potenzialità e possibilità: ciò significa accogliere l’invito a "rinascere" continuamente e nuovamente e dall’alto.
In altre parole si tratta di percorrere una strada che mi consenta di piegare me stesso, tutto ciò che in me di intelligenza, affettività, volontà, si oppone alla novità di Dio. Se avviene ciò si apre dinanzi a me una spazio straordinario: l’apertura alla verità di Dio e alla sua vita che riempie di senso la mia vita e la fa diventare dono per i fratelli.
 


 

Spunti per la revisione personale e la condivisione

  • Nicodèmo è colpito dai segni che compie Gesù, e capisce che non può non essere inviato da Dio. Per questo va da Gesù per capire meglio. Gesù però lo sconvolge con discorsi troppo diversi da quelli della Bibbia, che lui conosce: rinascere dall'alto, rinascere nello Spirito, il figlio dell'Uomo che deve essere innalzato per dare la vita a chi crede in lui... Pare che Nicodèmo non sia pronto ad accogliere questa diversità e questa novità. 
      • E io? Colgo in Gesù la grande diversità e novità rispetto ai profeti che lo hanno preceduto? Intuisco nelle sue parole una Buona Notizia, appunto un messaggio Nuovo e Buono?
      • Credo nella divinità di Gesù Cristo. Come reagisco quando le sue parole mi volano troppo alte e non le capisco bene? Le lascio perdere o le rimugino dentro di me?
      • Quanto sono ancora ancorato ad una religione come quella dell'Antico Testamento, fatta di obblighi e divieti e di comportamenti corretti da osservare, e quanto accolgo la novità e la libertà di una fede fatta di ascolto dello Spirito dentro di me?
  • Per vedere il Regno di Dio occorre rinascere dall'alto, nello Spirito. E scoprire che Dio ha mandato il suo Figlio non per giudicare ma per salvare il mondo.
      • Cosa può voler dire, per me personalmente, rinascere nello Spirito?
      • Sento l'impegno e la responsabilità di dover cercare quotidianamente la mia realizzazione come figlio di Dio, aperto alla novità e al dono di me stesso?
      • Come provo a percorrere questa strada di continua rinascita? Quali atteggiamenti prendo, quali strumenti adotto (preghiera, silenzio, sacramenti, lettura...)?
      • Come cerco di fare entrare la luce dentro di me, di diventare più consapevole di me stesso, della mia personalità, incluso i miei condizionamenti e le mie ombre?
      • Quanto sento questo cammino frutto di uno sforzo personale e quanto frutto di una arrendevolezza fiduciosa all'azione dello Spirito?