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Ho scelto di partire dalla prima lettera di Pietro per iniziare la nostra riflessione di stasera, per far sì che la stessa si inserisca nel ostro cammino di fede e non sia solo un tentare di approfondire in 20 minuti il II capitolo della Lumen Gentium sul Popolo di Dio. Questo capitolo che si compone di 9 punti, dal 9 al 17, precede il successivo sulla costituzione gerarchica della Chiesa. Già qui abbiamo una rivoluzione copernicana. Innanzitutto il Concilio sottolinea l’appartenenza al popolo di Dio tramite il Battesimo e poi analizza i ministeri di servizio.
La lettura di stasera
dalla prima lettera di Pietro, così
come il punto 10 della Lumen Gentium, ci richiamano alla nostra vocazione
battesimale. Siamo infatti un popolo sacerdotale! Anche se purtroppo
applichiamo troppo spesso questo termine soltanto a coloro che presiedono,
ed uso appunto questo termine, le celebrazioni.
Così commenta
Sant’Agostino “A tutti i battezzati diamo il nome di cristiani, cioè
di unti, a causa dell’unzione sacra, come anche il nome di sacerdoti, perché
tutti sono membra dell’unico sacerdote”.
Allora il battesimo
rende tutti i cristiani sacerdoti in quanto li unisce, li innesta nel corpo
di Cristo, li consacra perché con la loro presenza nel mondo assicurino
la manifestazione continua della comunione tra Dio e l’umanità.
Il popolo di Dio
è il primo depositario dell’investitura sacerdotale di Cristo in
quanto
partecipe della sua missione di profeta, sacerdote e re: il sacerdozio
del cristiano pertanto è rivolto all’esterno a servizio del mondo
e in questo senso realizzatore di un culto che si esercita non nel tempio,
ma lungo le strade, nei luoghi di incontro, di lavoro, di gioia e di sofferenza.
È l’idea di don Prospero di una comunità che si trova sulla
porta della Chiesa con la C maiuscola per poter anche guardare al mondo.
Il nostro sacerdozio
ricalca quello di Cristo che è radicalmente diverso dal sacerdozio
antico: Cristo è sacerdote perché ha attuato un’opera di
mediazione tra gli uomini e Dio, una mediazione che si realizza non in
termini rituali (distinzione tra sacrificio e sacerdote), bensì
personali come atto di perfetta obbedienza al Padre e di perfetta solidarietà
con gli uomini.
Allora il sacerdozio, come
è inteso nel Nuovo Testamento, tende a fare del mondo in quanto
tale un tempio e un’oblazione a Dio.
In virtù del battesimo ogni cristiano, in certo modo, rappresenta Cristo; è rivestito di Cristo, vive in Cristo e Cristo vive in lui. Ogni cristiano, dunque, può e deve testimoniare e rendere presente, in parole ed opere, Cristo di fronte agli altri, per cui, scrive Borras, “tutti devono orientare la loro esistenza (conversione personale) e la storia degli uomini (conversione politica) secondo la dinamica del regno, operando per un mondo più fraterno come Dio lo vuole".
La Chiesa ci ha accolto nel momento del nostro battesimo. Più precisamente, durante l'unzione col crisma, tutti siamo diventati re, sacerdoti e profeti, perché inseriti in Cristo, e quindi siamo diventati 'abili' :
Al Punto 11, la Lumen Gentium analizza come il sacerdozio comune sia esercitato dai fedeli nei sacramenti. Anche qui abbiamo una svolta: da meri fruitori del sacro, i fedeli diventano con-partecipi nella celebrazione. Tale punto, sicuramente di svolta ma molto sintetico, è stato analizzato meglio nei ‘prenotando’ dei libri liturgici, innanzitutto quelli del Messale di Paolo VI e poi in quelli di ogni sacramento, per finire nel Benedizionale dove abbiamo anche le formule per i laici.
Il soggetto della liturgia
è "l’Ecclesia", la comunità cristiana: Papa Paolo VI nel
settimo paragrafo dell’Introduzione al Messale Romano, afferma: «
[…] Cristo è realmente presente nell’assemblea dei fedeli riunita
nel suo nome, nella persona del ministro, nella sua Parola e in modo sostanziale
e permanente sotto le specie eucaristiche».
Il 3 aprile 1969, giovedì
della Cena del Signore, Papa Paolo VI firmava la costituzione apostolica
con cui promulgava il Messale Romano riformato a norma del Concilio Ecumenico
Vaticano II. Inoltre viene sottolineato che: « La celebrazione
dell’Eucarestia è […] azione di tutta la Chiesa; in essa
ciascuno compie soltanto , ma integralmente, quello che gli compete, tenuto
conto del posto che egli occupa nel popolo di Dio…. [....] ..popolo,
che in Cristo, rende grazie per il mistero della salvezza, offrendo il
suo sacrificio….».
Il capitolo secondo del
PNMR, al paragrafo quattordicesimo, sottolinea quanto sopra evidenziato:
«Poiché la celebrazione della Messa, per sua natura, ha
carattere “comunitario”, grande rilievo assumono i dialoghi tra il celebrante
e l’assemblea dei fedeli e le acclamazioni.»
L’analisi dei testi,
il commento teologico pastorale dell’introduzione al Messale stesso, hanno
fatto emergere che la Chiesa, ‘Comunità dei fedeli’ , celebra l’eucaristia:
la forma dialogica, i verbi al plurale, il popolo santo sempre richiamato
come compartecipe all’offerta del pane e del vino sacramento del Cristo,
morto e risorto.
La celebrazione
dell’Eucaristia è infatti azione di tutta la Chiesa, popolo di Dio,
«..popolo, che in Cristo, rende grazie per il mistero della salvezza,
offrendo il suo sacrificio….».
Paolo VI nella Costituzione
Apostolica con cui promulga l’Ufficio Divino secondo il Concilio Vaticano
II , al paragrafo ottavo, afferma anche che: « l’intera vita dei
fedeli […..] attraverso le singole ore del giorno e della notte, è
quasi una ‘leitourgia’, mediante la quale essi si dedicano in servizio
di amore a Dio e agli uomini, aderendo all’azione di Cristo che con la
sua dimora tra noi e con l’offerta di se stesso, ha santificato la vita
di tutti gli uomini.».
L’offerta eucaristica,
memoriale della morte e resurrezione del Cristo è estesa a tutte
le ore della giornata dalla Liturgia delle Ore; anche noi laici siamo invitati
a compiere la missione della Chiesa, celebrandone qualche parte. Questa
santificazione della giornata, offerta al Padre nel Cristo, si basa sulle
parole di Gesù alla Samaritana: «E’ giunto il momento ed
è questo in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito
e verità ». (Gv.4, 23).
Come si vede in
tutta la liturgia della Chiesa e non solo nella Messa è presente
l’aspetto sacerdotale del Popolo di Dio, fondato sull’incorporazione a
Cristo col Battesimo.
Per concludere si può dire con Ermanno Roberto Tura: "..( omissis….)….tuttavia la preferenza manifestata dal Concilio Ecumenico Vaticano II nel secondo capitolo della Lumen Gentium sottolinea ciò che è comune a tutti i credenti: il termine stesso laicità deriva da laos - popolo - e privilegia nella chiesa anzitutto la fraternità che ci rende tutti ‘comuni’ senza steccati e senza rivendicazioni”.
Di questo popolo fanno parte
i cristiani tutti, gli ebrei e i musulmani, gli uomini di ‘buona
volontà‘ che vivono secondo coscienza nella ricerca del bene. Gesù
è venuto per tutti: il Vangelo, la buona notizia di Dio per l’uomo,
ce lo dice. La salvezza non solo è per gli ebrei giusti, ma è
per tutti: i pastori, i magi, i samaritani, i pagani. Ogni uomo fa parte
del Popolo di Dio, progetto che si concluderà nei cieli nuovi e
terre nuove dell’Apocalisse: «Tu sei degno di prendere il libro
e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai riscattato
per Dio con il tuo sangue uomini di ogni tribù, lingua, popolo e
nazione e li hai costituiti per il nostro Dio un regno di sacerdoti e regneranno
sopra la terra».