giovedì 21 marzo 2013
Universale vocazione alla santità nella Chiesa
(Lumen Gentium, Cap. V, §§ 39-42)



 
 
 
 
 
 
 

Dalla prima lettera di Pietro Apostolo (1Pt 4,10-11)
"Ciascuno viva secondo la grazia ricevuta, mettendola a servizio degli altri, come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio. Chi parla, lo faccia come con parole di Dio; chi esercita un ufficio, lo compia con l'energia ricevuta da Dio, perché in tutto venga glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, al quale appartiene la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen!"

 
 

   Nella Lumen Gentium la santità occupa un posto importante, anche se il Capitolo V ad essa dedicato è abbastanza breve. Gli storici della Chiesa sottolineano il fatto che, dopo il Concilio Vaticano I, del 1869-70, si sia avvertita sempre più l'urgenza di mettere in primo piano la testimonianza spirituale della Chiesa nel mondo, non più passando attraverso la via del potere, e men che meno attraverso il "potere temporale". Si avvertiva cioè la necessità di riscoprire la santità come un carattere distintivo della Chiesa, e non solo di singole persone nella Chiesa. E anche se quasi tutto il testo del capitolo evidenzia la chiamata alla santità nella Chiesa, si capisce che l'intenzione dei Padri Conciliari è quella di sottolineare come, attraverso la santità nella chiesa, venga disegnato un volto della Chiesa come volto di santità.
E infatti il capitolo comincia subito con "la Chiesa... è per fede creduta indefettibilmente santa", e in questo sostenuta dalle parole di San Paolo dove si dice che "Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa" (Ef 5, 25-26). Ma subito la Lumen Gentium prosegue dicendo che "questa santità della Chiesa costantemente si manifesta e si deve manifestare nei frutti della grazia che lo Spirito produce nei fedeli". La santità della Chiesa la si vede, la si deve vedere, dalla santità dei cristiani, dalla santità di ciascuno di noi!

Cosa ci dice, in sintesi, la Lumen Gentium? Innanzi tutto che il Signore chiama tutti alla santità, ma proprio tutti: "È chiaro dunque... che tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità.". E più avanti: "Nei vari generi di vita e nei vari uffici una unica santità è coltivata da quanti sono mossi dallo Spirito di Dio...". Questo è veramente rivoluzionario rispetto a quello che era il sentire comune dei fedeli in passato, e cioè che la santità fosse riservata agli uomini e alle donne che avevano scelto la vita religiosa, e quindi fosse qualcosa da neppure cercare, per un laico. La santità è per tutti, ad essa tutti siamo chiamati, e tutti abbiamo i mezzi per crescere in santità, innanzitutto mediante l'esercizio della carità e dell'amore reciproco, e poi attraverso la parola di Dio, la preghiera e i sacramenti. Il capitolo sintetizza bene l'invito alla santità per tutti nell'ultimo capoverso: "Tutti i fedeli quindi sono invitati e tenuti a perseguire la santità e la perfezione del proprio stato. Perciò tutti si sforzino di rettamente dirigere i propri affetti, affinché dall'uso delle cose di questo mondo e dall'attaccamento alle ricchezze, contrariamente allo spirito della povertà evangelica non siano impediti di tendere alla carità perfetta; ammonisce infatti l'Apostolo: «Quelli che si servono di questo mondo, non vi si attacchino, poiché passa la figura di questo mondo» (1Cor 7,31).".
Quest'ultimo pezzetto letto, che mette in guardia dall'attaccarsi alle cose del mondo, sembrerebbe suggerire un distacco del fedele dalle situazioni in cui si trova. E invece la Lumen Gentium dà una prospettiva opposta, quando, dopo aver detto che tutti i fedeli sono chiamati alla pienezza della vita cristiana, aggiunge: "da questa santità è promosso, anche nella società terrena, un tenore di vita più umano.". La spinta verso la santità non porta lontano dal mondo, ma è alla base dell'azione politica del cristiano, nel senso più alto, attraverso l'attenzione ai bisogni dei fratelli e la solidarietà!

Il Cap. V esemplifica anche il cammino verso la santità dei cristiani "nei vari generi di vita e nei vari uffici", cominciando dai vescovi e dai sacerdoti e proseguendo brevemente coi diaconi, i chierici, i catechisti. Si sofferma quindi un po' sui coniugi e genitori cristiani, ma menziona anche le persone vedove e non sposate, gli ammalati e i perseguitati per la giustizia, per dedicare poi diverse righe ai lavoratori: "quelli che sono dediti alle fatiche, spesso dure, devono con le opere umane perfezionare se stessi, aiutare i concittadini a far progredire tutta la società e la creazione verso uno stato migliore... e infine con lo stesso loro quotidiano lavoro ascendere a una più alta santità anche apostolica.". Non è bello? Non è una gran novità rispetto al sentire comune pre-conciliare? Non solo il cristiano è chiamato ad essere santo quale che sia la sua situazione di vita, non solo, per tendere alla santità, non deve distaccarsi dal suo lavoro quotidiano, ma è il suo quotidiano che costituisce il cammino di santificazione ed è lì che il cristiano risponde alla sua chiamata apostolica. Per usare uno schema semplice proposto da Luigi Sartori in un suo articolo su Credere Oggi, si può dire che il cristiano si santifica con le tre preposizioni in, con, per applicate al proprio stato. Più chiaramente, ciascuno si santifica dentro la sua situazione di vita (in), senza uscirne fuori; mediante l'insieme di attività in cui è coinvolto (con), ossia senza ricorrere a strumenti estranei a questo insieme; e in vista di far emergere il volto di Dio nell'ambiente in cui opera (per), perché tutte le zone dell'azione dell'uomo sono zone di Dio, espressioni della ricchezza dell'amore di Dio. La testimonianza e l'annuncio del cristiano si fanno prima di tutto attraverso il lavoro e le attività di tutti i giorni, più che con le parole!

Il messaggio del Concilio è dunque estremamente semplice. È certamente innovativo rispetto al sentire pre-conciliare, ma ora.... dopo 50 anni... come ci sembra? Ormai ovvio, banale? O ancora da riscoprire nella nostra vita di tutti i giorni? Vorrei che facessimo una breve riflessione, da proseguire ciascuno nel segreto della sua coscienza, su come abbiamo vissuto questo invito alla santità, come lo viviamo e come lo potremo, vorremo e dovremo vivere (uso volutamente il futuro e non il condizionale, perché l'invito alla santità non è fatto sotto nessuna condizione!).
La prima domanda che mi faccio è se mi sento chiamato alla santità oppure "io speriamo che me la cavo", come scriveva quel ragazzino di Arzano nel tema riportato dal maestro Marcello D'Orta. Lo dico perché mi sembra che troppo spesso pensiamo alla santità come a una cosa lontana, per altri, per gente che ha fatto delle scelte diverse, radicali, come le monache di clausura o i missionari, mentre noi, cristiani della vita ordinaria, speriamo di salvarci per il rotto della cuffia, con lo scappellotto del maestro. Forse la questione principale è come vediamo la santità: è solo una fatica, uno sforzo, una sofferenza? o è una proposta per una prospettiva di vita piena dello spirito? Vorrei tanto poter convincere prima me stesso e poi voi che la santità è facile, ma credo che non sia così. Possiamo però cercare di afferrare che il cammino verso la santità è bello e possibile e tentare quindi di indicare alcune vie.

Vedete, mentre preparavo questa riflessione avrei voluto trovare il modo di dire in modo sintetico ma completo cos'è la santità. Poi ho pensato che non solo io non ho la preparazione giusta per farlo, ma anche che la santità è la sintesi di tutta la Buona Notizia di Gesù. La santità è il tesoro nel campo. Gesù dice: "Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo". Provate a sostituire "regno dei cieli" con "santità" e vedete se non torna perfettamente. La santità è il tesoro nel campo perché ogni piccolo passo che compiamo verso la santità è un passo verso la gioia, verso una più grande ricchezza dello spirito, un passo di liberazione da pesantezze e paure. Ne sono più che sicuro!
Cammino di santità è liberarsi da quella paura di fondo della vita che ci fa cercare di accumulare cose. "Guardate i gigli, come crescono: non filano, non tessono: eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro". Cammino di santità è ritrovare la capacità di vedere, di stupirsi, di apprezzare le cose semplici della vita. Cammino di santità è liberarsi dalle paure che ci fanno cercare di essere sempre apprezzati dagli altri e di essere persone importanti nel nostro ambiente, per scoprire la gioia di far emergere le capacità dell'altro, di far fiorire nell'altro la vita, la serenità, l'entusiasmo. Man mano che il cuore si libera dai preconcetti costruiti dalla nostra mente e dalle paure, la capacità di amare si fa strada in noi, gli altri non sono più "altri", ma fratelli e sorelle, percorsi dalla stessa Vita che abita in noi.

Il cammino verso la santità lo si fa in leggerezza, senza le pesantezze del rimpianto del passato e del rammarico di ciò che è stato o non è stato, senza le paure del futuro, nell'abbandono fiducioso al Dio della Vita, che ci ama per quelli che siamo, ora. Il cammino verso la santità non è uno sforzo da fare con i denti e con le unghie, ma lasciare fluire la vita e seguire quello che essa ci chiede in questo momento, in semplicità. E senza ansie, senza voler vedere in fretta grandi risultati, accettando i propri limiti. Proprio la bramosia di santificarsi può essere il primo ostacolo alla santificazione!
Fai l'insegnante? Ti santifichi insegnando ai tuoi alunni e facendolo con passione, trasmettendo loro il gusto per la materia che insegni e per le cose fatte bene; se poi insegni religione, far trasparire la passione per la tua materia è il più grande insegnamento che puoi dare, la più grande testimonianza. Fai la cuoca? Ti santifichi cucinando con pazienza per i tuoi ospiti. Fai la catechista? Ti santifichi testimoniando la gioia di seguire Gesù. Sei nonno o nonna? Ti santifichi testimoniando ai nipoti che vivere è bello nonostante gli acciacchi o i dolori della vita. Sei marito, moglie, sei compagno, compagna? Indipendentemente da quello che dicono i registri ufficiali, ti santifichi costruendo la vita quotidiana con la persona che hai accanto, tessendo rapporti di attenzione, di amore, di fiducia. E non pensare a quello che è stato il passato o quello che potrà essere il futuro, perché Dio è "Io-Sono", il Dio del momento presente. «Chi ha orecchi per intendere intenda!», direbbe Gesù a questo punto.
E tutti abbiamo gli strumenti per questo cammino, ci dice la Lumen Gentium. Tutti possiamo esercitare la carità; tutti possiamo meditare la Parola di Dio; tutti possiamo metterci in silenzio alla presenza del Padre; tutti possiamo avvicinarci ai sacramenti. E non diciamo: "io non posso, perché i preti non vogliono dare i sacramenti a quelli come me": Dio Padre non allontana nessuno; Dio viene ad incontrarti, ogni giorno; Dio cerca la comunione con te, quale che sia la tua situazione di vita.

Per noi che siamo qui c'è poi un altro strumento, preziosissimo, e si chiama Comunità. Mi chiedevo: cos'è la Comunità? E mentre me lo chiedevo pensavo anche se potremmo estendere la definizione all'intera Chiesa. La risposta che mi sono dato, e in cui credo, è che la Comunità non è "chi", perché non si identifica con nessuna persona specifica, e non è nemmeno una struttura organizzativa: la Comunità è la relazione di fraternità tra le sorelle e i fratelli della Comunità stessa. È questa relazione fraterna che regge l'aiuto reciproco al cammino verso una vita cristianamente più piena, al cammino verso la santità, aiuto che si manifesta in diversi momenti specifici.
La condivisione è il primo di questi momenti. Condivisione orientata in particolare modo a raccontare agli altri la voce di Dio percepita nella mia vita, le scoperte che vado facendo su Dio, le esperienze della sua presenza, i cammini che ho cercato di percorrere e che mi hanno alleggerito delle mie pesantezze e dato un respiro più ampio. La condivisione è un momento della vita della Comunità che credo vada valorizzato al massimo, rivitalizzato, se necessario, perché i nostri incontri di condivisione riducano al minimo il contenuto di semplice chiacchiera e siano sempre più comunicazione profonda dal cuore.
E poi c'è il rapporto fraterno nella presa a carico e nella correzione, ma anche il lavoro insieme nei servizi. Di aiuto per me, ad esempio, è stata l'esperienza del lavoro insieme nel servizio comunitario delle case alloggio, come anche quello dell'organizzazione delle attività comunitarie, lavoro condotto senza lotte o contrasti accesi, ma semmai con lo stimolo reciproco a superare le inevitabili fatiche e pigrizie. Un aiuto a rimasticare nel concreto l'insegnamento del Vangelo, orientati in verticale, verso Dio, e in orizzontale, verso i fratelli. Questo è il cammino di santità indicato da Gesù quando dice: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri», perché il cammino di santità, preferibilmente, non lo si fa da soli ma in cordata.

Buona settimana santa, e buona Pasqua di Resurrezione!