" Essere laici : Vocazione, e ministerialità nella Chiesa" .
Catechesi del III
giovedì
2004-2005
Il Gruppo di servizio aveva proposto che il cammino del III giovedì fosse condotto da Claudio e da Francesco sul tema: "Essere laici: Vocazione, e ministerialità nella Chiesa" .
Ogni volta che parliamo della Chiesa, ne parliamo come se fosse qualcosa
di altro rispetto a noi. Non è così!: "anche
voi venite impiegati come pietre vive per l'edificazione di un edificio
spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi
a dio, per mezzo di Gesù Cristo…..Ma voi siete la stirpe eletta,
il sacerdozio regale,la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato
perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato
dalle tenebre alla sua ammirabile luce; voi, che un tempo eravate non-popolo,
ora invece siete il popolo di Dio; voi, un tempo esclusi dalla misericordia,ora
invece avete ottenuto misericordia." ( 1Pt. 2,5- 2,9-10)
La lettura di 1Pt 2,5-10, fatta stasera, ci richiama
alla nostra vocazione battesimale. Siamo infatti un popolo sacerdotale!
Anche se purtroppo applichiamo troppo spesso questo termine a coloro che
presiedono, ed uso appunto questo termine, le celebrazioni.
Così commenta Sant’Agostino “A tutti i battezzati diamo il
nome di cristiani, cioè di unti, a causa dell’unzione sacra, come
anche il nome di sacerdoti, perché tutti sono membra dell’unico
sacerdote”.
Allora il battesimo rende tutti i cristiani sacerdoti in quanto li
unisce, li innesta nel corpo di Cristo, li consacra perché con la
loro presenza nel mondo assicurino la manifestazione continua della comunione
tra Dio e l’umanità.
Il popolo di Dio è il primo depositario dell’investitura
sacerdotale di Cristo in quanto partecipe della sua missione di profeta,
sacerdote e re: il sacerdozio del cristiano pertanto è rivolto all’esterno
a servizio del mondo e in questo senso realizzatore di un culto che si
esercita non nel tempio, ma lungo le strade, nei luoghi di incontro, di
lavoro, di gioia e di sofferenza. È l’idea di don Prospero di
una comunità che si trova sulla porta della Chiesa con la C maiuscola
per poter anche guardare al mondo.
Il nostro sacerdozio ricalca quello di Cristo che è radicalmente
diverso dal sacerdozio antico: Cristo è sacerdote perché
ha attuato un’opera di mediazione tra gli uomini e Dio, una mediazione
che si realizza non in termini rituali (distinzione tra sacrificio e sacerdote),
bensì personali come atto di perfetta obbedienza al Padre e di perfetta
solidarietà con gli uomini.
Allora il sacerdozio, come è inteso nel NT, tende a fare
del mondo come tale un tempio e un’oblazione a Dio; Cristo è
sacerdote per il dono della sua vita e per questo nella comunità
cristiana il sacrificio spirituale, ovvero sotto l’impulso dello Spirito,
sostituisce il sacrificio cultuale.
Il sacrificio spirituale consiste nell’amore reciproco e nel dono della
propria vita e non è delegabile a qualcuno, ma è proprio
a ciascuno di noi; pertanto innestati in Cristo mediante il battesimo tutti
i credenti possono fare della loro vita un “sacrificio spirituale a Dio
gradito”.
L’adesione a Cristo non è soltanto adesione alla sua persona,
ma anche al suo dinamismo, al senso della sua esistenza che risplende nella
croce, pertanto il sacerdozio del popolo di Dio si esprime nella sequela
del dono di sé, nel fare propria la logica della croce in un’esistenza
che lascia trasparire la memoria di Gesù.
Così scriveva Origene: “Quando dono quel che possiedo, quando
porto la mia croce e seguo Cristo, allora io offro un sacrificio sull’altare
di Dio. Quando brucio il mio corpo nel fuoco dell’amore e ottengo la gloria
del martirio, allora io offro me stesso quale olocausto sull’altare di
Dio. Quando amo i miei fratelli fino a dare per essi la mia vita, quando
combatto fino alla morte per la giustizia e per la verità, quando
mortifico il mio corpo astenendomi dalla concupiscenza carnale, quando
sono crocifisso al mondo e il mondo è crocifisso per me, allora
io offro di nuovo un sacrificio d’olocausto sull’altare di Dio… allora
io divento un sacerdote che offre il suo proprio sacrificio”.
In virtù del battesimo ogni cristiano, in certo modo rappresenta
Cristo; è rivestito di Cristo, vive in Cristo e Cristo vive in lui.
Ogni cristiano, dunque, può e deve testimoniare e rendere presente,
in parole ed opere, Cristo di fronte agli altri, per cui, scrive Borras,
“tutti devono orientare la loro esistenza (conversione personale) e
la storia degli uomini (conversione politica) secondo la dinamica del regno,
operando per un mondo più fraterno come Dio lo vuole".
Fu il concilio Vaticano II, dopo la chiusura portata dal Tridentino
e la frattura con il luteranesimo, a riproporre l’idea di un sacerdozio
comune; leggiamo infatti, nella Lumen Gentium: “Cristo Signore, sacerdote
preso fra gli uomini (cf. Eb5,1-5) fece del nuovo popolo “un regno di
sacerdoti per il suo Dio e Padre (Ap1,6). Infatti con la rigenerazione
e l’unzione dello Spirito Santo i battezzati vengono consacrati in edificio
spirituale e sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali mediante
tutte le opere del cristiano e per proclamare le opere meravigliose di
Colui che li ha chiamati dalle tenebre alla sua ammirabile luce"
(Cfr. 1Pt 2, 4-10).
Questo documento ci presenta l’idea di una consacrazione a Dio applicata
a tutta la vita cristiana e dalla quale non possiamo esimerci pena il non
rispondere positivamente alla nostra vocazione.
Giovanni Paolo II, nell’esortazione apostolica Christifideles laici,
riprendendo la dottrina conciliare, afferma: “In forza della comune
dignità battesimale, il fedele laico è corresponsabile, insieme
con i ministri ordinati e con i religiosi e le religiose, della missione
della Chiesa… La caratteristica secolare va intesa alla luce dell’atto
creativo e redentivi di Dio, che ha affidato il mondo agli uomini e alle
donne, perché essi partecipino all’opera della creazione, liberino
la creazione stessa dall’influsso del peccato e santifichino se stessi
nel matrimonio o nella vita celibe, nella famiglia nella professione e
nelle varie attività sociali”.
Quindi il laico non è un Christifideles che ha qualcosa di meno
rispetto ai chierici, ma è un battezzato, che è chiamato
a realizzare la propria vocazione cristiana essendo lievito che fa crescere
il Regno di Dio in santità e grazia, promuovendo la verità
e la vita, la giustizia, l’amore e la pace.
Ecco che non possiamo in momenti come quello attuale continuare a pregare
e lavorare sporcandoci le mani perché davvero si costruisca quel
mondo sognato da Dio fin dalla sua creazione. Di qui l’impegno politico,
un impegno che deve essere offerto a Dio.
È uno scandalo la nostra liturgia nel momento in cui rimane
chiusa in chiesa, senza che quel momento sia celebrazione della nostra
settimana, poiché nella nostra quotidianità feriale
sta il senso del nostro celebrare Cristo risorto.
Solo testimoniando ed offrendo la nostra vita spesa per amore
possiamo rispondere alla vocazione di Cristo che continuamente ci chiama.
Occorre
fare scelte precise, scelte di campo, occorre vivere nella giustizia e
nella verità; senza tutto questo non potremmo dire di aver corrisposto
a quanto Cristo ci chiede.
A tal proposito è bello riprendere quanto affermato nel Paragrafo
delle Scelte di vita personali della nostra "Carta
Verde", regola che la Comunità Una si è data
"Proprio per vivere in pienezza quanto sopra descritto,
ovvero l’amicizia fraterna nella revisione di vita attraverso la condivisione,
l’incoraggiamento fraterno e la presa a carico, dalla quale in seguito
nasce il servizio esterno per essere testimoni credibili nei luoghi dove
quotidianamente ognuno di noi vive, la Comunità UNA di Rivarolo
si è data questa Carta Verde, quale strumento per la revisione del
cammino personale e comunitario.
Tale documento segna la spiritualità
propria della Comunità UNA, alla quale ognuno liberamente aderisce,
condividendone i valori verso i quali si impegna a camminare."
(Frontespizio
della Carta Verde, Regola di Comunità Una):
Le scelte di vita personali
(dalla Carta Verde : punto 'Le Scelte di Vita personale')
Mi impegno a rafforzare maggiormente la mia sensibilità verso le situazioni di ingiustizia nella vita e nel mondo con le mie scelte di vita quali:
• Ricerca della povertà come essenzialità e valore provvidenziale, eliminando il più possibile ogni forma di consumismo
• vita in armonia con il creato
• autotassazione fedele versata nella cassa comune concepita come:
- restituzione concreta agli ultimi di quanto loro tolto con scelte di vita e modelli di società basata sullo sfruttamento;• attenzione a chiamate libere e “profetiche” quali:
- particolare attenzione all’aiuto fraterno verso i fratelli di Comunità UNA
- sovvenzione a singoli per la partecipazione ad esperienze esterne di crescita
- Obiezione di Coscienza, Anno di Volontariato Sociale, Obiezione Fiscale alle spese Militari e una dedizione alla causa della pace, della giustizia e della nonviolenza
- volontariato nel Terzo Mondo
- comunione dei beni familiari e la convivenza interfamiliare
- La rinuncia al doppio lavoro retribuito non necessario per il servizio gratuito
- Scelta preferenziale verso il commercio equo e solidale, i bilanci di giustizia e le banche etiche
- …….
Sacerdozio comune dei fedeli: culla del sacerdozio ministeriale
E' importante iniziare questa serata partendo dalla domanda che Claudio
aveva lanciato in chiusura del suo discorso: qual è il 'proprio'
del ministro ordinato? La sua specificità?
Soprattutto oggi in cui verifichiamo come l'ambito del sacro
non è più appannaggio esclusivo dei preti, come già
era infatti nella Chiesa primitiva occorre chiederci, qual è allora
quello che specifica e differisce un presbitero da un fedele laico. A tal
proposito mi piace riprendere la posizione che S. Dianich esprime nel suo
saggio "Teologia del ministero ordinato. Una interpretazione ecclesiologica.":
«E’ necessario incominciare ricordando che prima di tutto i ministri ordinati sono partecipi del sacerdozio fondamentale di tutta la Chiesa: in quanto hanno fatto una scelta di fede vivono nella sequela del Cristo e, come ogni cristiano, fanno della propria vita un’offerta al Padre, sono parte del sacerdozio della Chiesa fondato su quello di Cristo» (DIANICH S, Teologia del ministero ordinato, Un interpretazione ecclesiologica , Ed. Paoline, Roma,1984, pag.200)
Il sacerdozio della comunità nasce dalla fede in Cristo, fede
che scaturisce dall’annuncio, ma c’è una parola che fonda la Chiesa
sulla sua radice apostolica; perciò c’è un ministero con
cui tutta la comunità deve confrontarsi: quello ordinato.
Tale ministero ha il carisma particolare di prolungare nella Chiesa
il discorso apostolico di fedeltà alla Tradizione per trasmettere
il messaggio della S. Scrittura «operando sul versante
della mobilità, della storicità dell’interpersonalità
»:
cioè per trasmettere l’annuncio del Cristo a ogni uomo di ogni tempo
e di ogni situazione, rimanendo fedele al significato profondo di tale
annuncio.
Pertanto con l’imposizione delle mani si dà ad un cristiano
il carisma di essere per la sua comunità il portatore dell’apostolicità
(cfr.
DIANICH S., opera citata).
Lo schema ecclesiologico fondante tali concetti parte dalla Trinità
ed è il seguente:
• il Padre in Cristo, Unico Sacerdote, per mezzo dello Spirito, fonda
la Chiesa, “stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa” (1Pt 2,9);
all’interno di questa comunità chiama alcuni perché siano
ordinati ministri, per far sì che la ‘fonte’ del messaggio degli
apostoli sia, in essa sempre presente.
«Dio onnipotente, Padre del nostro Signore
Gesù Cristo, vi ha liberato dal peccato e vi ha fatto rinascere
dall’acqua e dallo Spirito Santo, unendovi al suo popolo; egli stesso vi
consacra col crisma di salvezza, perché inseriti in Cristo, sacerdote,
re e profeta, siate sempre membra del suo corpo per la Vita eterna Amen»
(Preghiera
dell’unzione crismale durante il Rito del battesimo),
Con queste parole che la Chiesa ha pronunciato quando ci accolto nel
momento del nostro battesimo e più precisamente durante l'unzione
col crisma siamo tutti diventati re, sacerdoti e profeti perché
inseriti in Cristo e quindi siamo diventati 'abili'
• a lavorare per lo sviluppo del suo Regno, già qui in terra,
• a 'profetizzare': essere coscienza critica , evangelica verso il
mondo, e verso la Chiesa perché la sua Parola sia sempre più
segno di contraddizione e di salvezza
• a offrire noi stessi, il nostro quotidiano, la nostra vita come preghiera
al Padre; siamo abili ad esercitare il culto, a pregare ufficialmente nella
Comunità cristiana
Questo non perché siamo i migliori, ma perché ci è
stato donato dal Cristo Unico Re sacerdote e profeta.
S. Tommaso precisa che con la cresima, che noi tutti abbiamo ricevuto,
il sacerdozio comune dei fedeli è perfezionato in tal modo da rendere
il cresimato capace di professare pubblicamente la fede, quasi per un incarico
ufficiale (quasi ex officio) (S.
Tommaso, Summa Theologica, III, 72, 5, ed 2 ; cfr. CCC 1305).
Il Concilio Vat. II nella Costituzione sulla Chiesa Lumen Gentium al
paragrafo 31 afferma che noi fedeli laici veniamo considerati partecipi
della triplice funzione di Cristo, re, sacerdote e profeta, in quanto a
Lui incorporati col battesimo e costituiti Popolo di Dio: «…i
fedeli, cioè, che dopo essere stati incorporati a Cristo col battesimo
e costituiti popolo di Dio e nella loro misura, resi partecipi dell’ufficio
sacerdotale, profetico e regale di Cristo, per la
loro parte compiono, nella Chiesa e nel mondo, la missione propria di tutto
il popolo cristiano».
Lo stesso documento ai paragrafi decimo ed undicesimo tratta del sacerdozio
comune dei fedeli e di come viene esercitato nei sacramenti. Si afferma
chiaramente l’esistenza di un sacerdozio comune e di uno ministeriale,
derivanti dall’unico Sacerdozio di Cristo ed ordinati vicendevolmente l’uno
all’altro: «Cristo Signore, pontefice assunto di mezzo agli uomini(
Eb.5, 1-5) fece del nuovo popolo ‘un regno e sacerdoti per il Dio e
Padre suo’ (AP.1,6)……. infatti i battezzati vengono consacrati per
formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo, per offrire mediante
tutte le attività del cristiano, spirituali sacrifici.»
Nell’ A.T. il problema del sacerdozio comune dei fedeli può
essere visto in Es.19,5 :«Ora se vorrete
ascoltare la mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me
la proprietà fra tutti i popoli, perché mia è tutta
la terra! Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa»
(cfr.
IS 61,6 ; Ap.1,6- 5,10; 1 Pt 2,9); a tale brano dell’Esodo
si rifà anche la prima lettera di Pietro (1 Pt.2,9): «ma
voi
siete la stirpe eletta, il
sacerdozio regale, la nazione
santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami
le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato…»
Rispetto a Es. 19,6 si è passati dalla promessa all’attuazione:
il progetto di Dio si è realizzato; non perché gli uomini
hanno osservato la Legge , ma perché la Promessa si è realizzata
nel mistero pasquale del Cristo. Agli uomini non resta che aderirvi con
la fede.
Se la prima lettera di Pietro parla di sacerdozio regale, l’Apocalisse
parla di «regno e sacerdoti» (Ap.1,6-5.9-10).
In questi testi è sottolineata la regalità e il sacerdozio
dei cristiani, ma con una prospettiva escatologica: si realizzerà
pienamente alla fine dei tempi anche se già fin d’ora i cristiani
hanno dignità sacerdotale e regale, partecipata a loro da Cristo:
bisogna sempre considerare il genere apocalittico di riflessione religiosa
sulla storia umana, che ha il suo Alfa e Omega in Cristo.
Questo nuovo Popolo sacerdotale, la Chiesa , quindi noi ha come
culmine del suo essere 'Popolo offerto ' o ' comunità orante ' la
Messa dove insieme al Ministro Ordinato, il prete, che presiede, celebra
il memoriale del Signore, il sacrificio eucaristico.
Noi popolo radunato e celebrante siamo inseriti nella forza
del mistero: agiamo ‘con’ e prendiamo ‘parte’ a questa presenza del Signore
crocifisso e Risorto, fondamento della celebrazione (Cfr.
Meneghetti A.,I laici fanno liturgia, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo,
1989).
Dopo la riscoperta, avvenuta col Concilio Vaticano II, della
sacerdotalità fondamentale di noi laici abbiamo una comunità
cultuale non più bipolare : prete che fa e popolo che assiste:
ma l’assemblea come luogo della presenza del Cristo , segno visibile
della Chiesa, che fa memoriale dell’Ultima Cena secondo il comando di Gesù
(cfr.
Principi e Norme per l’uso del Messale romano n. 7).
Ognuno di noi partecipa dell’offerta del Cristo nell’Eucaristia
, unendo se stesso, per dono di Dio e non per propri meriti personali,
all’Unico Sacrificio. L’apporto storico, concreto , personale di ognuno
è accolto (simbolicamente, nell’offerta dei doni pane e vino) e
consegnato a Cristo: nella celebrazione entra a far parte della Storia
della Salvezza passata , presente e futura.; offerta e trasformazione
cosmologica: la terra, i suoi frutti, l'uomo , noi siamo offerti al
Padre nel Cristo, che nella Comunione ci viene ridonato; è un cerchio
che si chiude: è una 'preghiera' cosmica che si
ripete ogni volta nel Cristo offerto al e dal Padre.
Il soggetto della liturgia è ‘l’Ecclesia’, la comunità cristiana
Papa Paolo VI nel settimo paragrafo dell’Introduzione al Messale Romano,
afferma: « […] Cristo è realmente presente nell’assemblea
dei fedeli riunita nel suo nome, nella persona del ministro, nella
sua Parola e in modo sostanziale e permanente sotto le specie eucaristiche».
Il 3 aprile 1969, giovedì della Cena del Signore, Papa Paolo
VI firmava la costituzione apostolica con cui promulgava il Messale Romano
riformato a norma del Concilio ecumenico Vaticano II. Inoltre viene sottolineato
che: «La celebrazione dell’Eucarestia è […] azione di tutta
la Chiesa; in essa ciascuno compie soltanto , ma integralmente, quello
che gli compete, tenuto conto del posto che egli occupa nel popolo di Dio….
[....] ..popolo, che in Cristo, rende grazie per il mistero della salvezza,
offrendo il suo sacrificio….».(cfr.
S.C: n.11)
Il capitolo secondo del PNMR al paragrafo quattordicesimo sottolinea
quanto sopra evidenziato: «Poiché la celebrazione della
Messa, per sua natura, ha carattere “comunitario”, grande rilievo assumono
i dialoghi tra il celebrante e l’assemblea dei fedeli e le acclamazioni.»
(cfr.
S.C: n.30)
L’analisi dei testi, il commento teologico pastorale dell’introduzione
al Messale stesso, hanno fatto emergere che la Chiesa, ‘Comunità
dei fedeli ’ , celebra l’eucaristia: la forma dialogica, i verbi al plurale,
il popolo santo sempre richiamato come compartecipe all’offerta del pane
e del vino sacramento del Cristo, morto e risorto.
La celebrazione dell’Eucaristia è infatti azione di
tutta la Chiesa, popolo di Dio, «..popolo, che in Cristo,
rende grazie per il mistero della salvezza, offrendo il suo sacrificio….».(cfr.
S.C: n.11)
Paolo VI nella Costituzione Apostolica con cui promulga l’Ufficio
Divino secondo il Concilio Vaticano II , al paragrafo ottavo, afferma anche
che: «l’intera vita dei fedeli […..] attraverso le singole ore
del giorno e della notte, è quasi una ‘leitourgia’, mediante la
quale essi si dedicano in servizio di amore a Dio e agli uomini, aderendo
all’azione di Cristo che con la sua dimora tra noi e con l’offerta di se
stesso, ha santificato la vita di tutti gli uomini.»
L’offerta eucaristica, memoriale della morte e resurrezione
del Cristo è estesa a tutte le ore della giornata dalla Liturgia
delle Ore; anche noi laici siamo invitati a compiere la missione della
Chiesa, celebrandone qualche parte (Cfr.
Principi e Norme per la Liturgia delle Ore). Questa santificazione
della giornata, offerta al Padre nel Cristo, si basa sulle parole di Gesù
alla Samaritana: «E’ giunto il momento ed è questo in cui
i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e verità ».
(Gv.4, 23).
Come si vede in tutta la liturgia della Chiesa e non solo
nella Messa è presente l’aspetto sacerdotale del Popolo di Dio,
fondato sull’incorporazione a Cristo col Battesimo.
Il contributo della ‘Teologia dei Misteri’.
La ‘Teologia dei misteri’ (cfr.
CASEL O., Il mistero del culto cristiano, Borla Torino, 1966)
ha aiutato la riflessione sul culto e la ritualità della Chiesa.
Bisogna innanzitutto precisare che per culto non si intende un rito
inteso soprattutto magicamente, ma il servizio di tutto l’uomo, della comunità,
la Chiesa, per l’adorazione di Dio in risposta alla sua Parola e
alla sua azione salvifica. Opera salvifica di Cristo, che la stessa
lettera agli Ebrei considera da un punto di vista segnatamente
Questo risulta chiaro dalla celebrazione dell’Ultima Cena. “Fate
questo in memoria di me”: questo comando del Cristo fa della Chiesa
la comunità che offre al Padre simbolicamente - realmente (sacramentaliter),
il corpo e il sangue del Figlio.
Come è possibile che la presenza dell’azione salvifica del Cristo
diventi concreta per noi?
Come possiamo farla nostra con la ‘riproduzione’ sacramentale?
La ‘teologia dei misteri’ che si occupa della realizzazione della salvezza
attraverso il culto cerca di rispondere a queste domande.
«Lo stesso evento che si è verificato una volta, storicamente,
nel passato, è presente sotto il velo simbolico cultuale come evento
reale in atto di svolgimento» (WARNACH
V., Il mistero di Cristo. Una sintesi alla luce della teologia dei misteri.
Ed. Paoline , Roma, 1993, pag.191).
Si può parlare di una liberazione spazio - temporale, attuata
con la fede tramite il rito celebrato, che rende presenti i partecipanti
alla liturgia all’azione salvifica di Cristo , alla sua morte e Resurrezione
e li inserisce in essa. Il sacramento contiene effettivamente l’opera
salvifica, la traspone nello spazio e nel tempo senza mutarla nel suo essere
‘trascendentale’ e senza ripeterla. Lo Spirito rende presente nella
liturgia l’opera redentrice del Mistero Pasquale perché ogni uomo,
di ogni tempo e luogo, ne sia partecipe.
L'essere marito e moglie : esistenza umana e liturgica
"Il patto matrimoniale con cui l'uomo e la donna stabiliscono
tra loro la comunità di tutta la vita… ..tra i battezzati
è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento"
facciamo un ulteriore passo, da matrimonio sacramento naturale a sacramento,segno
di amore tra Cristo e la sua Chiesa.
Innanzitutto dobbiamo considerare che il patto è tra
due battezzati, due persone, che in quanto incorporate a Cristo con il
Battesimo sono in Lui, re, sacerdoti e profeti; per cui anche nell'atto
di scegliersi, accogliersi come partner uno per l'altro compiono un gesto
sacro. E' per questo motivo che anche il nuovo codice di diritto canonico,
del 1983, riprendendo pari pari quello vecchio, successivo al Concilio
di Trento afferma che "pertanto tra i battezzati non può sussistere
un valido contratto matrimoniale che non sia per ciò stesso sacramento"
(can 1055 c.2).
La sacramentalità è la forma specifica del contratto
matrimoniale tra battezzati: ogni consenso matrimoniale tra due persone
cristiane, battezzate è, in quanto espressione di due battezzati,
sacramento dell'amore di Cristo per la Chiesa.
Il consenso dei coniugi diventa perciò pronunciato insieme
a Gesù, Unico Sacerdote; è quindi, innanzitutto, un atto
religioso, liturgico. Il loro scegliersi, accogliersi, accettarsi diventa
un riconoscere il disegno del Padre su di loro, un mettere nelle Sue mani
questo progetto di coppia, ringraziandolo e chiedendo la sua
benedizione su di essi. Si potrebbe quasi arrivare a dire che il SI
che gli sposi reciprocamente si dicono è come l'Amen
che tutta la comunità ecclesiale fa dopo il "Per Cristo , con
Cristo ed in Cristo a te Dio Padre onnipotente …..", al termine della
Preghiera eucaristica dove nei segni del pane e del vino ,trasformati nel
Cristo morto e risorto , viene anche offerta e trasformata dallo Spirito
la quotidianità di ogni persona , per essere dono al Padre
e ai fratelli.
A tal riguardo il Concilio Vaticano II nella Costituzione Dogmatica
'Lumen Gentium' sulla Chiesa al n.11 , dove analizza come il sacerdozio
comune dei fedeli si attui nei vari sacramenti, conclude che "infine
i coniugi cristiani, in virtù del sacramento del matrimonio col
quale significano e partecipano il mistero di unità e di fecondo
Amore che intercorre tra Cristo e la Chiesa,( cfr. Ef.5, 31-32) si
aiutano a vicenda per raggiungere la santità nella vita coniugale,
accettando ed educando la prole , essi hanno così, nel loro
stato di vita e nella loro funzione, il proprio dono in mezzo al popolo
di Dio."
Si può affermare che la prima preghiera, non solo personale,
ma liturgica e quindi ecclesiale, del Popolo di Dio per due sposi è
quello di vivere intensamente il loro legame famigliare: la Familiaris
Consortio (F.C.) al numero 56 dice:"Il matrimonio cristiano è
in se stesso un atto liturgico di glorificazione di Dio in Gesù
Cristo e nella Chiesa….. dallo stesso sacramento discendono la grazia
e l'impegno morale di trasformare tutta la loro vita in sacrificio
spirituale". E' opportuno ricordare che la tradizione della
Chiesa, sia i Padri che i teologi, vede nel sacerdozio dei fedeli non una
metafora, ma una realtà; per essi infatti ‘spirituale’ non significa
metaforico, figurato, ma una realtà in rapporto con lo Spirito Santo.
(Cfr.
: ORIGENE, Omelie sul Levitico , cap.9.9, Città Nuova editrice,
Roma, 1985, pagg. 225-229 ; PIER CRISOLOGO, Sermo 8 , in PL
52, 499-500 ; TERTULLIANO, De exortatione castitatis 7; S. AGOSTINO, De
Civitate Dei, lib. XX cap X; PL41, 67; S. Tommaso, Summa Teologica
q.63 art.3). Spirito Santo che trasforma ogni nostro atto
umano e lo incorpora al Cristo: si può dire che i nostri gesti
quotidiani, fare da mangiare, stirare, lavorare dentro e fuori casa, accudirsi
dei figli e del partner sono preghiera, sono il primo servizio a cui gli
sposi sono chiamati per se stessi e per tutta la comunità
cristiana; San Paolo diceva "sia che mangiate, sia che beviate….tutto
fate nel nome del Signore"(1 Cor. 10,31).
“per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre
e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola” questo
mistero è grande;..lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa”
(S.Paolo agli Efesini cap.5,31-32).
San Paolo in questo brano alla comunità cristiana di Efeso vola
alto, esprime il grande mistero che scaturisce dall'unione sponsale dell'uomo
con la sua donna, che viene assunto da Cristo come segno efficace del suo
Amore per la Chiesa, per gli uomini…"Cristo ha tanto amato il mondo
da dare la sua vita per noi" .
Da tutte queste riflessioni scaturisce la bellezza e la responsabilità
degli sposi, verso se stessi, innanzitutto; nei confronti degli altri fratelli
nella Chiesa e verso il mondo.: gli sposi , infatti
diventano, sono segno uno all'altro dell'amore di Cristo,
amore totale, misericordioso che finisce sulla Croce; sono Eucaristia
vivente corporale, e i due saranno una sola carne, dell'amore di
Dio Padre verso l'uomo, amore che si concretizza nel dono pasquale di suo
Figlio, sono segno vivente del Dio Padre, Figlio e Spirito Santo
che nell'amore unisce le diversità, fino a diventare Uno.
Da qui scaturisce che il consenso matrimoniale, il prendersi, scegliersi
deve necessariamente, gioiosamente diventare unione delle persone nei corpi,
unione che non diventa più rimedio della concupiscenza ( o
come diceva il vecchio codice di diritto canonico “ il contratto col
quale due persone di sesso diverso atte a contrarre, si conferiscono vicendevolmente
il diritto esclusivo e irrevocabile sui loro corpi al fine di educare e
procreare figli” ) ma espressione umana dell'amore divino.
La Gaudium
et Spes al riguardo è molto bella, infatti al secondo comma del
n.11 afferma:"un tale amore unendo insieme valori umani e divini,
conduce gli sposi al libero e mutuo dono di se stessi, che si esprime mediante
sentimenti e gesti di tenerezza e pervade tutta quanta la vita dei
coniugi; anzi diventa più perfetto e cresce mediante il generoso
suo esercizio…….( omissis) … ne consegue che gli atti con cui gli sposi
si uniscono….favoriscono la mutua donazione che essi significano ed arricchiscono
vicendevolmente nella gioia e nella gratitudine gli sposi stessi".
San Benedetto dice che uno è veramente Monaco se guadagna il
pane col sudore delle proprie mani. Questo ci fa sentire anche noi
laici, 'Monaci nel mondo' dove lavoriamo, preghiamo e siamo
obbedienti non ad una regola e ad un superiore, ma alla vita stessa, alla
nostra moglie e/o marito, ai nostri figli e a quanto la Provvidenza ci
presenta nella fatica di ogni giorno.
"Padre santo custodiscili nel tuo nome, che mi hai dato affinché siano uno come noi……non prego soltanto per questi, ma anche per coloro che crederanno in me tramite la loro parola: che siano uno; come tu o Padre, in me e io in te, anch'essi siano una cosa sola in noi, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato." (GV.17,11b…20-21)
Dentro o fuori
"Tutti invero asseriscono di essere discepoli del Signore, ma hanno
diverse opinioni e camminano per vie diverse, come se Cristo stesso fosse
diviso. Tale divisione non solo contraddice apertamente alla volontà
di Cristo, ma anche è di scandalo al mondo e danneggia la santissima
causa della predicazione del vangelo ad ogni creatura.” (Decreto
conciliare sull'ecumenismo Unitatis Redintegratio del 21 /11/1964 n.1d'ora
in poi U. R .). Con queste parole i padri conciliari
hanno posto al centro dell’attenzione della Chiesa il tema dell’ecumenismo.
L’incontro di stasera si inserisce all’interno della Settimana Ecumenica
per l’unità dei Cristiani e vuole proseguire quanto iniziato negli
incontri dei mesi scorsi; quello dell’ecumenismo è un tema importante
anche se può sembrare difficile, perché occorre chiedersi
di fronte allo sviluppo del movimento ecumenico odierno, che cosa dobbiamo
pensare?
Tutti noi ricordiamo gli anni in cui esistevano soltanto due alternative:
o si era "dentro, o si era "fuori" della Chiesa cattolica. Con questo “essere
dentro” la Chiesa spesso poneva in risalto una identità cattolica,
che era il risultato di un processo di distinzione e di arroccamento, e
di tranquilla sicurezza per la verità posseduta.
L’affermazione “Extra ecclesia nulla salus” (fuori della
Chiesa non c’è salvezza) deve essere intesa nel suo modo più
vero; dobbiamo chiederci quale Chiesa, o meglio non possiamo pensare
che la Chiesa Cattolica realizzi pienamente quella che è la Chiesa
di Cristo, ovvero che anch’essa non abbia bisogno ogni giorno di un atteggiamento
di conversione per essere come Cristo la vorrebbe.
Oggi, inoltre, i limiti confessionali sono meno marcati: un cattolico
del Medioevo nei suoi contatti con i cristiani dell’oriente e ancor più
del nord Europa protestante incontrava e vedeva un nemico, pronto a negare
la supremazia, troppe volte “divinizzata”, del Papa; in seguito durante
l'epoca delle missioni, i cattolici scoprirono negli "altri" numerose convergenze
e, soprattutto sul piano morale scoprirono che i buoni e i cattivi non
erano classificabili in base ai confini confessionali: spesso il "buon
pagano" diviene un problema teologico e morale per coloro che erano abituati
a considerare la bontà e la verità come patrimonio esclusivo
della propria identità cattolica; il comportamento, infatti, di
molte persone al di fuori dei confini visibili della Chiesa, costituiva
un autentico rimprovero per coloro che vi appartenevano. Il pensiero che
l'uomo può fare il bene soltanto con l'aiuto di Dio, difficilmente
si concilia con la constatazione palese della operatività della
stessa grazia, e dello stesso Dio in mezzo a coloro che sono al di fuori
della Chiesa.
La tendenza era quella di seguire una logica riduttiva della fede,
anziché quella di percorrere la via della ricchezza e della complementarietà
dello stesso deposito della fede.
Fu proprio il Vaticano II come abbiamo visto a cercare un atteggiamento
nuovo nei confronti delle altre confessione cristiane elaborando una propria
metodologia per un fruttuoso dialogo, non solo con l'oriente, ma anche
con l'occidente cristiano; nonché con i credenti di altre religioni
e con i non credenti.
Breve storia dell’Ecumenismo
Dal punto di vista etimologico il termine ecumenismo deriva dal termine
greco oikoumene e significa "casa comune",
"casa abitata". In senso ampio poi "terra abitata", "mondo
abitato". In senso cristiano l'uso del termine inizia a partire dal
IV sec. ed è sinonimo di "universale". Passerà poi a designare
la "Chiesa universale", e la "totalità della Chiesa" sparsa nel
mondo.
Nei nostri giorni, pur conservando il senso etimologico e storico
di "casa comune", di "Chiesa universale", il termine ha acquistato il
significato specifico di "movimento" per ricomporre l'unità delle
Chiese. In questo senso viene recepito anche dal Vaticano II, il quale
afferma: "Per 'Movimento ecumenico' si intendono le attività
e le iniziative che, a seconda delle varie necessità della Chiesa
e opportunità dei tempi, sono suscitate e ordinate a promuovere
l'unità dei cristiani, come sono: in primo luogo, tutti gli
sforzi per eliminare parole, giudizi e opere che non rispecchiano con equità
e verità le mutue relazioni con essi; poi, in congressi che si tengono
con intento e spirito religioso, tra Cristiani di diverse Chiese o Comunità,
il 'dialogo' avviato tra esponenti debitamente preparati, nel quale ognuno
espone più a fondo la dottrina della propria comunità e ne
presenta con chiarezza e caratteristiche" (U.R.
n.4).
Si è passati così da una visione statica e geografica
della universalità della Chiesa a una visione dinamica: universalità
da ricomporre con la collaborazione attiva di tutte le Chiese e attraverso
la partecipazione di tutti i mèmbri delle rispettive Chiese.
Dal punto di vista storico, il movimento ecumenico ha una origine piuttosto
recente. Risale a meno di un secolo fa e si è sviluppato inizialmente
nelle Chiese protestanti, investendo via via il mondo ortodosso e quello
cattolico.
In seno al Protestantesimo, il movimento ecumenico si può datare
all'inizio del nostro secolo, quando iniziano le prime Associazioni generali,
che sfoceranno poi, con la Conferenza di Amsterdam, del 1948, nel Consiglio
Ecumenico delle Chiese.
Nelle Chiese ortodosse, il primo documento ufficiale sull'ecumenismo
risale agli inizi del secolo ed è una lettera di Gioacchino III,
patriarca di Costantinopoli, con la quale si invitano le Chiese ortodosse
a stabilire tra loro una maggiore unità.(1925)
Anche la Chiesa cattolica ha fatto sentire più volte la sua
voce per richiamare i cristiani all'unità sia con atti ufficiali,
sia incoraggiando iniziative ecumeniche. Si interessano al problema vari
concili, quello di Bari (1098), di Lione (1274), di Firenze
(1438).
Ma fu a partire dal 1959, in seguito alla elezione di Papa Giovanni
XXIII, che la Chiesa cattolica ha dato un contributo notevole alla causa
dell'unità. Nel 1960 il Papa costituisce il "Segretariato per
l'unione dei cristiani", prima come organismo conciliare poi come organismo
permanente della Chiesa cattolica (1964). Gli appelli all'unità
preconciliari, occorre riconoscerlo, erano appelli al "ritorno". Ritorno
alla Chiesa di Roma senza specificarne i modi e presupponendo sempre l'immobilità
da parte di Roma e il movimento delle altre Chiese verso di essa. In questo
contesto era chiaro che gli appelli cadessero nel vuoto o fossero addirittura
controproducenti, nonostante la buona volontà.
L'ecumenismo dopo il Concilio Vaticano II
Si deve arrivare al Vaticano II e precisamente al Decreto Unitatis
Redintegratio, con quale la Chiesa cattolica, mentre da una parte fissa
i suoi criteri ecumenici, dall'altra apre all'ecumenismo nuovi orizzonti.
In
questo Decreto infatti non si parla più di "ritorno", ma della necessità
di ricomporre l'unità visibile della Chiesa di Cristo da promuoversi
da tutti i cristiani. Il movimento verso l'unità è un
movimento che coinvolge tutte le Chiese e tutte, dalla loro parte, dovranno
porre ogni sforzo perché vengano rimossi tutti gli ostacoli per
il conseguimento di questo scopo.
Oggi, superate le vie dimostratesi insufficienti, si fa strada una
presa di coscienza comune: la conversione delle Chiese a Cristo e in
Lui ritrovare la piena comunione. Non più "ritorno" delle
Chiese verso Roma, ne "conversione" delle Chiese le une verso le altre,
ma conversione verso" e "unità in" Cristo. A questo
fine tutti sono invitati e tutti devono dare il loro contributo.
Per spiegare meglio quanto finora detto mi pare importante guardare
al cammino ecumenico come a una ruota a raggi dove il centro, il perno
rappresenti il Cristo; più la Chiesa Cattolica e le altre chiese
saranno in grado di rivolgere il loro sguardo ed indirizzare il loro cammino
verso Cristo, più si avvicineranno tra di loro come i raggi di una
ruota che più si avvicinano al perno più le distanze che
li separano si riducono fino ad annullarsi.
Il Concilio, dopo aver riconfermato che la Chiesa cattolica è
il luogo nel quale è presente ed agisce la pienezza di Cristo "Mediatore"
e "via della salute", afferma che la stessa Chiesa "sa di essere per più
ragioni congiunta" con i fratelli cristiani appartenenti alle altre Chiese
e Comunità ecclesiali, e anche con coloro che pur non avendo ancora
ricevuto il Vangelo, “in vari modi sono ordinati al Popolo di Dio"(cfr.
LG n. 14;15;16).
Ecco nasce un nuovo modo di porsi: la Chiesa cattolica non è
più in difesa, arroccata su se stessa, ma in ascolto e in dialogo
sia con i credenti in Cristo per ritrovare con loro la piena espressione
dell'unica fede, e sia con i non credenti per scoprire la presenza dello
Spirito Santo che, nonostante tutto, è in opera in mezzo a loro.
Infatti, "il disegno della salvezza abbraccia" tutti gli uomini e tutti
i popoli, e conseguentemente "tutto ciò che di buono e di vero si
trova in loro" deve essere "ritenuto dalla Chiesa come una preparazione
ad accogliere il Vangelo, e come dato da Colui che illumina ogni uomo,
affinché abbia finalmente la vita" (LG
n. 16).
Cosa è l’ecumenismo?
L'ecumenismo non è un precipitato di religioni, un sincretismo,
non è una mescolanza che assicura l'unione di tutti valori ecclesiali
in un unico complesso in cui le parti sussistono senza mutazione intrinseca;
oppure la combinazione in cui spariscono ambedue le confessioni per formarne
una nuova, essenzialmente diversa. Nè una federazione più
o meno imprecisa di Chiese, basata su alcuni punti comuni e sostenuta da
un clima di mutua collaborazione. L'ecumenismo non è una super-Chiesa,
la cui finalità consista nell'abbracciare le grandi ramificazioni
del cristianesimo: l'ortodossia, il protestantesimo e il cattolicesimo,
in una convivenza pacifica e in una collaborazione di carità.
L'ecumenismo è la ricerca inquietante e dolorosa, sferzante
le certezze di tutti e di ciascuno, da parte di tutte le Chiese dell'autentica
unità che Cristo auspicò e desiderò per la sua Chiesa.
Tre cerchi per un dialogo
L'ecumenismo che, comporta da un lato, una dottrina e dall'altro,
una prassi consapevolmente vissuta, è innanzitutto quel movimento
che assume il dialogo, come l'unica metodologia per l'unità cristiana.
Papa Paolo VI, sulle orme di Giovanni XXIII, che indirizzò la sua
enciclica "Pacem in Terris" a tutti gli uomini di buona volontà,
ha incamminato la Chiesa Cattolica sulla via del dialogo a livello universale.
Nella enciclica "Ecclesiam Suam" afferma che il dialogo è
un "atteggiamento che la Chiesa Cattolica deve assumere in quest'ora
della storia del mondo". Atteggiamento radicato nella coscienza più,
profonda dell'uomo, poiché l'uomo in realtà è un dialogo
permanente. Essere uomo è dialogare con la realtà integrale:
con il mondo che ci circonda, con gli altri uomini e con Dio.
L'Enciclica presenta il dialogo in tre cerchi concentrici. Il
primo è un cerchio immenso, i cui limiti si confondono con quelli
dell'umanità: è il dialogo con i non-credenti, poiché
"tutto ciò che è umano ci riguarda"; il secondo cerchio
è il cerchio dei credenti delle grandi religioni, "gli uomini
che adorano, il Dio, quale anche noi adoriamo (ebrei, musulmani e i seguaci
delle religioni orientali) poiché, anche se non possiamo "condividere
queste varie espressioni religiose ne possiamo rimanere indifferenti, quasi
che tutte a loro modo sì equivalessero" non possiamo ne "vogliamo
rifiutare il nostro rispettoso riconoscimento ai valori spirituali e morali
delle varie confessioni religiose non-cristiane; vogliamo con esse promuovere
e difendere gli ideali che possono essere comuni nel campo della libertà
religiosa, della fratellanza umana, della cultura, del sociale e dell'ordine
civile".
In terzo luogo, il cerchio più vicino, del mondo che si rifà
a Cristo: i cristiani non-cattolici; il dialogo con i fratelli deve basarsi
sul principio di Giovanni XXIII: "Mettiamo in evidenza anzitutto ciò
che ci accomuna, prima di notare ciò che ci divide", che non
è, dall'altro canto, né irenismo ne sincretismo né
compromesso nella fede.
Così inteso l'ecumenismo si potrebbe definire unitarietà
dialogica. In quanto unitarietà si allinea a molti altri
tentativi già registrati nella storia; in quanto dialogica, è
qualcosa che la Chiesa propone per la prima volta in forma ufficiale. Sta
qui la sua caratteristica. Il dialogo è, in definitiva, l'elemento
specifico che caratterizza l'ecumenismo.
Unitatis Redintegratio
Nel proemio al Decreto “Unitatis Redintegratio” si legge: "Ora
il Signore dei secoli, il quale con sapienza e pazienza persegue il disegno
della sua grazia verso di noi peccatori, in questi ultimi tempi ha incominciato
a effondere con maggiore abbondanza nei cristiani tra loro separati l'interiore
ravvedimento e il desiderio della unione. Moltissimi uomini in ogni dove
sono stati toccati da questa grazia dello Spirito Santo, un movimento ogni
giorno più ampio per il ristabilimento dell'unità di tutti
i cristiani" (U.R. n° 1b).
Questa sofferta aspirazione all'unità e alla pienezza in consonanza
con il desiderio di Cristo che "tutti siano uno" e con il comandamento
del Salvatore "Perciò andate, fate diventare miei discepoli tutti
gli uomini del mondo; battezzateli nel nome del Padre, del Figlio e dello
Spirito Santo", costituisce una parte essenziale dell'ecumenismo, che
affonda le sue radici nel cuore stesso del messaggio cristiano.
I lunghi secoli di divisione che hanno segnato e, purtroppo, continuano
a segnare il nostro comune essere Christi fideles (fedeli di Cristo) hanno
visto esprimersi diversi atteggiamenti da parte della Chiesa Cattolica;
ricordarli qui ed oggi è un modo per esprimere la propria richiesta
di perdono e per cogliere con quanta sofferenza oggi si sia giunti ad un
nuovo modo di porsi, per capire e cogliere quanto importante sia procedere
ed incoraggiare i fratelli più dubbiosi in questo percorso.
Non possiamo dimenticare i periodi della cosiddetta “Controversia
polemica”, il cui metodo consiste nel sottolineare ciò che separa
invece di ciò che unisce: significativo è il nome ("polemico"
deriva dal greco "polemos", guerra); qui non si tratta di convincere, ma
di vincere e per questo si usano tutti i mezzi disponibili, degni e meno
degni: si usa l'ironia e a volte la diffamazione.
Da quei momenti terribili molta acqua è passata sotto i ponti
ed oggi, la Chiesa cattolica nel dialogo con le Chiese e Comunità
ecclesiali ha elaborato una serie di criteri metodologici per una corretta
impostazione delle questioni che dividono i cristiani, in vista della ricomposizione
dell'unità visibile della Chiesa di Cristo. Questi criteri,
certo, non sono risolutivi per se stessi, ma indubbiamente permettono di
affrontare in un modo nuovo e maturo il contenzioso che divide tutt'ora
le Chiese cristiane; soprattutto quelle questioni che sono più legate
al metodo che non alla sostanza delle cose.
1. “Il modo e il metodo di enunciare la fede cattolica non deve
in alcun modo essere di ostacolo al dialogo con i fratelli. Bisogna assolutamente
esporre con chiarezza tutta intera la dottrina” (UR 11).
2. I teologi cattolici "nel mettere a confronto le dottrine si ricordino
che esiste un ordine o 'gerarchia' nelle verità della dottrina cattolica
essendo diverso il loro nesso col fondamento della fede cristiana"
(UR 11).
3. Viene sottolineata la distinzione tra la fede e le formulazioni
dottrinali. Il modo di enunciare una dottrina, infatti, "non deve essere
assolutamente confuso con lo stesso deposito della fede" (UR 6).
4. La complementarietà tra le varie accentuazioni dottrinali:
è possibile "che alcuni aspetti del mistero rivelato siano talvolta
percepiti in modo più adatto e posti in miglior luce dall'uno che
non dall'altro, cosicché si può dire allora, che quelle varie
formule teologiche non di rado si completino, piuttosto che opporsi"
(UR 17).
Conclusioni
Al termine di questo incontro, come è nostra caratteristica dobbiamo chiederci quale sia per noi l’indicazione principale: innanzitutto vorrei partire dalle parole di Giovanni XXIII che costituiscono ancora oggi un insegnamento ed uno stimolo per tutti e non solo in vista di un cammino ecumenico: "Mettiamo in evidenza anzitutto ciò che ci accomuna, prima di notare ciò che ci divide"; solo con questo atteggiamento potremo davvero porci alla sequela di Cristo; in secondo luogo l’idea che non siamo possessori della Verità, né che la Verità non esista. Noi la Verità, la conosciamo, la cerchiamo, la annunciamo e la proclamiamo, come essa stessa ha voluto essere annunciata e proclamata con le braccia aperte di un crocifisso, aperte ad abbracciare il mondo, anche chi questa Verità pare voler rifiutare.
Nei primi due incontri abbiamo parlato del sacerdozio comune di
tutti i fedeli e di come questo diventi 'offerta spirituale ' di
ogni persona, e attraverso di lui di ogni realtà al Padre nel Cristo
per opera dello Spirito: .. "Per Cristo con Cristo in Cristo a te Dio
Padre onnipotente nell'unità dello Spirito Santo…" (Dossologia
finale delle Preghiere eucaristiche) .[ "La creazione
stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio….( Rm. 8,19)
]. A Gennaio Claudio ha considerato l'aspetto ecumenico, nella
settimana dell'Unità dei cristiani. Oggi cerchiamo di approfondire
che questi doni dello Spirito ricevuti nel Battesimo e confermati nella
Cresima sono doni ricevuti nella Chiesa.; pertanto cercheremo di cogliere
gli aspetti fondamentali o teologici di ciò che la Chiesa è
e la rende comunità cristiana.
Queste brevi riflessioni di stasera sono suddivise in tre punti: innanzitutto
una riflessione teologica sulla Chiesa, poi un breve excursus sulla figura
dei laici nella Storia della Chiesa per finire considerando due modi storici
di vivere l'essere Chiesa da laici ; entrambi iniziati a cavallo dei due
nuovi millenni: le Confraternite intorno all'anno mille e le Comunità
Ecclesiali di Base alla fine del novecento.
Ma essere qui , in Chiesa dopo questo momento di Preghiera, come ogni
giovedì, di fronte a quest'icona della Pentecoste, segno della Chiesa
, come noi qui radunati, segno vivo, storico ed anche simbolico della Comunità
Cristiana mi porta a vivere questa riflessione in modo diverso, come un
'aiuto a riflettere su chi siamo noi, su perché siamo qui,
da venticinque anni a pregare, a presentare la nostra vita quotidiana ,
al Padre, nella preghiera , uniti al Cristo, tentando di trasformare, non
solo socialmente o per impegno politico, ma teologicamente il mondo, la
realtà che ci circonda perché sia sempre più
vicina al progetto del Regno .
Col teologo Severino Dianich si può affermare che l'atto
primordiale che fonda la Chiesa è "l'incontro di due o
più persone fra le quali corre la comunicazione della fede in Gesù
Risorto e Signore"; possiamo dire che "dove due
o tre sono riuniti nel mio nome Io sono in mezzo a loro"; è
il riunirsi in nome di Cristo morto, ma risorto e vivo tra noi che fonda
la Chiesa. .
L'incontro col Risorto, e la condivisione
di tale incontro con i fratelli è lo specifico dell'essere Chiesa.
Qui casca l'asino, si potrebbe dire. Ho veramente incontrato
Cristo nella mia vita? Ne faccio condivisione coi fratelli? Come è
avvenuto questo incontro?…
Ognuno di noi ha sicuramente le sue risposte, in base alla propria
esperienza e storia personale. Ma con gli occhi della fede e nell'
ascolto della Parola dobbiamo ricordarci che l'iniziativa parte sempre
dal Cristo: "passando lungo il mare della Galilea, vide Simone e Andrea,
fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare;… Gesù disse
loro: Seguitemi,….E subito lasciate le reti lo seguirono." (Mc. 1,16ss).
La Chiesa dunque si costituisce per la fede nel Cristo dei suoi componenti,
, di ognuno di noi. Il prologo della Prima lettera di Giovanni ci
fornisce lo schema fondamentale per la lettura dell'evento Chiesa (cfr.
Severino Dianich "La Chiesa mistero di comunione" pag.10):
"Ciò che era fin dal principio,
ciò che noi abbiamo sentito, ciò che abbiamo visto con i
nostri occhi, ciò che abbiamo contemplato e le nostre mani hanno
toccato del Verbo della Vita…. Noi ve lo annunciamo, anche a voi, affinché
anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è comunione
con il Padre e con il suo Figlio Gesù Cristo"!
(Gv. 1, 1-4).
Questa Parola di Dio mi fa nascere questi sentimenti: faccio parte
di una Comunità di persone che ha incontrato il Risorto, ne ha fatto
esperienza, ne ha gioia, me lo comunica perché questo incontro è
traboccante, (come diceva Marco Gaetano per Abramo: chi è benedetto
da Dio diventa a sua volta benedizione per gli altri) è vivo e trasformante.
È un incontro non di un gruppo di amici, che sarebbe già
molto bello umanamente, ma è uno stare insieme che è comunione.
Comunione con i fratelli perché comunione con Dio… grazie allo Spirito
donato a Pentecoste.
La storia della Chiesa incomincia a Pentecoste: secondo Atti 2, 22-24
quasi tremila persone aderirono alla fede dopo il discorso di Pietro"Gesù
il Nazareno…. Voi lo avete eliminato facendolo crocifiggere per mano dei
romani, ma Dio lo ha risuscitato". La Chiesa quindi è la
Comunità che si fonda intorno allo sconvolgente annuncio che
Gesù è Risorto!
Ho incontrato il Risorto nella mia Vita? Siamo una Comunità
ecclesiale che vive la Gioia del Risorto oppure siamo come i discepoli
di Emmaus, che sconvolti se ne tornano a casa o come la Maddalena che non
riconosce la novità della resurrezione e scambia il Cristo per il
giardiniere a cui chiede "Se sai dove l'hanno portato dimmelo!"
?
La Chiesa per arrivare fino a me, a noi si è sviluppata nella
storia e nel tempo, non sempre sicuramente con fedeltà al Vangelo
, ma i fratelli e le sorelle che ci hanno tramandato questa fede nel Cristo
risorto sono uomini come noi , umani, peccatori, che potrebbero fare a
noi le stesse domande: siamo fedeli alla Parola? La incarniamo bene
nel nostro tempo e nel luogo dove viviamo? Non parliamo solo di
fedeltà all'Incontro con Cristo, ma anche di due qualità
fondamentali della Chiesa: la Cattolicità e l'Apostolicità
; o meglio della dimensione spazio/temporale della Chiesa. Lo diciamo nel
Credo: la Chiesa una, santa, cattolica, apostolica…
La cattolicità è la dimensione orizzontale, spaziale
della Chiesa, l'essere comunità locale, a Genova, a Rivarolo ; l'apostolicità
invece è l'altro punto di riferimento , verticale; quello temporale
:dagli Apostoli a oggi lo stesso annuncio : Cristo morto è Risorto
(cfr. Atti 2,22-24) e qui il carisma del ministero ordinato, dei Vescovi
soprattutto ci viene in aiuto: come abbiamo visto l'altra volta è
proprio il loro specifico: far si che il messaggio di oggi sia fedele all'annuncio
primordiale che genera la fede. Tale ministero ha il carisma particolare
di prolungare nella Chiesa il discorso apostolico di fedeltà alla
Tradizione per trasmettere il messaggio della S. Scrittura "operando
sul versante della mobilità, della storicità, dell'interpersonalità";
per
trasmettere cioè l'annuncio del Cristo a ogni uomo di ogni tempo
e situazione, rimanendo fedele al significato profondo di tale annuncio.
Siamo cattolici? Sembra una domanda retorica , invece se la
interpretiamo bene è concreta, vitale: siamo cristiani nel
luogo dove viviamo, a Rivarolo, a Genova? In comunione coi tutti
quelli che fanno parte di questa Chiesa? Gli altri gruppi parrocchiali,
i nostri preti, le persone che vengono solo a Messa a Natale e Pasqua e
alla Comunione dei figli o ai funerali.. ? gli ammalati i sofferenti i
lontani, ecc.?
Siamo Apostolici? Siamo cioè in ascolto di chi ha questo
carisma nella Chiesa? Siamo per loro collaboratori sapienti ed intelligenti
perché questo Annuncio possa raggiungere tutti con un linguaggio
che può e deve variare per essere ascoltato da ogni uomo? Siamo
gli strumenti che incarnano nell'oggi della storia la trascendenza di Dio
che a Natale si è rifatto Uomo affinché questa Chiesa voli
alto con i piedi per terra, sappia cioè portare la presenza
del Cristo a ogni situazione dell'uomo? Povertà, disoccupazione,
carcere, depressione, gioia, sposi, separati, bambini, adolescenti anziani
ecc.?
Consideriamo adesso due modi laicali di manifestare la fede: le
Confraternite e le Comunità di Base, ma prima facciamo un breve
excursus sul l' essere laico nella Chiesa.
Il termine ‘laico’, per lo Zingarelli, ha il significato di : “non
appartenente al clero, non avente carattere religioso,: Secolare.”
(N.
Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana Novissima edizione minore,
Zanichelli, Bologna, 1962). Oggigiorno nel linguaggio comune
questo termine ha ampliato la sua valenza e definisce, infatti, persone,
enti o Stati, che nel loro agire non si rifanno alla religione; sottolineando
pertanto un ambito a se stante , dove la domanda religiosa e gli imperativi
morali non hanno residenza.
Etimologicamente laico deriva dal termine tardo latino ’laicus’
che è dal greco ‘laikos’, del popolo , profano, in
opposizione a ‘clericus’ , dal greco ‘klericos’ del clero.
(G.
Devoto,Avviamento all’etimologia italiana . Dizionario etimologico, A.
Mondadori, Ed. OSCAR, 1979).
All’interno della Chiesa il termine ‘laico’ appare alla
fine del primo secolo nella lettera di Clemente Romano ai Corinti
del 95 d.C., ma solo come aggettivo. Solamente alla fine del secondo secolo
, ma soprattutto nel terzo si affermerà anche come sostantivo e
verrà considerato parallelamente al termine ‘chierico’ (cfr.
A. Beni, Laico in Nuovo Dizionario di Teologia,EP, Roma, 1982, pagg691
ss; B. Forte, Laicato e laicità, Marietti, Genova,1983 (III)).
Se il termine laos, popolo, originariamente è servito
per distinguere i membri della Chiesa, popolo di Dio, dal mondo esterno,
non si può dire questo dell’aggettivo laikos,
in quanto, pur derivando dal sostantivo laos , il suffisso –ikosgli
conferisce un significato specializzante, che indica all’interno del popolo,
una categoria opposta ad un'altra. Inizia a stabilirsi , pertanto,
una distinzione tra chi riveste Uffici e ministeri liturgici ‘ordo’
e tra i fedeli che non li hanno ‘laos’.
Condizione giuridica del laico nella Chiesa; breve excursus
Qual è la condizione giuridica del laico nei primi secoli?
Si può parlare di doveri, diritti e poteri specifici?
“Certamente sino al III secolo la distinzione tra chierici
e laici non è precisabile e anche nei secoli successivi..(omissis..)..restano
taluni interrogativi.” (P.V.Aimone,
La partecipazione dei laici alla potestà sacra nella storia del
Diritto Canonico in “ I Laici nella ministerialità della Chiesa”,Quaderni
della Mendola, Glossa, Milano ,2000, pag.35).
Il Concilio di Terragona del 516 stabilisce che i laici partecipino
ai Sinodi. L’elezione del Vescovo avviene per elezione della comunità
ecclesiale locale, a cui partecipano sia i chierici che i laici. Laici
che insegnano, predicano nelle Chiese.
In questi primi secoli, quindi, i laici non sono visti solo come
quelli che non partecipano del ministero gerarchico: si attesta che
anch’essi possiedono ministeri e carismi.
La distinzione tra chierici e laici comunque inizia a diventare
concreta già nel V secolo: si inizia a delineare quel ‘duplex
genus christianorum’ che si ritroverà successivamente
nei testi canonici. Questa distinzione , infatti, è recepita da
Graziano , verso il 1140 in un Canone ( C.12 q.1.c.7) di cui egli attribuisce
la potestà a San Girolamo:
“Due sono i generi dei cristiani; l’uno che legato al servizio divino
e dedito alla contemplazione e all’orazione, si astiene da ogni chiasso
di realtà temporali, è costituito dai chierici…L’altro è
il genere dei cristiani a cui appartengono i laici. Laos, infatti, significa
popolo. Ad esso è consentito possedere beni temporali, ma solo per
i loro bisogni……. Ad essi è consentito sposarsi, coltivare la terra,
fare da arbitro in giudizio, difendere le proprie cause,……pagare le decime:
così potranno salvarsi, se eviteranno tuttavia i vizi, facendo il
bene.”
Con il nono secolo a questa divisione bipartita si aggiunge quella
tripartita tra laici, chierici e monaci. L’ordo clericorum si distingue
maggiormente da quello laicale, i cui membri vengono esclusi dall’ambito
del sacro. Questa distinzione è ripresa anche nelle funzioni
liturgiche; nei secoli VIII e IX è consacrata la differenza tra
i due ordini: “Il celebrante volta le spalle al popolo,
la preghiera del canone viene letta a voce bassa, i fedeli non portano
più le offerte all’altare, vede la luce la Messa privata, una messa
cioè per il prete stesso” (cfr.
C. Vogel, Una mutation cultuelle inexpliquèe, in Revue de Sciences
Religieuses,1980, pagg.231 ss).
Anche per la Chiesa del medioevo ( XI- XVI secolo) non è facile
dire quali siano i diritti, doveri e potestà del laico, quale sia
la sua posizione giuridica. In questo periodo si struttura sempre più
la distinzione bipolare fondata sulla distinzione del ‘duo sunt genera’
Huguccio da Pisa , al contrario di alcuni canonisti della scuola di
Bologna che nelle loro Somme avevano omesso di commentare il Canone di
Graziano, lo riprende anche se sottolinea che anche i laici rivestono una
particolare dignità in quanto anche a loro è stato rivolto
l’invito del Signore. Huguccio mette in evidenza il ruolo e il compito
dei laici, che , secondo lui, rappresentano sì il popolo, ma che
possono essere ritenuti la pietra, la base della Chiesa. Huguccio, poi
è favorevole alla prassi, iniziata nel XII secolo della confessione
dei peccati fatta ai laici, in caso di necessità e qualora manche
il prete; consuetudine ecclesiale fino al XVI secolo, quando sarà
vietata in opposizione alle dottrine protestanti sui poteri ministeriali
ad ogni credente. (cfr. P.A.Testaert.
La confession aux laics dans l’Eglise latine depuis le XI° siecle jusqu’au
XVI°, Lovagno,1926).
In questo periodo abbiamo si una preminenza del clero sul laicato,
con la loro progressiva esclusione dai ministeri e dal sacro,
ma
è in questo periodo che si pongono le fondamenta della funzione
propria del laicato: il rapporto con le realtà mondane ed il ricercare
il Regno di Dio attraverso di esse. (E’
interessante notare come il Concilio Vaticano II ed il C.I.C: del 1983
sottolineano questo elemento, la secolarità, come essenziale e qualificante
la condizione laicale. Cfr. Lumen Gentium n.31 e C.I.C. canone 225,c.2)
Questi
aspetti saranno ripresi nelle Confraternite di Arti e Mestieri. I carismi
laicali, vengono poi assunti dagli ordini monastici, soprattutto
da quello francescano.
Rimangono in questo periodo tracce della partecipazione laicale
sia alla nomina dei vescovi che alla partecipazione ai Sinodi e ai
Concili. Nella scelta dei vescovi l’elezione spetta al clero , ai laici
rimane il consenso; della partecipazione ai Concili rimane traccia nel
ruolo dei grandi feudatari laici.
Purtroppo la Riforma protestante fa arroccare maggiormente la Chiesa
cattolica, e si accentua sempre più la divisione tra gerarchia e
laicato. I decreti del Concilio di Trento fissano questa separazione
profonda, separazione che resterà immutata nel corso dei secoli
successivi fino al Concilio Vaticano II.
Bisogna sottolineare, però, che responsabili di questa ‘cristallizzazione’
tra ‘i duo genera’ sono più i commentatori e gli attuatori del Concilio
di Trento che li stessi decreti conciliari. Si può parlare, quindi,
di un ‘trentinismo’ superficiale e tradizionale, che sottolinea a favore
del clero tutto quanto affermato a Trento.
Anche se il Concilio di Trento nega energicamente che “tutti i cristiani
senza distinzione sarebbero sacerdoti del Nuovo Testamento e disporrebbero
tutti dello stesso potere spirituale” (Concilio
di Trento, in Denzinger- Schonmetzer Symbolorum Definizionum et Declarationum
de rebus fidei et morum, Herder, 1976(36),d’ora in poi D.S.. 1767(960))
sembrando di codificare così l’esclusione al ‘sacro’ di tutti i
fedeli laici, bisogna però considerare che la condanna delle tesi
di Lutero era essenziale per i Padri tridentini, ma i loro decreti non
permettono di farsi un’idea completa della dottrina cattolica .
Sulla dottrina del ‘sacerdozio comune di tutti i fedeli’ il Concilio
non si pronunciò formalmente contentandosi di rigettare l’interpretazione
che ne dava Lutero. La riforma luterana che attenua il sacerdozio gerarchico
in nome di quello di tutti, ha fatto si che i teologi cattolici post-tridentini
sottolineassero l’aspetto gerarchico del sacerdozio mantenendo un alone
di silenzio su quello comune.
Un’apertura era comunque data dal Catechismo di Trento, che qualificava
il sacerdozio di tutti i fedeli come ‘interiore’ in opposizione
a quello ‘esteriore’ dei ministri (Catechismo
tridentino Pars. II cap.7 n.284).
I Laici secondo il Concilio Vaticano II
Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica post-sinodale del 30 dicembre
1988 “Christifideles laici” sulla Vocazione e missione dei laici
nella Chiesa e nel mondo al n. 9 afferma che il Concilio nel dare risposta
all’interrogativo ‘Chi sono i fedeli laici?’ si è aperto
ad una visione positiva ed ha asserito “la piena appartenenza dei fedeli
laici alla Chiesa al suo mistero e il carattere peculiare della loro vocazione..”
Il Concilio Vaticano II col decreto ‘Apostolicam Actuositatem’ (
A.A.) sull’Apostolato dei Laici del 18 novembre 1965 riprende tutte le
affermazioni già enunciate sui laici nella Chiesa sottolineandone
i compiti propri di apostolato.
“Il Concilio , volendo rendere più intensa l’attività
apostolica del Popolo di Dio con viva premura si rivolge ai fedeli laici
dei quali già altrove (cfr.
Costituzione. Dogmatica sulla Chiesa del 21/11/1964 Lumen Gentium
(L.G.), nn. 10-11; 30-38; Costituzione. sulla Liturgia del 4/12/1963
Sacrosanctum concilium (S.C.) nn. 26-40) ha ricordato
il ruolo proprio e assolutamente necessario che essi svolgono nella missione
della Chiesa.” ( A.A. n .1)
E’ evidente il cambiamento di mentalità: i laici da
meri fruitori di servizi religiosi diventano compartecipi della missione
della Chiesa: hanno un ruolo proprio e assolutamente necessario,
diverso da quello svolto dal ministro ordinato, ma non inferiore.
“I laici, essendo partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico
e regale di Cristo”, ricevuto col sacramento del Battesimo e completato
con quello della Cresima “sono chiamati da Dio affinché ripieni
di spirito cristiano esercitino il loro apostolato nel mondo a modo di
fermento” (A.A. n.2) animando e perfezionando con lo spirito
del Vangelo l’ordine temporale (cfr.
Esortazione apostolica postsinodale di Papa Giovanni Paolo II del
30/12/1988 Christifideles laici nn. 14-15) .
La costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium,(d’ora
in poi L.G.) del 21 novembre 1964 sviluppa il suo insegnamento sui laici
all’interno del contesto ecclesiologico del Popolo di Dio; al n. 31 infatti
afferma che i laici sono i “fedeli che dopo essere stati incorporati
a Cristo col Battesimo e costituiti Popolo di Dio e nella loro misura resi
partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo , per
la loro parte compiono nella Chiesa e nel modo la missione propria di tutto
il popolo cristiano. Il carattere secolare è proprio e
peculiare dei laici…( omissis) ..Per loro vocazione è
proprio dei laici cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e
ordinandole secondo Dio.”
Quest’indole secolare non è da intendersi solo in senso sociologico,
ma soprattutto teologico: l’umanità è compartecipe dell’opera
salvifica di Dio , che ha affidato agli uomini e alle donne il mondo perché
“liberino la creazione stessa dall’influsso del peccato e santifichino
se stessi nel matrimonio o nella vita celibe, nella famiglia, nella professione
e nelle varie attività sociali.” (Propositio
4 dei Padri sinodali del Sinodo dei Vescovi a 20 anni dal Concilio
Vaticano II “Vocazione e missione dei Laici nella Chiesa e nel mondo”).
Nel decreto “Ad Gentes” del 7 dicembre 1965 il Concilio
sottolinea l’importanza e l’ insostituibilità dei laici nell’attività
missionaria della Chiesa .
La L.G. rimarca che ogni laico in ragione dei doni ricevuti è
testimone e strumento vivo della stessa missione della Chiesa “secondo
la misura con cui Cristo gli ha dato il suo dono“ (Ef. 4,7) ; più
oltre al n. 33 precisa che “i laici possono essere anche chiamati
in diversi modi a collaborare più immediatamente con l’apostolato
della Gerarchia a somiglianza di quegli uomini e donne che aiutarono l’apostolo
Paolo nell’evangelizzazione ( cfr. Fil.4,3; Rm 16.3 ss.). Hanno
inoltre, la capacità di essere assunti dalla gerarchia ad esercitare
per un fine spirituale alcuni uffici ecclesiastici.” Quest’ultimo
periodo è sicuramente una delle basi del magistero conciliare su
cui poi sarà elaborato il comma 2 dell’art 129 del Nuovo Codice
di Diritto Canonico sulla potestà di governo o giurisdizione; potestà
a cui i fedeli laici possono cooperare a norma del diritto.
Il tema della dottrina del sacerdozio comune dei fedeli, come avevamo
visto negli incontri precedenti, viene sviluppato nella L.G. ai paragrafi
decimo ed undicesimo sia in generale che di come viene esercitato nei sacramenti.
Le Confraternite
La collaborazione dei laici alla vita e alla missione della Chiesa
non è una “novità” del Concilio. È ampiamente attestata
dalla storia, fin dai primi secoli. Ha conosciuto una promettente stagione
non solo nei primi secoli e nel medioevo, attraverso l’impegno delle Confraternite
nel setto¬re del culto e della carità
Come abbiamo visto nel medioevo e più precisamente dopo
l'VIII secolo viene rimarcato anche liturgicamente la separazione tra i
chierici e i laici, anche per l'unificazione liturgica voluta da Carlo
Magno. In questo periodo in Europa, in Francia nascono le Confraternite,
mentre in Liguria si affermeranno dopo l'anno Mille; "tra le cause
di questa svolta possiamo annoverare i vari movimenti pauperistici che
chiedevano con forza un ritorno di tutta la Chiesa agli antichi valori
evangelici …" (cfr. Andrea
Bersani Valeria Poggi La nascita delle confraternite in LA
Confraternita del Suffragio di Murta nel 550°anniversario dalla
fondazione, pagg.14 ss) .
Nello stesso periodo della nascita degli ordini monastici mendicanti
"si svilupparono anche movimenti di laici che giravano di città
in città per predicare la penitenza e la conversione. Questi erano
chiamati a seconda dei casi disciplinati, battuti o flagellanti…( omissis)…In
Liguria le Confraternite nacquero in seguito al passaggio di qualche personaggio
che dotato di forte carisma spingeva un gruppo di laici a riunirsi per
condividere le esperienze spirituali e darsi vicendevole aiuto costruendo
luoghi di culto ed istituendo funzioni religiose per i membri dell'associazione"
E' strano osservare che sull'onda di un discorso penitenziale
e di ritorno al Vangelo, nella Chiesa nascono delle associazioni di fedeli,
le Confraternite, le quali, anche perché la liturgia è incapibile
e la sfera del sacro viene accentrata solo ai ministri, creano quasi una
struttura parallela di preghiera, con i propri riti e paramenti, di una
religiosità sicuramente popolare, ma sentita, propria.
In ogni paese vi sono due Chiese, la Parrocchia e la Confraternita,
giuridicamente oratorio, ma di fatto luogo ove i laici si riuniscono a
pregare.. vi sono riti di 'iniziazione' e il capo della Confraternita ,
non a caso si Chiama 'Priore' come nelle comunità monastiche.
Le Comunità di Base
Dopo il Concilio Vaticano II sono sorte nella Chiesa, soprattutto
in America Latina, ma anche qui in Italia delle Comunità Ecclesiali
di Base (C.E.B.) dove l'Ascolto della Parola, il servizio fraterno,
la conduzione da parte di laici sono forse gli elementi caratterizzanti
questa nuovo modo di essere Chiesa (cfr.
Franco Luvara Le piccole comunità ecclesiali nel cammino della Chiesa
ediz. Chiesa-Mondo, Catania, 2000; Leonardo Boff , Ecclesiogenesi le comunità
di base reinventano la chiesa, Borla , Roma 1986 (2)).
Vi è tutta una discussione ecclesiale ed anche teologica
se
questo modo di realizzare la vocazione cristiana sia di per sé già
Chiesa o se solo contengano in sé elementi ecclesiali.
L. Boff nel suo libro "Ecclesiogenesi le comunità
di base reinventano la Chiesa" risponde a questa domanda con la teologia
e la pastoralità sud.americana che le Cdb ( Comunità di Base)
siano in se espressione della Chiesa.
Dianich, invece, preferisce parlare, non solo riguardo alle CEB,
ma anche per i vari movimenti o/e associazioni ecclesiali di realtà
pre-eucaristiche, che sono sì Chiesa, ma che lo sono pienamente
solo nella comunione con gli altri nelle celebrazione eucaristica domenicale.
Il magistero della Chiesa ha preso atto di queste realtà
se pur distinguendo tra le Comunità che si sentono in comunione
con la Chiesa e quelle che invece sono solo realtà a se stanti quasi
in ' conflitto' con essa. E' ormai dato comune che "Le CEB vengono considerate
… come uno dei fenomeni socio pastorali più validi del nostro secolo……come
un nuovo modo di vivere la Chiesa oggi,.." (Mons.Antonio
Fallico , Presentazione al libro su citato, in nota, di Franco Luvara).
Tra i vari brani del magistero che parlano delle CEB mi
pare bello quello del 15 agosto 1987 della Congregazione per il Clero 'Direttorio
generale per la Catechesi' che al n.263 dice:
"Le comunità ecclesiali di base hanno conosciuto una
grande diffusione negli ultimi decenni. Si tratta di gruppi di cristiani
che 'nascono dal bisogno di vivere ancora più intensamente la vita
della Chiesa; oppure dal desiderio e dalla ricerca di una dimensione più
umana, che comunità ecclesiali più vaste possono difficilmente
offrire ' . Le comunità ecclesiali di base sono un segno di
vitalità nella Chiesa. I discepoli di Cristo vi si riuniscono
per un attento ascolto della Parola di Dio, per la ricerca di rapporti
più fraterni, per celebrare i misteri cristiani nella loro vita
e per assumere l'impegno di trasformazione della società. Insieme
a queste dimensioni propriamente cristiane emergono anche importanti valori
umani: l'amicizia e il riconoscimento personale, lo spirito di corresponsabilità,
la creatività la risposta vocazionale, l'interesse per i problemi
del mondo e della Chiesa. Ne può risultare una arricchente esperienza
comunitaria, ' vera espressione di comunione e mezzo per costruire una
comunione più profonda….."
Persino la C.E.I., i vescovi italiani, hanno recepito la vitalità
delle Ceb e auspicano nel 'Catechismo della Chiesa Italiana che "la
parrocchia nel suo interno può essere articolata in piccole comunità
di base che si incontrano per la preghiera, la lettura della Scrittura,
la catechesi, la condivisione dei problemi umani ed ecclesiali in vista
di un impegno comune……".
Chiesa locale…
"Scelgo l'appartenenza alla Chiesa locale diocesana come Comunità ecclesiale di Base per coerenza con una scelta di base popolare, volendo essere nella Chiesa profetizzata dal Concilio, in comunione con il Vescovo. Perciò la Comunità Una vive e serve la comunione nella chiesa particolare parrocchiale di Rivarolo, anche se non coincide con essa; partecipa all'Eucaristia festiva,; aderisce responsabilmente al Consiglio Pastorale, organismo di riferimento per tutte le realtà della Chiesa particolare. Chiede al Parroco l'assistenza spirituale affinché ne garantisca l'ortodossia e la comunione." (dalla Carta Verde: punto sulla ' Chiesa locale').
Il nostro percorso sta giungendo alla sua conclusione ed intende in
questi due ultimi incontri misurarsi concretamente con la realtà
quotidiana della nostra vita personale, familiare e comunitaria.
Chiamati ad una altissima vocazione santa nel battesimo diventiamo
popolo sacerdotale e pertanto capace di un incontro profondo e personale
con Dio Padre; di qui la necessità di vivere pienamente, direi di
celebrare, nell’eucaristia settimanale la nostra quotidianità a
partire proprio dalle nostre vocazioni particolari matrimoniali o celibatarie
che siano, che devono essere vissute nell’unica grande vocazione ad essere
fino in fondo figli di Dio. In questo percorso svolge una particolare
importanza il dialogo che presuppone un atteggiamento di umili ricercatori,
o meglio di discepoli, della Verità che è Cristo.
Stare con Cristo
Siamo quindi giunti a verificare come l’idea della vita comunitaria
non sia una estemporanea trovata di qualche pretuncolo illuminato, ma sia
lo stile di vita privilegiato per l’incontro con Dio Padre, stile
di vita voluto da Cristo stesso il quale chiamò gli apostoli perché
stessero con Lui.
Primo compito della comunità è quindi vivere nell’unione
fraterna legati dal vincolo della fede per stare con Cristo e così
essere segno visibile dell’amore di Dio.Il documento ' La vita
fraterna in comunità' "Congregavit nos in unum Christi
amor" al numero dieci afferma:
"Lui li aveva chiamati personalmente, uno ad uno, per vivere in
comunione con lui e con gli altri discepoli, per condividere la sua vita
e il suo destino (cfr. Mc 3,13-15), così da essere segno della vita
e della comunione da Lui inaugurate." (Documento
Congregazione per la Vita Religiosa del 2 febbraio 1994 d'ora in poi
'C. nos in U').
La fede nel dio di Abramo e’ comunitaria
“Creando l'essere umano a propria immagine e somiglianza, Dio
lo ha creato per la comunione. Il Dio creatore che si è rivelato
come Amore, Trinità, comunione, ha chiamato l'uomo a entrare in
intimo rapporto con Lui e alla comunione interpersonale, cioè alla
fraternità universale. Questa è la più alta vocazione
dell'uomo: entrare in comunione con Dio e con gli altri uomini suoi fratelli.”
(C.
nos in U nr.9).
Così anche nel percorso storico della sua Rivelazione Dio, pur
chiamando singoli uomini per l’annuncio del suo messaggio rivela il medesimo
ad un Popolo chiamato a vivere in modo intimo, ma comunitario il suo rapporto
con Dio.
Potrei soffermarmi sull’idea veterotestamentaria della 'Qahal Adonai',
la convocazione del popolo di Dio, così come diverse e numerose
sono le citazioni nel NT in cui si ricorda come la vita comunitaria “garantisca”
l’incontro con Dio, a partire dal momento della preghiera :
“In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra
si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è
nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti
nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. Mt 18,19-20
Ancora oggi le comunità infatti riprendono quotidianamente il
loro cammino alla sequela del Cristo, sorrette dall'insegnamento degli
Apostoli: "amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate
nello stimarvi a vicenda" (Rm 12,10); "abbiate i medesimi
sentimenti gli uni verso gli altri" (Rm 12,16); "accoglietevi
perciò gli uni gli altri come Cristo accolse voi" (Rm 15,7);
"correggetevi l'un l'altro" (Rm 15,14); "aspettatevi
gli uni gli altri" (1 Cor 11,33); "mediante la carità
siate a servizio gli uni degli altri" (Gal 5,13); "confortatevi
a vicenda" (1 Tess 5,11); "sopportandovi a vicenda con amore"
(Ef 4,2); "siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi,
perdonandovi a vicenda" (Ef 4,32); "siate sottomessi gli
uni agli altri nel timore di Cristo" (Ef 5,21); "pregate
gli uni per gli altri" (Gc 5,16); "rivestitevi tutti di umiltà
gli uni verso gli altri" (1 Pt 5,5); "siamo in comunione
gli uni con gli altri" (1 Gv 1,7); "non stanchiamoci di fare
il bene a tutti, soprattutto ai nostri fratelli nella fede" (Gal
6,9-10).
Fin da subito i cristiani hanno quindi colto come il campo su cui giocare
la loro fede era la vita fraterna e la condivisione dei beni, anche concreti
e non solo quelli spirituali: “Così Giuseppe, soprannominato
dagli apostoli Barnaba, che significa “figlio dell’esortazione”, un levita
originario di Cipro, che era padrone di un campo, lo vendette e ne
consegnò l’importo deponendolo ai piedi degli apostoli. Un uomo
di nome Anania con la moglie Saffira vendette un suo podere e, tenuta per
sé una parte dell’importo d’accordo con la moglie, consegnò
l’altra parte deponendola ai piedi degli apostoli” (At 4,36-5,2)
A conferma della Parola di Dio vi sono poi gli scritti dell’epoca
patristica; così descrivevano la nuova vita a cui erano chiamati
i cristiani:
"I cristiani né per regione, né per voce, né
per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. […] 5. Vivono nella
loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da
tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria
loro, e ogni patria è straniera. 6. Si sposano come tutti e generano
figli, ma non gettano i neonati. 7. Mettono in comune la mensa, ma non
il letto. 8. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. 9. Dimorano
nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. 10. Obbediscono alle
leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. 11. Amano tutti,
e da tutti vengono perseguitati. 12. Non sono conosciuti, e vengono condannati.
Sono uccisi, e riprendono a vivere. 13. Sono poveri, e fanno ricchi molti;
mancano di tutto, e di tutto abbondano. 14. Sono disprezzati, e nei disprezzi
hanno gloria. Sono oltraggiati e proclamati giusti. 15. Sono ingiuriati
e benedicono; sono maltrattati ed onorano. 16. Facendo del bene vengono
puniti come malfattori; condannati gioiscono come se ricevessero la vita"
(A
Diogneto V,1. 5-16).
Ecco una nuova luce si profila sulla nostra storia che è la
storia del popolo di Dio, un filo rosso che lega l’esperienza di coloro
che hanno accolto il messaggio di Cristo, vivendolo in comunione con altri
fratelli e sorelle; ancora oggi “le comunità ecclesiali di base
nascono dal bisogno di vivere ancora più intensamente la vita della
Chiesa; oppure dal desiderio e dalla ricerca di una dimensione più
umana, che comunità ecclesiali più vaste possono difficilmente
offrire. Le comunità ecclesiali di base sono un segno di vitalità
nella Chiesa. I discepoli di Cristo vi si riuniscono per un attento ascolto
della Parola di Dio, per la ricerca di rapporti più fraterni, per
celebrare i misteri cristiani nella loro vita e per assumere l'impegno
di trasformazione della società. Insieme a queste dimensioni propriamente
cristiane emergono anche importanti valori umani: l'amicizia e il riconoscimento
personale, lo spirito di corresponsabilità, la creatività
la risposta vocazionale, l'interesse per i problemi del mondo e della Chiesa.
Ne può risultare una arricchente esperienza comunitaria, ' vera
espressione di comunione e mezzo per costruire una comunione più
profonda” (Direttorio generale
per la Catechesi n.263. Persino la C.E.I., i vescovi italiani hanno recepito
la vitalità delle C.E.B. e auspicano nel 'Catechismo della Chiesa
Italiana che "la parrocchia nel suo interno può essere articolata
in piccole comunità di base che si incontrano per la preghiera,
la lettura della Scrittura, la catechesi, la condivisione dei problemi
umani ed ecclesiali in vista di un impegno comune……").
Allora la nostra esperienza in questa piccola “parrocchia di periferia”
si inserisce a pieno titolo in questo percorso bimillenario e la nostra
Carta Verde, riprende nella sua introduzione le parole del Card. Martini:
“Vorrei descrivere la vita concreta di una
comunità cristiana che, proprio in forza della comunione coltiva
l'amicizia fraterna, è attenta ai bisogni di tutti, suscita le vocazioni
al servizio generoso del prossimo, si apre ai problemi del mondo, accoglie
i più piccoli, i più poveri, gli ultimi, cerca le vie concrete
della pace, favorisce gli itinerari della riconciliazione, esercita un
influsso benefico sulla vita sociale e politica”.
Per poi proseguire rendendo concretamente viva per noi qui ed oggi
la proposta comunitaria…"Proprio per vivere
in pienezza quanto sopra descritto, ovvero l'amicizia fraterna nella revisione
di vita attraverso la condivisione, l'incoraggiamento fraterno e
la presa a carico, dalla quale in seguito nasce il servizio esterno per
essere testimoni credibili nei luoghi dove quotidianamente ognuno di noi
vive, la Comunità UNA di Rivarolo si è data questa Carta
Verde, quale strumento per la revisione del cammino personale e comunitario
alla quale ognuno liberamente aderisce, condividendone i valori verso i
quali si impegna a camminare" (dall’introduzione
alla Carta Verde).
La comunità luogo privilegiato dell’incontro con Dio
Abbiamo detto che lo strumento della comunità rappresenta il
migliore per l’incontro con Cristo:
“Ecco io sono con voi tutti i giorni…”: è nella comunità
che trovo la presenza di Cristo, lì il battezzato deve imparare
a riconoscere che il Signore non è soltanto Colui che Dio ha inviato,
ma anche Colui che egli incontra nella sua comunità.
L'esperienza della comunità è una vera esperienza
di Dio: si deve quindi sapere come ci si comporta nel tessuto comunitario
attraverso il perdono, la legge del valore del più piccolo, della
mutua accoglienza.
È la comunità il luogo nel quale riconosco il Risorto
ed è lì che ricevo l’annuncio della fede: Tommaso incontra
e riconosce il Cristo risorto solo quando è inserito nella comunità
La comunità si fonda su Cristo
Se la comunità è il luogo privilegiato per l’incontro
con Cristo è perché a fondamento di essa, pietra angolare
scartata dai costruttori, vi è Cristo e ciò ha una conseguenza
molto importante; scrive in 'Vita Comune' Bonhoeffer: “In
primo luogo, significa che un cristiano ha bisogno dell’altro a causa di
Gesù Cristo. In secondo luogo, che un cristiano si avvicina all’altro
solo per mezzo di Gesù Cristo. In terzo luogo, significa che fin
dall’eternità siamo stati eletti in Gesù Cristo, da lui accolti
nel tempo e resi una cosa sola per l’eternità” (Bonhoeffer
'Vita Comune' pag.18).
Ecco che la presenza fondante e fondamentale di Cristo porta a nuovi
e profondi rapporti con il fratello; non siamo più legati alle meschine
piccinerie dei difetti altrui che ci impediscono di amare fino in fondo
fino a dare la vita il nostro fratello; scrive ancora Bonhoeffer: “Tra
me e l’altro c’è Cristo, perciò non posso aspirare ad una
comunione immediata con l’altro. Solo Cristo ha potuto parlarmi in modo
da venirmi in aiuto; per la stessa ragione anche l’altro può ricevere
soccorso solo da Cristo. Il che significa risparmiare all’altro tutti i
miei tentativi di condizionarlo, di costringerlo, do dominarlo con il mio
amore. Senza dipendere da me, l’altro vuol essere amato per come è,
vale a dire come uno a vantaggio del quale Cristo si è fatto uomo,
è morto ed è risorto, ha conseguito la remissione dei peccati
e ha preparato una vita eterna. Cristo è intervenuto in modo decisivo
nei confronti del mio fratello, ben prima che io potessi iniziare ad agire,
per cui non posso che ritirarmi, lasciando il fratello a disposizione di
Cristo, e incontrandolo solo per quello che è già in Cristo”
Pertanto “sarà preferibile parlare con Cristo del fratello che non
parlare col fratello di Cristo” (Bonhoeffer
'Vita Comune' pag.28-29).
Ci sarebbe da farsi un enorme esame di coscienza, che si rivelerebbe
per la maggior parte di noi qui presenti, e sicuramente per me, come una
condanna, domandiamoci allora quanto di ciò che condivido, quanto
di ciò che dico al fratello di comunità nella correzione
o meglio nell’incoraggiamento fraterno è frutto di lunghi momenti
di solitudine e di preghiera per capire davvero se le mie parole sono e
possono diventare per l’altro Parola di Dio, Vangelo, Buona Notizia sulla
vita dell’altro.
Occorrerebbe ricordarsi sempre come scrive san Paolo ai Corinti "la
potenza di Dio che si manifesta nelle povertà dell'uomo"
(2 Cor 12,9-10) e che quindi “lo sforzo di accettazione reciproca
e l'impegno nel superamento delle difficoltà, tipico delle comunità
eterogenee, dimostrano la trascendenza del motivo che le ha fatte sorgere…Nella
comunità si sta assieme non perché ci si è eletti,
ma perché si è stati eletti dal Signore.” (C.
nos in U. n. 46).
Ma Cristo non è solo la luce sotto la quale volgere il proprio
sguardo al fratello egli è la misura secondo la quale misurare il
nostro amore verso i fratelli: è Lui che ci chiede di accompagnare
i fratelli nella gioia e nella difficoltà; scrive San Paolo: “Portate
i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo”
(Gal 6,2). Allora possiamo commentare queste parole prendendo a prestito
quanto scrive la Congregazione per la vita consacrata: “In tutta
la dinamica comunitaria, Cristo, nel suo mistero pasquale, rimane il modello
di come si costruisce l'unità. Il comando dell'amore reciproco ha
infatti in Lui la sorgente, il modello e la misura: dobbiamo amarci come
Lui ci ha amato. E Lui ci ha amati fino a dar la vita. La nostra vita è
partecipazione alla carità di Cristo, al suo amore per il Padre
e per i fratelli, un amore dimentico di sé. L'amore di Cristo diffuso
nei nostri cuori spinge ad amare i fratelli e le sorelle fino ad assumerci
le loro debolezze, i loro problemi, le loro difficoltà. In una parola:
fino a donare noi stessi.” (C.
nos in U. n. 21).
Non è cosa semplice, ma sfida estremamente affascinante per
coloro che si pongono alla sequela di Cristo, una sfida che dobbiamo affrontare
volgendo lo sguardo al solo luogo dove possiamo trovare la forza: la croce.
È lì che Cristo spalancando le proprie braccia ha voluto
farci vedere quanto siamo amati e come sia possibile amare senza limiti;
è la croce che in questo modo ci libera progressivamente dal bisogno
di mettersi al centro di tutto e di possedere l'altro, e dalla paura di
donarsi ai fratelli; pertanto in forza di quest’amore nasce la comunità
come un insieme di persone libere e liberate dalla croce di Cristo
(Cfr. C. ad U. n. 22).
Il dono della comunione e della comunità
“Volendo amare il Signore mio Dio e il prossimo mio come me stesso con la stessa disponibilità che fu di Maria, ho scelto di aderire alla chiamata del Signore vivendo nella Comunità UNA e nel suo particolare stile di vita evangelico”.
Con queste parole inizia la Carta Verde
per indicare con estrema importanza che la vita comunitaria è una
vocazione che si affianca nella nostra vita ad altre chiamate a partire
dal battesimo e dal matrimonio; essendo vocazione dobbiamo anche riconoscere
come la comunità sia un dono ed una responsabilità di cui
dovremo rendere conto al termine dei tempi. Scrive la Congregazione per
le comunità religiose nel documento succitato al numero otto “Prima
di essere una costruzione umana, la comunità… è un dono dello
Spirito. Infatti è dall'amore di Dio diffuso nei cuori per mezzo
dello Spirito che la comunità (religiosa) trae origine e da esso
viene costruita come una vera famiglia radunata nel nome del Signore”.
Allora è giusto riflettere e chiederci quale debba essere il
nostro impegno di testimonianza; primo fra tutti il dovere della gioia
e dell’unione fraterna. Fu Cristo stesso ad indicare ai suoi discepoli
come la vita comune e soprattutto l’amore vicendevole fossero il primo
segno del Regno di Dio e diventassero la prima testimonianza silenziosa,
ma significativa che la comunità era chiamata a mostrare al mondo.
Scrive a riguardo di questo la Congregazione per le Comunità religiose:
“Non bisogna dimenticare infine che la pace e il gusto di stare insieme
restano uno dei segni del Regno di Dio. La gioia di vivere pur in mezzo
alle difficoltà del cammino umano e spirituale e alle noie quotidiane,
fa parte già del Regno. Questa gioia è frutto dello Spirito
e abbraccia la semplicità dell'esistenza e il tessuto monotono del
quotidiano. Una fraternità senza gioia è una fraternità
che si spegne. Ben presto i membri saranno tentati di cercare altrove ciò
che non possono trovare a casa loro. Una fraternità ricca di gioia
è un vero dono dell'Alto ai fratelli che sanno chiederlo e che sanno
accettarsi impegnandosi nella vita fraterna con fiducia nell'azione dello
Spirito.” (C.ad U. n.
28).
Diventano così concrete le parole del Salmo 133: "Ecco quanto
è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme...
Là il Signore dona la benedizione e la vita per sempre", che
S. Ilario così commenta “perché quando vivono insieme
fraternamente, si riuniscono nell'assemblea della Chiesa, si sentono concordi
nella carità e in un solo volere” (S.
Ilario, Tract. in Ps. 132, 244).
La comunità sacramento della trinità
La comunità diventa pertanto oltre che esperienza di fede per
coloro che vi partecipano, anche segno direi liturgicamente “sacramento”
della comunione trinitaria; infatti la prima comunità, la comunità
perfetta quella dove le tre distinte persone divengono unità è
proprio la Trinità.
“La comunità (religiosa), non è un semplice
agglomerato di cristiani in cerca della perfezione personale. Molto più
profondamente è partecipazione e testimonianza qualificata della
Chiesa-Mistero, in quanto espressione viva e realizzazione privilegiata
della sua peculiare "comunione", della grande "koinonia" trinitaria cui
il Padre ha voluto far partecipare gli uomini nel Figlio e nello Spirito
Santo.”
(C. nos in U nr.1).
La comunità sacramento della fraternità
La Comunità ha poi anche una ulteriore missione insita nel proprio
essere comunione di uomini: essere segno di una fraternità universale
alla quale sono chiamati tutti gli uomini come figli di uno stesso Padre;
la comunità diviene testimonianza concreta della preghiera che Cristo
stesso ci ha lasciato. Ancora Cristo ci ha lasciato come comandamento quello
dell’amore reciproco che proprio in forza della sua bellezza diviene testimonianza:
“Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore
gli uni per gli altri" (Gv 13,35). Inoltre nell’unione fraterna
si trova il segno che mostra l'origine divina del messaggio cristiano e
possiede la forza di aprire i cuori alla fede (cfr Gv 17,21); infatti “più
intenso è l'amore fraterno, maggiore è la credibilità
del messaggio annunciato, maggiormente percepibile è il cuore del
mistero della Chiesa sacramento, dell'unione degli uomini con Dio e degli
uomini tra di loro”
(C. nos
in U nr.55).
Soffermiamoci ancora sul documento della congregazione per la vita
religiosa: “la comunità (religiosa), nella sua struttura,
nelle sue motivazioni, nei suoi valori qualificanti, rende pubblicamente
visibile e continuamente percepibile il dono di fraternità fatto
da Cristo a tutta la Chiesa. Per ciò stesso essa ha come impegno
irrinunciabile e come missione di essere e di apparire una cellula di intensa
comunione fraterna che sia segno e stimolo per tutti i battezzati. Il senso
dell'apostolato è di riportare l'umanità all'unione con Dio
e alla sua unità, mediante la carità divina. La vita fraterna
in comune, quale espressione dell'unione operata dall'amore di Dio,
oltre a costituire una testimonianza essenziale per la evangelizzazione,
ha grande importanza per l'attività apostolica e per la sua finalità
ultima. Da qui la forza di segno e di strumento della comunione fraterna
della comunità religiosa. La comunione fraterna sta infatti
all'inizio e alla fine dell'apostolato”.
Tale compito diventa oggi per le comunità impegno forte nei
confronti della totalità della Chiesa: “la comunità
religiosa, conscia delle sue responsabilità nei confronti della
grande fraternità che è la Chiesa, diventa anche un segno
della possibilità di vivere la fraternità cristiana, come
pure del prezzo che è necessario pagare per la costruzione di ogni
forma di vita fraterna”.
(C.
nos in U nr.56).
Condivisione e revisione di vita
Tornando a noi dobbiamo a questo punto domandarci come possiamo essere
comunità, quali passi siamo chiamati a fare, cosa dobbiamo portare
con il nostro impegno alla comunità, o meglio ai fratelli che il
Signore ha posto sulla nostra strada; allora se nella comunione dei beni
materiali possiamo vedere la strada primaria, tale comunione trova il suo
inizio nella condivisione dei beni dello Spirito, una condivisione della
fede e nella fede, ove il vincolo di fraternità è tanto
più forte quanto più centrale e vitale è ciò
che si mette in comune.
(C. nos in
U nr.32).
Tale comunione dei beni spirituali trova espressione in diversi modi
che possiamo così riassumere: la condivisione della Parola e
dell'esperienza di Dio, discernimento comunitario, la correzione fraterna,
la revisione di vita. Questi “sono modi concreti di porre al servizio
degli altri e di far riversare nella comunità i doni che lo Spirito
abbondantemente elargisce per la sua edificazione e per la sua missione
nel mondo.”
(C. nos in U nr.32).
La condivisione e la revisione di vita devono pertanto avere nella
nostra vita comunitaria il giusto posto, un posto determinante, fondante
la comunità; occorre quindi crescere perché la condivisione
deve essere curata a partire dalla rilettura della nostra vita a partire
dalla Parola, dall’anticipo di fiducia che deve mettere in atto per
mettere tutta la mia vita nella mani a volte fragili dei fratelli, dalla
preghiera momento in cui metto nelle mani di Dio il mio cammino di condivisione.
Infatti deve essere chiaro a tutti che la comunità non nasce
da chissà quali autorità, ma da ciò che ognuno ci
mette; possiamo tranquillamente affermare che ognuno trova nella comunità
ciò che riesce a metterci: “Se è vero che la comunione
non esiste senza la oblatività di ognuno, è necessario
allora che si tolgano fin dall'inizio le illusioni che tutto deve venire
dagli altri, e che si aiuti a scoprire con gratitudine quanto già
si è ricevuto e si sta di fatto ricevendo dagli altri. E' bene
preparare fin dall'inizio ad essere costruttori e non solo consumatori
di comunità, ad essere responsabili l'uno della crescita dell'altro
come pure ad essere aperti e disponibili a ricevere l'uno il dono dell'altro,
capaci d'aiutare ed essere aiutati, di sostituire ed essere sostituiti.”
(C.nos
in U nr.24).
È chiaro che solo dopo aver spezzato la mia vita con i fratelli
posso iniziare il cammino della mia conversione personale: è qui
che trovo la forza perché il mio stile di vita personale sia modellato
nella sobrietà e nella essenzialità, valori fondamentali
in un cammino di povertà evangelica; è qui che riesco a trovare
la forza per essere testimone credibile nei luoghi dove sono chiamato a
vivere, innanzitutto in famiglia e poi sul luogo di lavoro o in qualunque
altro luogo, anche nelle scelte politiche nel quartiere, nel servizio,
nella lotta nonviolenta per la costruzione di una pace giusta e nella fraterna
solidarietà con chi si trova nelle più diverse difficoltà.
In fondo la comunità deve darmi la forza che da solo non
ho ed è forse questo lo scopo a cui tutti ci affidiamo: “In
una comunità veramente fraterna, ciascuno si sente corresponsabile
della fedeltà dell'altro; ciascuno dà il suo contributo per
un clima sereno di condivisione di vita, di comprensione, di aiuto reciproco;
ciascuno è attento ai momenti di stanchezza, di sofferenza, di isolamento,
di demotivazione del fratello, ciascuno offre il suo sostegno a chi è
rattristato dalle difficoltà e dalle prove. Così la comunità
religiosa, che sorregge la perseveranza dei suoi componenti, acquista anche
la forza di segno della perenne fedeltà di Dio e quindi di sostegno
alla fede e alla fedeltà dei cristiani, immersi nelle vicende di
questo mondo, che sempre meno sembra conoscere le vie della fedeltà.”
(C.
nos in U nr.57).
Ciò che mi rimane al termine di questo incontro è l’idea
sempre più consapevole che Dio ha chiesto a voi amici miei di essere
responsabili con me della mia poca fede ed in ogni momento chiede a voi
di aiutare questo vostro povero fratello nel cammino della sua vita e questo
mi fa sentire davvero fortunato. Grazie!
Dal Vangelo seconda Luca: Servire con umiltà
7 Chi di voi, se ha un servo ad arare
o a pascolare il gregge, gli dirà quando rientra dal campo: Vieni
subito e mettiti a tavola? 8 Non gli dirà piuttosto: Preparami da
mangiare, rimboccati la veste e servimi, finché io abbia mangiato
e bevuto, e dopo mangerai e berrai anche tu? 9 Si riterrà obbligato
verso il suo servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 10 Così
anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato,
dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”.
( lc.17,7-10)
Questo ultimo giovedì conclude il cammino di catechesi
di quest'anno, il tema di questa sera: Siamo solo servi inutili
è un discorso difficile sia da sviluppare che da vivere. Abbiamo
riflettuto sulla nostra vocazione di figli di Dio, di come questa diventi
preghiera, offerta del quotidiano e del mondo al Padre, abbiamo pensato
e pregato sulla Chiesa, sull'unità dei cristiani e su come fare
comunità oggi; nel nostro tempo e nel nostro spazio, a Rivarolo,
in Val Polcevera.
Ma il Signore oggi ci ricorda che siamo solo servi inutili, che
quand'anche avessimo fatto tutto, ma proprio tutto come si deve, non siamo
nessuno..perché come diceva Sant'Agostino: 'tutto è grazia'.
Tutto è dono, dono di Dio a noi e per mezzo di ognuno di noi all'umanità,
alla Creazione. Come abbiamo visto nell'incontro di novembre, ogni cristiano
partecipa dell’offerta del Cristo nell’Eucarestia, unendo se stesso, per
grazia e non per meriti, all’Unico Sacrificio. L’apporto storico, personale
di ognuno è accolto ( simbolicamente, nell’offerta dei doni pane
e vino) e consegnato a Cristo: nella celebrazione entra a far parte della
Storia della Salvezza passata, presente e futura. Ecco che la liturgia
della nostra vita, come diceva Paolo VI, è vivere ogni momento
della nostra giornata, come è realmente, una preghiera, con questo
spirito da servi, da Servo, da Cristo!
E' difficile mettersi in quest'ottica, ma se vogliamo essere
cristiani adulti e maturi dobbiamo farci anche questa domanda: accetto
che Dio mi dica che sono un servo inutile? Non quando sbaglio o non lo
seguo o sono peccatore, ma quando riesco a vivere il Vangelo?
Sembrerebbe masochismo, annullamento della personalità.
Ma è lo spirito del Servo di Jahwe (Cfr.
IS. 52, 13 s.s. e 53 : Quarto canto del servo del Signore),
del servo che muore sulla Croce, , che nell'ultima Cena dopo aver lavato
i piedi agli apostoli disse loro: "sapete ciò che vi ho fatto?
Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se
dunque io, Il Signore, e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi
dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l'esempio,
perché come ho fatto io facciate anche voi." ( GV. 13,12-15).
Dopo un brano di Vangelo così, bisognerebbe solo fare
silenzio e pregare;…….
Ma mi sembra giusto ripercorrere ancora un attimo ciò
che la nostra regola, la Carta Verde ci richiama:
Il primo servizio per la Comunità è esistere…..
...come realtà di Chiesa e come luogo di testimonianza dell'amore reciproco;… (dalla Carta Verde : punto ' Servizio Comune')
Se inteso o vissuto male, questo è il contrario del Vangelo di
questa sera, ma conoscendo un po' la storia e lo spirito che ci anima direi
che, sì il pericolo di considerarci i primi, o i migliori ci sia
sempre, bisogna pertanto vigilare. Ma veramente il primo nostro servizio
è esserci:come comunità ecclesiale di base dove: "I
discepoli di Cristo vi si riuniscono per un attento ascolto della Parola
di Dio, per la ricerca di rapporti più fraterni, per celebrare i
misteri cristiani nella loro vita e per assumere l'impegno di trasformazione
della società. Insieme a queste dimensioni propriamente cristiane
emergono anche importanti valori umani: l'amicizia e il riconoscimento
personale, lo spirito di corresponsabilità, la creatività
la risposta vocazionale, l'interesse per i problemi del mondo e della Chiesa.
Ne può risultare una arricchente esperienza comunitaria, ' vera
espressione di comunione e mezzo per costruire una comunione più
profonda…" (15/08/87 Congregazione
per il Clero ' Direttorio generale per la Catechesi' n. 263).
Mi pare poi , che sia le scelte di vita e di impegno personali
sia il servizio comune nelle due case alloggio per anziani , l'attività
del Natale in Piazza testimonino il nostro cammino.
"vedano le vostre opere buone e lodino il Padre vostro che è
nei cieli" : è un modo diverso per dire che siamo sempre
servi inutili, che tutto è fatto per il Regno, a gloria di Dio.
E allora ognuno di noi,( il suo lavoro, il suo amore, le sue ansie, le
sue gioie, impastate della propria umanità : cattiveria, rabbia,
egoismo , angoscia) è celebrato nell'Eucaristia, viene offerto al
Padre perché lo trasformi nel Suo Figlio offertosi per Tutti.
Mi piace pensare che come l'ostia è fatta di grano, con delle imperfezioni,
proprie della farina, dell'acqua, della cottura, così anche noi
con le nostre imperfezioni siamo resi 'ostie', e trasformati dallo Spirito
per essere dono al Padre e ai fratelli.
In quel Pane che raccoglie simbolicamente il Regno e il pane quotidiano,
[che come dice la Zarri , dopo l'incarnazione ha una valenza simbolica
Sacramentale: infatti se nella preghiera chiediamo solo il pane compiamo
un divorzio, una scissione da ciò che ha realizzato Gesù;
da ciò che ci fa dire col Padre Nostro: prima il Regno e poi il
pane quotidiano: Pane che è la realtà di ognuno di noi,
storica, spaziale, del qui e oggi che se vissuto pienamente diventa realizzazione
del Regno. (cfr. A. Zarri, Nostro
Signore del deserto teologia e antropologia della preghiera, Cittadella
1991 III ed. , pagg. 73-76)] ritrovo l'invito pressante all'unità
del mio esistere : le ansie, le paure, le divisioni permangono,ma sono
fatte da Gesù eucaristia per diventare segno dell'amore di Dio:
in quel pane ci sono anch'io, c'è ognuno di noi.
Così anche la condivisione fraterna o se vi si riesce la revisione
di vita sono un servizio di ognuno verso l'altro e quindi, a pioggia, come
per le benedizioni di Abramo, a tutta la nostra comunità, alla Chiesa
che è in Rivarolo, ai nostri colleghi di lavoro o di pensione ,
alla società, al mondo.
Volevo terminare ricordando le Monache certosine di Dego: la Badessa
ogni giorno attacca le notizie più pesanti o anche più
gioiose del giornale all'ingresso della loro cappella, perché il
mondo sia presente nella preghiera di queste suore di clausura.
Loro non lasciano il mondo fuori della porta della Chiesa; e noi..
?
Abbreviazioni
ALW Archiv fur Liturgierwissenschft , Maria
Laach- Ratisbona
A.T. Antico testamento.
CAL Centro Azione Liturgica, Roma.
C.C. Civiltà Cattolica.
D.S. H.DENZINGER–A.CHONMETZER, Enchiridion
Symbolorum Definizionum et Declarationum de rebus fidei et morum, Herder,
1976 (36).
G.S. Costituzione pastorale Gaudium et spes
sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, 7/12/1965.
L.G. Costituzione dogmatica Lumen gentium
21/11/1964 sulla Chiesa
LXX Versione greca dell’ A.T. detta dei ‘Settanta’.
P.O. Decreto Presbiterorum ordinis sul ministero
e la vita sacerdotale, 7/12/1965
R.L. Rivista liturgica.
NdL Nuovo dizionario di Liturgia, Ed, Paoline
Roma, 1984.
NdT Nuovo Dizionario di Teologia,. Paoline,
Roma, 19823.
N.T. Nuovo Testamento.
RasT Rassegna di teologia.
S. C. Costituzione conciliare Sacrosanctum
concilium sulla sacra liturgia, 4/12/1963.