Il primo giorno degli
Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù:
«Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare
la Pasqua?». Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo
loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo
con una brocca d'acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite
al padrone di casa: "Il Maestro dice: Dov'è la mia stanza, in cui
io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?". Egli vi mostrerà
al piano superiore una grande sala arredata e già pronta; lì
preparate la cena per noi».
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A parlare del Corpo del Signore in una piccola ostia si corre il rischio di dire tante parole e non dire niente. Ci vorrebbe forse un teologo, perché si parla di un mistero di fede grandissimo, il pane e il vino che nella consacrazione diventano il corpo e il sangue di Gesù Cristo. Nell’Eucarestia celebriamo la disponibilità gratuita e incondizionata del Signore: Dio si pone umilmente nelle nostre mani. Certo ci vuole fede per accogliere questo mistero. Ma anche gli Apostoli hanno avuto difficoltà a capire le parole del Signore: “Se non mangiate la carne del figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue non avrete in voi la vita.” Parole incomprensibili specialmente per degli ebrei, dato che nella cultura ebraica era proibito bere il sangue e persino toccarlo. Però gli apostoli si sono fidati delle parole del Signore.
Anch’io allora mi fido e credo che l’Eucarestia sia un dono grandissimo finalizzato a trasformare la nostra vita ed entrare in comunione con Dio. Però credo anche che non si possa fare vera comunione con Cristo se siamo indifferenti agli altri e alla loro sofferenza, se siamo divisivi tra noi e a volte ci odiamo. La comunione Eucaristica mi unisce alla persona che ho accanto e con la quale forse non ho un buon rapporto, ma mi unisce anche ai fratelli lontani in ogni parte del mondo.
Non basta avvicinarsi a questo mistero solo nell’altare: il Corpo di Cristo che incontriamo nell’Eucarestia lo incontriamo anche nel povero, nel fratello che soffre. Non possiamo onorare il Cristo Eucaristico e nello stesso tempo trascurare il Cristo che ha fame e sete, che è forestiero, ignudo, malato e carcerato. Colui che ha detto “Questo è il mio corpo” è lo stesso che ha detto “Voi mi avete visto affamato e non mi avete nutrito”, e lo stesso che ha detto “Quello che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli l’avete fatto a me”. Per noi credenti, e anche per i non credenti, la salvezza si gioca nell’amore per i poveri. È nei poveri infatti, nella loro concreta storia e identità, che il Cristo si è identificato. E nel volto del povero che c’è Dio. È qui che per me sta tutta la teologia. Certo: il povero, il senza fissa dimora, lo zingaro, il malato,quelli che sono ai margini della società. Non sono attraenti, normalmente imbarazzano, spesso sono sporchi e puzzano, si presentano a noi anche importunandoci e chiedono che gli diamo qualcosa. La carità verso questi ultimi è un tempo di misericordia e di salvezza: non sciupiamolo. Nell’ultimo giorno potranno intercedere per noi.
E ancora una piccola riflessione
su l’Eucarestia come mistero di comunione. Comunione significa scambio,
condivisione. Quello che è mio è tuo e quello che è
tuo è mio. Applicata questa regola alla Comunione Eucaristica è
qualcosa di enormemente meraviglioso. Uno scambio con Gesù: allora
io cosa posso dare? Sicuramente le mie miserie e il mio peccato. Gesù
mi dona la sua santità, per essere in comunione anche con i fratelli,
specialmente gli ultimi, i suoi preferiti, e poter essere attento in modo
concreto alle loro necessità. Gesù ha detto “Date voi
a loro da mangiare”.