Osea, il momento storico,
la sua vicenda personale, il libro.
Siamo alla seconda tappa del nostro cammino
sui passi dei profeti, e oggi la nostra attenzione si rivolge sul profeta
Osea, di cui abbiamo letto un pezzetto significativo.
Osea fa parte dei cosiddetti "profeti minori", ma l'aggettivo "minori"
è dovuto alla brevità di libretti e non al valore del loro
contenuto. Osea in effetti ha un valore molto alto nella storia della rivelazione
di Dio, perché è il primo che presenta in maniera così
forte un Dio da amare e non da temere, un Dio che è prima di tutto
Amore smisurato, come e più dell'amore di uno sposo per la sua sposa,
come e più dell'amore di un padre o di una madre per il figlio del
suo grembo.
Osea vive nell'VIII secolo a.c. nel regno
del Nord al tempo di Geroboamo II ed è contemporaneo di Amos e precede
di poco Isaia, ed è quindi uno dei più antichi del movimento
profetico. Il periodo storico era molto turbolento, specie dopo la morte
di Geroboamo II: in 15 anni si succedono cinque re, alcuni dei quali assassinati
dopo pochi giorni dalla loro elezione. Non mi è possibile ovviamente
darvi un quadro preciso della situazione, ma vorrei rendervi in breve il
clima generale, così come emerge dai commenti che introducono la
Bibbia, in particolare i libri storici. Era un periodo di corruzione che
aveva portato a grossi problemi sociali con profonde fratture tra una minoranza
sfrenatamente ricca e una maggioranza povera, oppressa e emarginata, lusso
sfrenato da un lato e miseria diffusa dall'altro. Le campagne erano
sfruttate senza pietà e c'era ingiustizia ovunque. La corruzione
in effetti risale alla fine del regno di Salomone, duecento anni
prima. Nel primo libro dei Re si dice di Salomone: "Ma il re Salomone
amò donne straniere, moabite, ammonite, idumee, di Sidòne
e hittite, appartenenti a popoli, di cui aveva detto il Signore agli Israeliti:
«Non andate da loro ed essi non vengano da voi: perché certo
faranno deviare i vostri cuori dietro i loro dei». Salomone si legò
a loro per amore. Aveva settecento principesse per mogli e trecento concubine;
le sue donne gli pervertirono il cuore. Quando Salomone fu vecchio, le
sue donne l'attirarono verso dei stranieri e il suo cuore non restò
più tutto con il Signore suo Dio come il cuore di Davide suo padre."
(1 Re 11, 1-4). Alla morte di Salomone il regno si divise e iniziò
un lungo periodo di guerre e alleanze con popoli stranieri, che portarono
al mescolamento dei riti religiosi di Israele con riti pagani, specialmente
quelli per propiziare raccolti abbondanti in agricoltura.
Chiaramente tutta questa situazione, sia
di violenza e ingiustizia che di inquinamento della fede originaria col
paganesimo, non poteva piacere a Osea, che apparteneva ad un circolo levitico.
In un commento che ho letto si dice una cosa che ce lo rende subito vicino,
e cioè che, traducendo in linguaggio moderno, Osea apparteneva in
sostanza ad una "congregazione" o a una "comunità di base", un gruppo
di famiglie legate dallo stesso sentimento religioso e che si impegnano
con uno stile e un fine unitario. In particolare il loro scopo era in sostanza
la predicazione delle antiche tradizioni e della legge ricevuta da Mosè.
È in questo contesto che si sviluppa
la dolorosa esperienza matrimoniale di Osea, di cui si può fare
una ricostruzione approssimativa, in quanto il racconto dello stesso Osea
alterna i fatti personali con la loro visione trasfigurata, in cui Dio
e il popolo eletto si sostituiscono a Osea, la moglie e i figli. Osea sposa
Gomer e ha tre figli, presumibilmente dello stesso Osea. Però Gomer
lo tradisce, e quello che sembra più probabile è che Gomer
avesse iniziato a praticare la "prostituzione sacra" all'interno dei riti
cananei per ottenere la fecondità della terra, del bestiame
e dell'uomo. Questi riti si svolgevano su delle alture dedicate, e ad essi
si fa spesso riferimento nella Bibbia, ad esempio quando si dice che un
certo re, ad esempio Giosafat o Amazia o Azaria, fece tutto quello che
era gradito al Signore "ma non scomparvero le alture", quasi a indicare
il restare di un bubbone, un tumore, nel corpo di Israele. È quindi
ovvio, per noi oggi ma anche per il levita di allora, che questi riti apparissero
come delle vere oscenità.
Osea quindi vive una fortissima "delusione"
per Gomer e il suo doppio tradimento: di sé stesso come uomo e della
fede levitica in favore del culto di Baal. Ma in questa esperienza
dolorosa Osea ha la rivelazione di quelli che dovevano essere i sentimenti
di Dio stesso. Osea pensa: "Dio è deluso come me; io sono amareggiato
perché mia moglie mi ha tradito con altri uomini e Dio è
amareggiato perché il popolo che si è scelto lo tradisce
con il culto ad altri dei". Intuisce quindi che è lui, Osea, che
sta sperimentando cosa deve provare Dio. E siccome lui ama veramente Gomer
e non desidera altro che perdonarla e averla di nuovo come moglie, una
moglie che lo ami come marito e non che lo tema come padrone, Osea arriva
a capire che Dio non può che amare l'uomo con sentimenti di amore
profondo così come li prova lui, anzi, molto più grandi.
Nel libro di Osea si svolge quindi come un
giudizio pubblico, in cui Osea/Dio accusa la moglie/popolo dei suoi tradimenti,
ne ripudia i figli, minaccia punizioni severe, per poi, incredibilmente,
sciogliersi in parole di amore viscerale, materno e promettere il perdono.
Su questa descrizione sintetica del libro
possiamo innestare alcune riflessioni. Su quello che Osea voleva dire al
suo popolo e su quello che dice a noi oggi. Ma anche su quello che noi
possiamo cogliere, per la nostra vita, dal suo modo di essere profeta.
Il messaggio di Osea:
1) il ritorno alla vera legge
Nel processo/dibattito che Dio avvia contro
il suo popolo, Dio dice chiaramente che non gli importa niente del culto
esteriore. Il popolo si è allontanato dalla vera fede e Dio minaccia
di farlo tornare in Egitto, di disfare la liberazione dell'Esodo ("Efraim
ha moltiplicato gli altari, ma gli altari sono diventati per lui un'occasione
di peccato... Essi offrono sacrifici e ne mangiano le carni, ma il Signore
non li gradisce; si ricorderà della loro iniquità e punirà
i loro peccati: dovranno tornare in Egitto. Israele ha dimenticato il suo
creatore, si è costruito palazzi; Giuda ha moltiplicato le sue fortezze.
Ma io manderò il fuoco sulle loro città e divorerà
le loro cittadelle..") (Os 8, 11-14). L'allontanamento del popolo è
prima di tutto nel degrado morale ("Non c'è infatti sincerità
né amore del prossimo, né conoscenza di Dio nel paese. Si
giura, si mentisce, si uccide, si ruba, si commette adulterio, si fa strage
e si versa sangue su sangue.") (Os 4, 1-2) e poi nell'adozione di pratiche
idolatriche, incluso la prostituzione sacra ("Il mio popolo consulta
il suo pezzo di legno e il suo bastone gli dà il responso, poiché
uno spirito di prostituzione li svia e si prostituiscono, allontanandosi
dal loro Dio. Sulla cima dei monti fanno sacrifici e sui colli bruciano
incensi sotto la quercia, i pioppi e i terebinti, perché buona è
la loro ombra. Perciò si prostituiscono le vostre figlie e le vostre
nuore commettono adulterio.") (Os 4, 12-13).
Il messaggio vale anche per noi, oggi. Per
quanto riguarda il degrado morale può sembrare ovvio, ma non lo
è così tanto se pensiamo alle forme più velate e subdole
di "si uccide, si ruba, si fa strage" che ancora ci sono da noi, tutte
quelle legate al nostro appoggiare sistemi e decisioni politiche che vanno
chiaramente contro la giustizia sociale o che tollerano o addirittura appoggiano
il sistema di guerra perenne e lo schiacciamento di popoli più deboli
da parte di altri popoli armati fino ai denti. Ma poi vale per l'idolatria,
così difficile da vedere in una nazione cristiana come la nostra.
Eppure quanti riti e sacrifici si fanno, nella nostra società, al
dio denaro, al dio successo, al dio prestigio, al dio immagine... E penso
anche alle forme ancora più sottili di idolatria nascoste nelle
pieghe dei nostri riti "cristiani"... ai "miracoli" che se si ripetono
portano fortuna.., ai riti di benedizione per proteggerci dal mal di gola
o da chissà cosa altro...
L'invito pressante è quindi quello
di tornare alla vera legge. E per noi cristiani, che nel Vangelo di domenica
prossima, seconda di Quaresima, contempliamo Gesù trasfigurato in
mezzo a Mosè e Elia, sappiamo che è in Gesù, Parola
di Dio, che converge tutta la Legge e i Profeti. Quel Gesù che ci
dice " Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo
in spirito e verità" (Gv 4, 24). Quindi vigiliamo sempre su
di noi per non far diventare Gesù, il Figlio di Dio, e il Padre
celeste, degli idoli portafortuna, ma ritorniamo spesso alla fonte vera,
alle parole di Gesù riportate nei Vangeli, alla Buona Notizia delle
Beatitudini, per adorare sempre il Padre in spirito e verità.
Il messaggio di Osea:
2) l'amore smisurato di Dio
Il messaggio fondamentale di Osea è
però quello dell'amore sconfinato di Dio verso il suo popolo, verso
l'umanità. Dio accusa il tradimento, ma alla fine è Lui che
desiste dai suoi propositi di punizione severa: "Come potrei abbandonarti,
Efraim, come consegnarti ad altri, Israele? ... Il mio cuore si commuove
dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo
all'ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Efraim, perché
sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verrò nella
mia ira." (Os 11, 8-9).
Incredibile! È Dio che si converte,
è Dio che rinuncia al castigo. E questo perché è Dio,
e non uomo. Intuizione grandiosa di Osea, o meglio possiamo chiamarla grande
rivelazione da parte di Dio, confermata da Gesù in tutta la sua
vita e le sue parole. Dio ha un amore testardo e viscerale per noi, come
una mamma per il suo bimbo, che non desiste mai. Un amore che vale per
ciascuno di noi. Un amore che perdona, prima della nostra conversione.
Lo abbiamo visto anche due domeniche fa con l'episodio del paralitico.
Gesù gli perdona i peccati senza che lui lo chieda... E noi che
facciamo una fatica enorme a perdonare anche dopo che chi ci ha offeso
si è pentito e viene a chiederci scusa! Il perdono di Dio non lo
si può guadagnare. Quando ci rendiamo conto di quante volte lo abbiamo
tradito, lo abbiamo dimenticato per inseguire i nostri idoli, abbiamo fatto
soffrire chi ci sta intorno per il nostro egoismo o abbiamo fatto finta
di non vedere chi stava male e aveva bisogno del nostro aiuto, anche solo
una visita o un bicchiere di acqua fresca, non possiamo fare niente per
guadagnare il perdono di Dio. Il perdono di Dio viene gratis e a noi sta
solo accoglierlo.
E poi c'è l'altro aspetto dell'amore
di Dio, e è quello che Lui non cancella solo le colpe, ma rinnova
l'essere, anzi ci rende ancora più nuovi di prima, di quando eravamo
"nuovi di zecca": "Là canterà come nei giorni della sua
giovinezza, come quando uscì dal paese d'Egitto. E avverrà
in quel giorno - oracolo del Signore - mi chiamerai: Marito mio, e non
mi chiamerai più: Mio padrone.". Se Osea sente non solo di voler
perdonare la moglie ma di iniziare con lei un rapporto nuovo, un rapporto
in cui lei lo ami come marito e non come padrone, allora vuol dire che
Dio non vuole essere temuto come i sudditi temono un re, ma amato come
una moglie ama il marito, come un figlio ama il padre e la madre.
"La condurrò nel
deserto"
Ma c'è un'ultima considerazione da
fare: Osea/Dio, riguardo alla moglie/popolo, dice "la attirerò
a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore"
(Os 2, 16). Noi magari ci facciamo un'idea romantica del deserto. Ai campi
facciamo un'ora di "deserto", magari camminando nel bosco intorno alla
casa o sedendoci sotto i castagni. Nella realtà il deserto non è
un luogo molto ospitale, come ci sottolineava domenica scorsa suor Diletta
al Santuario delle Grazie. Nel deserto non c'è riparo, non c'è
acqua. Per Osea il deserto ricorda il luogo storico della liberazione di
Israele dall'Egitto, il luogo dove è avvenuto il "fidanzamento"
di Dio col suo popolo, il luogo dove Israele era senza più niente,
senza certezze, senza il pane assicurato che avevano in Egitto, e dipendeva
totalmente dalla misericordia di Dio. Niente più certezze, solo
speranze. Il deserto è quindi anche il luogo simbolico dove Gomer,
lontana dai suoi amanti, potrà riscoprire l'amore vero di Osea.
In tutto questo io vedo un grande insegnamento
spirituale, quanto mai puntuale per questo inizio di Quaresima: il significato
profondo di "fare deserto" e soprattutto il grande valore dei periodi non
voluti di deserto nella nostra vita.
Fare deserto significa distacco dai beni,
dalle comodità; ritornare all'essenziale; riscoprire la provvidenza
e la misericordia di Dio. Questo è quello che dobbiamo cercare di
fare. Staccarci dai tanti amanti che ci lusingano con anelli e collane
per ritrovare Chi ci dà l'amore vero. Staccarsi il più possibile
dai legami con le cose esteriori per ritrovare Dio nel profondo. Questo
è il senso che possiamo veramente dare alla nostra Quaresima.
Spesso però non ci riusciamo, da soli,
a fare deserto, o quello che facciamo non basta a riscoprire l'amore di
Dio. Certe volte, allora, ci pensa la vita stessa: senza che noi possiamo
sceglierlo, ci troviamo in mezzo al deserto, ci troviamo nella melma. Perdiamo
le sicurezze che avevamo, che siano sicurezze economiche o sicurezze affettive,
sicurezze di prestigio e onorabilità o sicurezze di salute... Tutto
traballa, gli appoggi che ci facevano stare saldi in piedi non ci sono
più, le protezioni che avevamo dalle intemperie sono sparite, ci
ritroviamo soli, nudi. Ci ritroviamo nel mezzo di niente, spersi nel deserto.
Stiamo ben attenti a non maledire queste situazioni della nostra vita,
perché è proprio da lì che passerà Dio, è
proprio lì che Dio ci parla d'amore!
Osea ascolta il cuore
di Dio da dentro la propria situazione personale
Per concludere, un paio di riflessioni su
quello che noi possiamo cogliere, per la nostra vita, dal suo modo di essere
profeta. La volta scorsa, nel presentare la vocazione di Geremia e i tratti
generali che caratterizzano un profeta, Claudio ricordava le parole di
San Giovanni Crisostomo, che alla sua comunità diceva che i cristiani,
con il battesimo, sono fatti re, sacerdoti e profeti. Ora sappiamo che
il profeta è colui che parla in nome di Dio. Ma il profeta può
annunciare la parola di Dio solo se ascolta la voce di Dio. Il profeta
dice ciò che ha udito da Dio. Come si fa ad ascoltare la voce di
Dio? Osea ci dice che possiamo ascoltarla nella nostra vita quotidiana,
nelle vicende della nostra vita. Accettando e non rifiutando quello che
ci capita, pronti a cogliere in ogni nostra vicenda quello che il Signore
ci dice e ci chiede. In quel momento preciso, in quella situazione specifica,
non in termini generici.
Un esempio molto personale. Quando Barbara
se n'è andata, io, pur consapevole che lei aveva tutte le sue ragioni
per essere delusa di me e per volere una vita nuova, sono stato per un
certo periodo molto amareggiato. Però un giorno, forse a seguito
del fatto che lei mi aveva detto di rammaricarsi di non poter fare la comunione,
mi son sentito di rivolgermi al Signore dicendogli "non ti azzardare a
volerle fare alcun appunto, alcuna colpa!". E qui ho avuto un flash di
illuminazione e ho pensato: "se io che sono str..cattivo mi sento di dire
questo a Dio, come potrebbe lui, Amore infinito, volerla tenere fuori dalla
comunione con Lui stesso?". Ho capito così il significato profondo
della frase di Gesù "a chi rimetterete i peccati saranno rimessi"
(Gv 20, 23). Non ho voluto approfondire con la testa le conseguenze su
come potremmo interpretare la riconciliazione, ma ho colto la grandissima
responsabilità che abbiamo nel perdonare il nostro prossimo.
Pensavo quindi alla nostra Comunità
come luogo privilegiato in cui poter essere profeti l'uno per l'altro attraverso
la condivisione. In particolare la condivisione non tanto delle idee o
di quello che ci capita nella vita, ma soprattutto di quello che Dio ci
ha detto e fatto capire attraverso le nostre vicende vissute fino in fondo,
con atteggiamento di ascolto e di fiducia. Queste nostre condivisioni,
che potremmo dire "profetiche", devono essere ascoltate con grande attenzione
e rispetto. Il loro scopo principale, per chi le ascolta, è di essere
una guida, una cartina stradale, un'indicazione per muoverci e fare noi
stessi esperienza di ascolto di Dio. Non possiamo confondere Dio con quello
che di Lui ci è stato detto, come non possiamo contentarci di aver
letto una guida di Londra e credere di aver sperimentato le sue atmosfere,
non possiamo contentarci di aver letto la guida CAI della salita al Castore
e credere di conoscere cosa vuol davvero dire essere su una cresta di neve
sopra 4000mt! Non possiamo illuderci di conoscere le prelibatezze di un
noto ristorante della riviera mangiando il menù! Certe cose vanno
vissute; non può bastarci il sentito dire. Aiutarci vicendevolmente
a metterci in ascolto della voce di Dio è il più grande servizio
fraterno che possiamo farci!
Una traccia di cammino
quaresimale
Ecco quindi che all'inizio di questa Quaresima
ci troviamo un cammino tracciato da questa riflessione su Osea, che riprende
in sostanza il cammino delineato domenica scorsa da suor Diletta. Usare
di questo tempo per far un po' di "deserto" seguendo l'invito di Gesù
ai discepoli nell'orto degli ulivi: "vegliate e pregate". Distaccarci per
quanto possiamo dalle cose esteriori in cui cerchiamo soddisfazioni, dai
nostri idoli, dalle "puttanate" di cui, io per primo, ci riempiamo la vita
(traduzione in termini moderni e popolari del termine "prostituzione" usato
da Osea), non per fare penitenza fine a sé stessa, ma per essere
meno distratti e arrivare a cogliere meglio l'essenza della vita,
anche attraverso le meraviglie della creazione. Vegliare, essere attenti,
cogliere l'amore di Dio che opera in ogni nostro minuto nella nostra vita,
ascoltare cosa ci dice attraverso le nostre specifiche situazioni concrete.
E, come gridava Osea al suo popolo, tornare alla vera fede, che per noi
significa fissare di più l'attenzione su Gesù, in cui convergono
tutta la Legge e i Profeti, quello di cui la voce nella nube, testimoniata
da Pietro, Giacomo e Giovanni, dice: "Questo è il mio Figlio,
l'Amato. Ascoltatelo!"
Libro
dei Dodici Profeti
Dal libro del Profeta Osea
Osea - Capitolo 2
[4]Accusate vostra madre, accusatela,
perché essa non è più mia moglie e io non sono più suo marito! Si tolga dalla faccia i segni delle sue prostituzioni e i segni del suo adulterio dal suo petto; [5]altrimenti la spoglierò tutta nuda e la renderò come quando nacque e la ridurrò a un deserto, come una terra arida, e la farò morire di sete. [6]I suoi figli non li amerò, perché sono figli di prostituzione. [7]La loro madre si è prostituita, la loro genitrice si è coperta di vergogna. Essa ha detto: «Seguirò i miei amanti, che mi danno il mio pane e la mia acqua, la mia lana, il mio lino, il mio olio e le mie bevande». [8]Perciò ecco, ti sbarrerò la strada di spine e ne cingerò il recinto di barriere e non ritroverà i suoi sentieri. [9]Inseguirà i suoi amanti, ma non li raggiungerà, li cercherà senza trovarli. Allora dirà: «Ritornerò al mio marito di prima perchè ero più felice di ora». [10]Non capì che io le davo grano, vino nuovo e olio e le prodigavo l'argento e l'oro che hanno usato per Baal. [11]Perciò anch'io tornerò a riprendere il mio grano, a suo tempo, il mio vino nuovo nella sua stagione; ritirerò la lana e il lino che dovevan coprire le sue nudità. |
[12]Scoprirò allora le
sue vergogne
agli occhi dei suoi amanti e nessuno la toglierà dalle mie mani. [13]Farò cessare tutte le sue gioie, le feste, i noviluni, i sabati, tutte le sue solennità. [15]Le farò scontare i
giorni dei Baal,
Là canterà
[21]Ti farò mia sposa
per sempre,
|