Venerdì 23 novembre 2018

Serata a seguito del 36° Incontro Biblico, Convento dei Frati Minori Cappuccini in Santa Caterina da Genova

«Signore, insegnaci a pregare»


L'annuncio di stasera è centrato sul "Padre Nostro", ma si allarga anche alla preghiera in generale, secondo gli insegnamenti di Gesù. Scelgo la versione di Matteo perché è il "Padre Nostro" che conosciamo, quello più completo. Quello di Luca è di poco più sintetico. Il brano di Matteo è contenuto all'interno del Cap. 6, al centro del lungo "discorso della montagna", che prende i capitoli, 5, 6 e 7. Questo discorso inizia con le "Beatitudini" e prosegue poi con un gran numero di insegnamenti. Ad esempio quelli che iniziano con "Avete inteso che fu detto agli antichi "non uccidere... non commettere adulterio... ma io vi dico..." e poi quelli sulla verità della devozione (elemosina, digiuno) e sulla vera volontà di entrare nel Regno dei Cieli (entrare per la porta stretta, fare la volontà del Padre, edificare sulla roccia...). In Luca invece l'insegnamento del Padre Nostro è collocato nel continuo girovagare di Gesù, tra insegnamenti, dibattiti con i farisei e incontri vari. Ad esempio, subito prima di questo brano c'è l'episodio del pranzo in casa di Marta e Maria, quando Marta è presa dal cucinare e Maria invece sta ai piedi di Gesù ad ascoltarlo.

Leggiamo ora il brano di Matteo, Cap 6, versetti 7-13, nella traduzione CEI del 2008:
7Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. 8Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate. 9Voi dunque pregate così:

Padre nostro che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome,
10venga il tuo regno,
sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra.
11Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
12e rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,
13e non abbandonarci alla tentazione,
ma liberaci dal male.

Mi piace però aggiungervi la premessa, un po' diversa, che ne fa Luca al Cap 11, nei versetti 1-2:

1 Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». 2Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: ...

In questa premessa è un discepolo che chiede a Gesù di insegnare loro a pregare... e del resto, se lo aveva fatto Giovanni...
Ma perché, non sapevano come pregare, non avevano gli "strumenti"? Avevano ad esempio i salmi, che sono praticamente tutti preghiere, di lode, di richiesta di aiuto, di richiesta di perdono, di ringraziamento, di richiesta di guida... ma forse non sembravano abbastanza efficaci per entrare in contatto con Dio. I discepoli avevano visto Gesù che si ritirava in preghiera e molto probabilmente notavano in lui qualcosa di diverso quando tornava... Qual'era il suo segreto? Come essere efficaci nella preghiera? Da qui la richiesta al loro rabbì.

Farei qui però una prima digressione, sul tema della preghiera. Ripenso a quando Gesù dice ai discepoli che tornano dalla loro prima missione di annuncio della Buona Notizia "Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po'". Stare un po' in disparte con Gesù e riposarsi in lui non è forse già questo preghiera? Sì, stare un po' con lui è l'essenza della preghiera. E se riuscissimo a vedere i momenti di preghiera come momenti di riposo e non come momenti di impegno!!!! Se ad esempio una casalinga o un lavoratore autonomo, a metà mattina o a metà pomeriggio si dicesse "ora mi voglio riposare 10 minuti" e dedicasse 10' a stare in silenzio alla presenza di Gesù... io sono convinto che il contatto con Dio funzionerebbe bene!

Torniamo al brano di Matteo. Gesù aveva detto, subito prima, di NON fare come gli ipocriti che amano pregare in modo da essere visti, ma di pregare nel segreto della propria stanza, dove solo Dio ti vede. Ora aggiunge di non stare a fare tanti discorsi, di non sprecare parole, perché il Padre sa già di cosa abbiamo bisogno. E invece di fare una lunga lezione su come pregare, suggerisce semplicemente una serie di atteggiamenti con cui rivolgersi al Padre, di desideri da coltivare e dai quali far illuminare la vita di tutti i giorni. Li vedremo ora più in dettaglio, per ridare vita ad una preghiera che, essendo nota, rischia di scivolarci addosso  con troppa facilità.

Io prima però aggiungerei un atteggiamento #0, pensando a quanto Gesù dice alla Samaritana: "Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità". Dio è spirito, è soffio, e nessuno lo conosce ("Perché nessuno ha visto il Padre, se non colui che è da Dio; egli ha visto il Padre", Gv 6,46)... e già questo ci dice di mettersi davanti a Dio in massima umiltà, senza pretendere di conoscerlo... Metterci davanti a Lui "in spirito e verità". Questa espressione ha certamente significati di alta teologia troppo alti per me, ma io voglio leggerlo come mettersi davanti a Dio con tutto il nostro vero essere, con tutto il nostro spirito, il nostro "software", sentimenti, inclinazioni, paure, senza mettersi delle maschere, senza atteggiarsi a quello che pensiamo di dover essere: Dio ci conosce per quelli che siamo, nel profondo, meglio di come ci conosciamo noi...

Padre nostro, che sei nei cieli
Dio nessuno lo conosce, se non il Figlio. Nell'Antico Testamento Dio viene chiamato con tanti appellativi, l'Altissimo, l'Eterno, il Santo, l'Onnipotente, il Terribile. Gesù ce lo svela come Padre, anzi, più confidenzialmente come Abbà, Babbo, Papà, e per la preghiera ci suggerisce proprio di metterci davanti a Dio come Padre/Madre. E "nostro", per di più, cioè di tutti.
Che tipo di padre? Non c'è alcun dubbio: come il padre della parabola del padre misericordioso. Che potremmo anche chiamare il padre disgraziato, quello che aveva due figli che non si sentivano figli. Il primo che chiede la sua parte di eredità, come se il padre fosse già morto. E se ne va di casa a fare il gaudente. E quando torna, perché si ritrova alla fame, chiede di essere trattato come uno dei servi... Ma il padre lo fa rivestire e mettere l'anello al dito, come deve essere per un figlio. E il secondo che fa i musi e accampa rivendicazioni: "non mi hai mai dato nemmeno un capretto per fare festa". Nemmeno lui si sente figlio; aveva sempre visto il padre come il datore di lavoro! Ma il padre lo supplica: "tutto ciò che è mio è tuo".
Dio ci vuole figli, non servi. E questo è l'atteggiamento che suggerisce Gesù. È una cosa grande poterci rivolgere a Dio come a un papà che ci capisce e ci ama! Ma noi ci sentiamo figli? Siamo contenti di avere un Padre così, che pur amandoci di un amore infinito non risolve i problemi con la bacchetta magica ma chiede a noi di collaborare a sistemare le cose nella nostra casa comune? E ci sentiamo fratelli con gli altri uomini e donne, anche se hanno la faccia diversa e abitudini diverse? Dio ci vuole figli, e quindi fratelli tra noi!

Sia santificato il tuo nome
Sì, con questa espressione Gesù ci chiede di desiderare che la santità di Dio, la sua grandezza, il suo amore infinito, sia sentita da noi stessi e riconosciuta da ogni persona. Di conseguenza questo ci impegna a non usare il nome di Dio per nostri fini personali o per fini di potere (come esempio semplice e "familiare", dire a un bimbo "se non fai così Gesù si arrabbia") e a non storpiare in qualsiasi modo il nome di Dio e la sua immagine: ad esempio ogni volta che lo facciamo apparire come fazioso, un Dio che sta dalla parte della nostra nazione e schifa gli altri suoi figli, non lo facciamo apparire bene, non lo santifichiamo. Ogni volta che lo dipingiamo come vendicativo, non lo santifichiamo. Ogni volta che, pur proclamandoci credenti in Dio, ci litighiamo per interesse, freghiamo gli altri in un contratto o nel commercio, facciamo le scarpe ai colleghi di lavoro, puntiamo il dito contro i "diversi", siamo incapaci di perdonare anche un piccolo torto subito... non è che gli facciamo fare una bella figura davanti ai non credenti, e soprattutto alle persone in ricerca di una fede!

Venga il tuo regno
Gesù ci chiede di desiderare che venga il Regno di Dio, o Regno dei cieli, quello che lui è venuto ad annunciare: "Gesù andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona novella del regno" (Mt 4,23). Si potrebbe andare avanti per ore a tentare di spiegare cosa si debba intendere per Regno di Dio. Gesù stesso non ha dato definizioni, ma solo esempi... "Il regno dei cieli è simile... a un granello di senape... al lievito... a un tesoro nascosto... a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio..." o al padrone della vigna della parabola degli operai dell'ultima ora, esempi da accogliere senza eccessivi ragionamenti, ossia senza prenderli alla lettera ma cogliendone il "profumo". Il Regno di Dio va accolto, in sostanza, con il cuore di un bimbo: "Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso" (Mc 10,15).
Mi piace anche ricordare la frase di Gesù in risposta ai farisei: "Il regno di Dio non viene in modo da attirare l'attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o: eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!" (Lc 17,21). Il Regno di Dio è in mezzo a noi ogni volta che prevale lo Spirito di Dio, ogni volta che viviamo come fratelli e sorelle, ogni volta che tra noi c'è solidarietà, attenzione, amore, comprensione, perdono. San Paolo dice anche lui qualcosa al riguardo: "Il regno di Dio infatti non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo" (Rm 14,17).
Quindi, con l'espressione "Venga il tuo Regno", Gesù ci invita a desiderare che si instauri tra noi questo modo di vivere, che lo chiediamo al Padre e che, di conseguenza, ci mettiamo l'impegno che riusciamo a metterci per essere noi stessi costruttori di questo regno, costruttori di giustizia, costruttori di pace... e in fondo costruttori di gioia!

Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra
Certamente dobbiamo evitare di dare all'espressione "Sia fatta la tua volontà" il significato che molto spesso le si dà nel linguaggio comune, che è quello di accettare le difficoltà, le malattie o le disgrazie che "il Signore ci manda". Prima di tutto il Signore non ci manda difficoltà, disgrazie o malattie: è la vita che include queste cose, e molte volte a causa dei comportamenti umani. Pensare che queste cose siano "volontà" di Dio è già togliere santità al nome di Dio! Ma anche se lo intendessimo come accettare tutto quello che la vita ci dà, senza pensare che sia voluto da Dio, l'espressione sarebbe molto riduttiva, perché indicherebbe comunque un atteggiamento passivo.
Gesù invece ci chiede di avere atteggiamenti attivi! Gesù ci chiede di desiderare la volontà del Padre, di cercarla, di farla. Gesù ci chiede fatti, non parole: "Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel Regno dei cieli, ma chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli" (Mt 7,21-23). Ma cosa vuol dire, allora, "fare la sua volontà"?
Questo desiderio che Gesù ci chiede di avere, di esprimere al Padre e di coltivare, riprende chiaramente il precedente sul Regno. Desiderare quindi che anche sulla Terra si realizzi la volontà del Padre, compiutamente come avviene nei cieli, nel mondo dello spirito; desiderare quindi che la vita sulla Terra diventi un'anticipazione di quella del cielo.
Ma desiderare soltanto è ancora poco: dobbiamo cercarla, la sua volontà, e provare a farla nel nostro quotidiano. E questo non può solo significare non fare del male, obbedire ai dieci comandamenti, ma essere costantemente attenti a capire cosa il Signore ci chiede, ora, in questo momento, nella mia situazione... e cercare di farlo. Avere un'attenzione piena di fiducia, perché quello che il Padre ci chiede di fare è la cosa migliore, sia per il pezzetto di mondo intorno a noi che per noi stessi. Il Dio che ci ha rivelato Gesù è assolutamente il Dio della Vita, e ogni ispirazione che ci viene da Lui tende ad un maggior livello di vita, per noi e gli altri.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Nella seconda parte del "Padre Nostro", Gesù ci indica quattro desideri, quattro invocazioni o richieste per noi stessi e per i nostri fratelli. La prima richiesta riguarda il "pane quotidiano", i nostri bisogni materiali. Ma il modo con cui Gesù ci suggerisce di pregare per i nostri bisogni materiali ci dice varie cose: 1) chiediamo il pane, cioè l'alimento di base per il nostro corpo, con un chiaro invito alla sobrietà, a non desiderare il superfluo; 2) il pane è quotidiano, quello che mi basta per la giornata, come avveniva nell'attraversamento del deserto da parte degli ebrei, quando Jahvè mandava la manna che era sufficiente a sfamare per un giorno: Gesù quindi ci invita a desiderare che il Padre ci aiuti nelle nostre necessità di ogni giorno, non a cercare di accumulare beni; 3) il pane lo chiediamo al Padre, riconoscendo che ogni cosa che abbiamo è dono di Dio, anche se noi ci mettiamo lavoro e sudore per ottenerla; 4) il pane è nostro, non mio, e quindi la preghiera si apre nuovamente alla fraternità universale.

Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori
Luca nel suo Vangelo usa un termine greco, tradotto con "peccato", ma che si può tradurre anche con "sbaglio" e che indicava un "tiro fallito", un "bersaglio mancato" per i tiratori con l'arco. È interessante questa precisazione: il mio peccato è ogni bersaglio mancato, ogni tiro fallito...
Questa richiesta che Gesù ci suggerisce presuppone la nostra consapevolezza di avere dei "debiti", e non solo di aver fatto talora cose che sapevamo essere sbagliate, contrarie all'amore, cattiverie verso gli altri, ma in generale di non avere fatto tutto alla perfezione, di esserci impegnati poco, di aver preso male la mira. E se pensiamo alle parole di Gesù "Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena", manchiamo il bersaglio anche quando ci lasciamo prendere dalla tristezza, dalla sfiducia, dal pessimismo, dal vittimismo! Il Padre ci vuole vispi, vivaci, attivi, gioiosi, fraterni: a noi sta rendersi conto di riuscirci poco e di rivolgerci a lui perché ci aiuti.
E c'è da notare anche che quando chiediamo al Signore il perdono dei nostri debiti, non lo facciamo di nostra iniziativa, non è una richiesta che nasce dal nostro bisogno di riconciliazione, ma è Gesù che ci dice di farlo: il Padre non aspetta altro che di abbracciarci e dirci "Figlio mio!". Quindi non dobbiamo mai dubitare che Lui ci perdoni, ma dobbiamo accogliere con gioia il suo amore infinito che ci cerca finché non ci trova e ci salva.
Infine "come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori". È scontato, nell'ottica dell'insegnamento del Cristo, chiederci di essere disposti a perdonare. Pensiamo solo alla parabola cosiddetta "del servo spietato", quello che non condona un piccolo debito ad un servo come lui, dopo aver visto il suo grossissimo debito condonato dal re: "Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello" (Mt 17,33-35). Il Dio rivelato da Gesù è il Dio dell'amore, che non vuole divisioni e ci vuole fratelli, pronti a perdonarci. E se poi guardiamo bene, anche questa richiesta al Padre Gesù l'ha formulata al plurale: chiedo che non sia rimesso solo il mio debito, ma quelli di tutti. È ancora un ribadire che la preghiera apre alla fraternità, che davanti al Padre non ci si mette come figli unici.
Infine, se andiamo ben a vedere, questo è anche un insegnamento spirituale a beneficio di noi stessi, e quindi anche una bella notizia! Gesù ci dice che non siamo condannati ad accumulare rancori verso chi ci ha offeso, così come i rimpianti e i rammarichi verso noi stessi: questi sono sentimenti negativi che affossano la vita del nostro spirito, che uccidono la gioia, che creano una resistenza interiore a ciò che esiste nel momento presente e ci impediscono di cogliere gli innumerevoli doni di vita che riceviamo ogni momento. Ogni giorno perdonare gli altri e noi stessi, vivere intensamente il momento presente, respirare a pieni polmoni e camminare leggeri, senza pesantezze che ci frenano e schiacciano a terra!

E non abbandonarci alla tentazione
La traduzione nuova adottata dalla CEI (in realtà di dieci anni fa) corregge una stortura della traduzione precedente, dove si usava il verbo "indurre" che non corrispondeva neppure al verbo latino "inducere". In Latino inducere indica un lasciar entrare, mentre in Italiano indurre indica uno spingere, un farlo apposta, che è assolutamente una bestemmia: Dio non ci può tentare, tanto per vedere se rispondiamo positivamente o no. Ma a vedere bene, anche "non lasciarci entrare nella tentazione", come hanno tradotto i francesi, è poco convincente, perché tentare significa provare e la tentazione è una prova, un trovarsi a dover scegliere. E nella vita non ci sono solo le grandi prove o le grandi tentazioni, come trovarci davanti alla proposta di un forte e facile guadagno illecito o subire dei grossi torti che ci spingono ad una vendetta. Ci troviamo invece ogni momento a dover scegliere: "mia mamma mi ha chiesto di andarla a trovare domani, ma avrei da fare; ci vado o rimando ancora?"; "mio figlio l'ha combinata grossa, ma se lo metto in punizione salta l'idea di andare al cinema oggi pomeriggio: quasi quasi ci passo sopra...". E poi c'è la tentazione della sfiducia quando le cose non vanno bene, la tentazione di smettere di lottare per recuperare una relazione incrinata, la tentazione di tirare i remi in barca e chiudersi nel proprio guscio... La vita ci mette inevitabilmente alla prova, ci costringe tutti i giorni a scegliere: non possiamo evitare le prove!
L'invito di Gesù è quello di riconoscere che, senza l'aiuto del Padre, le nostre scelte non è scontato che siano per il maggior bene, ma facilmente per il nostro maggior comodo, e quindi di chiedere al Padre che non ci abbandoni mai e ci faccia fare le scelte giuste, quelle che innalzano il livello di vita nostro e di chi ci sta intorno.

Ma liberaci dal male
In conclusione, Gesù ci invita a riconoscere che il male esiste, e che solo il Padre ce ne può liberare, specie se parliamo del male che è dentro di noi, quello di cui parla Gesù: "Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l'uomo" (Mc 7,21-23), ma anche il male che aleggia sulle collettività, ad esempio quando spinge gruppi o anche intere popolazioni ad atteggiamenti di razzismo, di persecuzione o di guerra verso altri popoli o etnie.
Gesù ci chiede l'umiltà di riconoscerci deboli di fronte al male dentro di noi e fuori di noi, ma anche di essere vigilanti, fiduciosi che "Ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio" (Lc 18,27).

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