giovedì 4 giugno 2009
Traccia di riflessione sul Vangelo della festa della Santissima Trinità, anno B


 

“Gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato”. Qual è questo monte? Qualcuno pensa che potesse essere il monte delle Beatitudini È importante che sia quello? Forse no, o forse sì. Nel senso che là era cominciata la predicazione pubblica di Gesù, là era cominciato il suo ministero, e forse è proprio là che si chiude, con l’invio dei discepoli in tutto il mondo.

Per tutti noi, quando vogliamo fare il punto della situazione, quando abbiamo un po’ di nebbia e vogliamo capire bene dove stiamo andando, è importante tornare “a bomba” (forse qui a Genova si dice la “tana”, quella del nascondino), dove tutto è cominciato. Così come abbiamo fatto domenica scorsa per la festa della Comunità dopo 30 anni di vita: siamo tornati da don Prospero, da cui tutto era partito. Siamo tornati di nuovo a respirare quell’aria di fede che smuove il cuore, a ripensare a quando facciamo esperienza reale della presenza dello Spirito nella nostra vita, a riflettere su cosa vuol dire amare Dio.


 

I discepoli, quando lo videro, gli si prostrarono innanzi; alcuni però dubitavano”. Anche oggi, come nelle letture della terza domenica di Pasqua, emerge la fatica dei discepoli a credere. E a noi, questa fatica, fa bene sentirla raccontare da Matteo, che era lì presente. Perché anche noi tante volte stentiamo a credere. A volte ci sembra di vedere dei segni chiari della presenza del Signore risorto nel mondo, in eventi straordinari come il Concilio Vaticano II o nella vita di certi santi anche contemporanei come Madre Teresa, o nelle opere che sanno di incredibile come l’Arsenale della Pace di Torino. Ma, d’altra parte, spesso sentiamo il dubbio che quella presenza sia illusoria, quella santità artificiale, e che le varie missioni dei cristiani siano una velleità puramente umana.
 

Però, il Vangelo continua: “Gesù si avvicinò” e parlò ai discepoli. La riflessione da fare qui è che Gesù si avvicina di sua iniziativa: non siamo noi che ci sforziamo di salire a Dio, ma è Dio stesso che ci viene incontro, in Gesù. Quello che dobbiamo fare noi è solo accorgercene, vederlo, accoglierlo.

Allora penso che dovrei più spesso soffermarmi a ricordare le volte in cui ho colto i segni della sua presenza accanto a me... dalle volte che lo ho sentito vicino nella meditazione... certe volte a Taizé, quella volta giù nella cripta... o quel giorno che da Lourdes ho fatto il giro  al Tourmalet con la moto, son salito ad un laghetto a 2200mt e ci ho fatto il bagno, e poi le foto ai lama e poi panorami bellissimi dietro ogni curva... e io pensavo che quel giorno il Signore stava sempre lì a farmi le sorprese... e poi la sera ho perso le chiavi della moto e la mattina dopo le ho ritrovate subito dal primo guardiano che ho incontrato... Segni della presenza di Dio? Chissà? Dice il salmo 77: “Sul mare passava la tua via, i tuoi sentieri sulle grandi acque e le tue orme rimasero invisibili”... magari un occhio attento riesce a vedere le increspature sull’acqua che indicano il passaggio di Dio....
 

E poi pensavo, anche se non c’entra col Vangelo di oggi, anche al versetto del salmo che dice Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito. Il mio cuore ferito è il luogo privilegiato in cui il Signore si fa vicino a me. Com’è, oggi 4 giugno, il mio cuore? Ferito? Forse solo sbucciato... e io so che Dio è lì, a disinfettarmi le sbucciature. Ecco quindi che, quando il mio cuore è ferito, affranto, spezzato, non voglio ribellarmi e rifiutare il mio essere ferito, perché so che è lì che Tu, Signore, mi vieni vicino... anzi, grazie per tutte le volte che ho sentito il cuore a pezzi, perché era allora che mi abbracciavi più stretto...

Questa faccenda di Gesù che si fa vicino non è tanto marginale, per il cristiano. Spesso, anche nelle nostre condivisioni, emergono dubbi di fede che vengono però dalla sfera intellettuale e riguardano proprietà generiche di Dio, del tipo “perché, se Dio è amore, ci sono tante disgrazie... bimbi che muoiono...”. Dubbi che riguardano una fede generica in un Dio generico, sostanzialmente lontano, che non riesce ad orientare più che tanto la nostra esistenza, a trasformare le nostre azioni. Dobbiamo sempre ricordarci che il cristianesimo, come ci diceva anche Claudio poco tempo fa, non è la religione del “libro”. Il cristiano segue una persona precisa, Gesù, Figlio di Dio, sua Parola, Dio-con-noi, Dio che ha preso il volto di Gesù per farsi vicino a noi.

Questa è però una vicinanza per niente facile. Il Risorto ci mostra un volto di Dio troppo vicino e scomodo: vicino ai poveri e ai piccoli della terra, fragile e disarmato, disposto a perdonare anche i peggiori peccatori, disposto a sopportare le nostre mediocrità. Non resta confinato nel suo cielo, ma si espone qui sulla terra: anzi, lega i due mondi, “mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra”. Ma quale potere? Il suo potere, trasferito ai suoi seguaci, è la possibilità concreta, qui e ora, di essere uomini nuovi, che ricevono da Dio il dono di bene operare. I discepoli sono chiamati quindi ad essere i testimoni del Dio vicino, dal potere non oppressivo, dal volto misericordioso, che riunisce il cielo e la terra. E danno la loro testimonianza così come sono, senza essere dei super-eroi, con la forza disarmata dell'annuncio, fidandosi della sua presenza: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.


 

E Gesù dà il compito ai discepoli: “Ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato”. Il punto su cui fermare l’attenzione è che la Trinità è la radice e il sostegno della Chiesa nata nel giorno di Pentecoste, segno dell'unità di tutto il genere umano. La Chiesa non nasce dal basso, dall’accordo tra uomini, ma viene dall’alto, da Dio, e, più precisamente, da un Dio che è “comunione” di tre persone. Noi viviamo nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo. Questo è un grande e inestimabile dono. Ma è anche un compito. La Chiesa che nasce a Pentecoste non è neutra; essa ha nella sua stessa costituzione una vocazione: il servizio dell'unità e della comunione. La Chiesa nata dalla Trinità ha il compito di ricreare la carne lacerata del mondo, di ritessere la comunione tra i popoli. Lo Spirito effuso nella comunità dei credenti dona una nuova energia. La Chiesa nata dalla comunione e ad essa destinata, si trova perciò ad essere impegnata nel vivo della storia come lievito di comunione, di amore e di unità. Un’unità che non vuole dire però uniformità: La varietà che c'è nel mondo non è dispersione, ma è una manifestazione della ricchezza di Dio. Ciò che ognuno ha di originale, viene dall'azione creatrice di Dio a cui hanno concorso in pari grado il Figlio e lo Spirito Santo.


 

E qui ho capito che di nuovo torniamo “a bomba”, all’inizio di tutto, all’origine della Comunità, 30 anni fa. Quando la Comunità, e il Gruppo Famiglie in particolare, nasceva con l’obiettivo preciso di essere “famiglia di famiglie”, non solo coltivando la fraternità all’interno e tessendo comunione tra di noi, ma spendendosi per l’accoglienza, verso le famiglie della parrocchia, verso i ragazzi di Via delle Tofane, con la tensione a fare comunione nel quartiere, con l’apertura al mondo (ricordate il “vangelo fasciato nella carta di giornale”?), quell’apertura che ci ha legato per tanto tempo al Cile e ci lega ora alla parrocchia di Nyasubi in Tanzania. Sì, penso che dovremmo ricordarcelo spesso, nei gruppi e in segreteria, per mantenere vivo in noi questo spirito di comunione. Con gli anni forse riusciremo a fare sempre meno di pratico, ma la comunione la si può costruire sempre... sapendo che Gesù ci dice “io sono con voi tutti i giorni”.