Preghiera di Comunità UNA
giovedì 20 novembre 2008
Traccia di commento sulla XXXIV domenica del Tempo Ordinario, anno A

festa di Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell’Universo




Domenica prossima è la festa di Cristo Re. La seconda lettura, di San Paolo, ci dà la visione escatologica di Cristo che ricapitola in sé ogni cosa, riconsegnando al Padre, alla fine dei tempi, l’umanità salvata. La prima lettura e il salmo presentano Dio come il Buon Pastore, mentre nel brano di Vangelo Gesù presenta  stesso come giudice dell’Universo.

Quali riflessioni dobbiamo fare oggi?: Prima di tutto cosa vuol dire che Cristo è re, che tipo di regalità è la sua. E quindi cosa implica per noi riconoscere che Cristo è re, come ri-orientare la nostra vita... Questo è infine il senso del nostro spezzarci il pane della Parola di Dio, aiutarci a indirizzare ogni giorno la nostra vita nelle sue vie..

Cristo è re, lo dice lui stesso: “Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria”. E noi lo cantiamo nella Messa, talora lo gridiamo: “Tuo è il regno, tua la potenza e la gloria nei secoli”. Bisogna però stare attenti, perché facilmente si pensa che Gesù si sia conquistato sì la regalità con la croce ma che, una volta conquistata, la sua regalità sia come quella di tutti, fatta di gloria, potenza e dominio. Invece no, il brano di Vangelo di oggi ci dice che il Cristo risorto è lo stesso che ha detto “Sono venuto per servire e non per essere servito” e “questo è il mio corpo spezzato per voi”. La sua regalità è ancora fatta di servizio, di dono di sé, di amore per gli ultimi. Gesù è re perché gli sta a cuore ogni persona: pur tra la folla si accorge di Zaccheo, sente che l’emoroissa gli ha toccato il mantello, e così via; non è il Dio delle folle, ma delle persone. Gesù è re nell’ostinazione dell’amore perché nessuno è condannato da Gesù, ma tutti trovano una parola e uno sguardo d’amore. Se ha parole dure verso i farisei è per la loro chiusura mentale e perché usano la religione per altri fini. Gesù è re nella povertà: non ha un trono, e nemmeno un luogo dove posare il capo. Non ha ricchezze perché queste spesso appesantiscono il cuore. Gesù è re servendo la verità: “Io sonore, per questo sono venuto nel mondo, per rendere testimonianza alla verità”. Gesù è un re che ama i piccoli, i poveri, gli ultimi, al punto che addirittura si identifica con loro: “tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Un re che si traveste nello straccione, nell'escluso di sempre, nello straniero, nel solo e nel depresso, nel carcerato in attesa di giudizio (non specifica se innocente!). Gesù è un re al contrario, rispetto ai criteri umani, un re che si mette a lavare i piedi dei suoi sudditi, un re più sconfitto di tutti gli sconfitti, un re senza trono e senza scettro, appeso nudo ad una croce, un re che necessita di un cartello per identificarlo, un re senza potere. Questo è il nostro Dio, un Dio sconfitto.

Molto probabilmente preferiremmo un Dio severo, potente, da tenere buono, un Dio che non pieghi i nostri affetti e non ci costringa a conversione. A noi cristiani invece è chiesto di “vivere regalmente” allo stesso modo in cui ha vissuto Gesù. Anche a noi è chiesta una regalità fatta di amore, attenzione, accoglienza, perdono.Pertanto, l'opzione preferenziale per i poveri non è in realtà un’opzione, un'alternativa di libera scelta, ma un obbligo per la Chiesa.

La festa di Cristo Re può essere una festa pericolosa. Se dico "Cristoè re" affermo che la (mia) storia è sottoposta al suo giudizio, che non può in alcun modo essere scavalcato. Sarebbe del tutto insensata una regalità irrilevante per l'uomo. La mia vita e il suo esito dipendono, al di là di ogni scappatoia, dalla valutazione di Gesù Cristo. Nella descrizione che Gesù fa del giudizio finale, si osservi chi è giudicatoin base a quali criteri. Gesù dice: “Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli”, tutti i popoli, di ogni nazione, credenti e non credenti, senza distinzione. La distinzione la farà Gesù, ma passerà all’interno dei popoli e sarà basata su un criterio che prescinde dall’appartenenza a questo o quel gruppo. Un criterio che per noi non sarà una sorpresa: è come un esame scolastico di cui sappiamo in anticipo le domande! Gesù ci dice in sostanza che la salvezza, cioè il vivere in comunione con lui per l'eternità, dipende dall'essere stato in comunione con lui in questa vita, non attraverso delle pratiche religiose, ma attraverso l'esercizio della caritàLa Parola di Dio di oggi non ci permette fughe spiritualistiche perché anche oggi il mondo, lontano e vicino, è pieno di chi ha fame e sete, di chi è nudo o forestiero o malato. Possiamo certamente allargare gli orizzonti a tante nuove forme di povertà,come la solitudine, la mancanza di valori, l’ingiustizia e le disuguaglianze. Ma il messaggio è chiaro e preciso: saremo giudicati in base a ciò che faremo agli altri, saremo giudicati sull’amore. Questo, tra l’altro, ci rivela sempre di più l'universalità della giustizia divina, perché non privilegia chi ha avuto la fortuna di nascere cristiano. Davanti a Dio siamo tutti uguali. Gesù non poteva fare un discorso più ecumenico e universale di questo: "Sarete giudicati sull'amore". Questa è la sintesi, e questo lo rende Re dell'Universo e non solo dei Cristiani.

Tornando al giudizio finale, un’altra cosa da notare bene è che gli interventi richiesti da Gesù non sono impossibili, ma a misura delle nostre forze. Gesù, non dice: “Ero malato e mi avete guarito…ero carcerato e mi avete liberato”. Dice solo: “Mi avete visitato”. Per condividere non è necessaria nessuna ricchezza o capacità speciale, ma un cuore aperto e compassionevole. L’essenziale è avere occhio e cuore per accorgersi del bisogno e intervenire con le forze che abbiamo in quel momento. Qui potremmo da un lato riflettere sull’importanza fondamentale della carità e della condivisione immediata: abbiamo tante cose, persino superflue e dannose, sprechiamo tanto cibo, soldi, vestiti, lusso, tempo, che potremmo invece condividere con chi ne ha bisogno. Ognuno di noi e ogni famiglia può e deve crescere nella carità concreta in tutti i modi possibili. Dall’altro lato dobbiamo riflettere su un impegno sociale e politico, per fare la nostra parte, anche se piccola, per la conversione del mondo, per l'inversione dei meccanismi che creano miseria, per sostenere i passi, le leggi, le opinioni, le scelte per la giustizia e la possibilità di vita per tutti gli uomini nostri fratelli. Si noti, a questo proposito, che l’accusa del Signore contro i reprobi non è di avere attivamente oppresso i poveri, ma di non aver fatto nulla per loro, di essere rimasti chiusi nel disimpegnoNell’ottica di Gesù, il disimpegno è il peggiore dei peccati!

Questa è quindi la prospettiva: non prenderemo parte al suo regno e non ci salveremo per essere italiani, ma neppure cileni o tanzaniani. Non ci salveremo per essere cristiani, o cattolici, o preti, o frati francescani, per appartenere alla Comunità Una o alla Comunità di San Fermo, alla parrocchia dell’Assunta o di Santa Lucia o di Santa Chiara. È chiaro che per Gesù non è neppure importante quanto avremo pregato, da soli o in gruppo, o a quante celebrazioni eucaristiche avremo partecipato. Il Signore ci chiederà semplicemente se lo avremo riconosciuto, lui, il Cristo, nascosto nel povero, nel debole, nell’affamato, nel solo, nell’anziano abbandonato, nell’ammalato, nel forestiero, nel disgraziato, nel parente scomodo. Noi saremo giudicati sull'amore, non sulle parole, i propositi, i sentimenti, le preghiere, ma sull'amore concreto verso il prossimo bisognoso. L'aiuto concreto al prossimo bisognoso è la via che conduce a Dio e alla sua salvezza eterna, perché Gesù ritiene fatto a Sé, quello che noi facciamo al prossimo.

Sappiamo quindi le domande che ci verranno poste nel grande esame finale di maturità per il Regno di Dio, ma il compito non è ugualmente facile. Vorremmo tutti, credo, un giorno, sentirci dire: "Vieni, benedetto del Padre mio". Quel giorno verrà, e non possiamo fare finta che non venga. Occorre imparare a vedere il bisogno intorno a noi, e vedere il Cristo in ogni sorella e fratello bisognoso. Occorre dilatare il nostro cuore e scoprire la gioia dello spendere la nostra vita per gli altri e per il Regno. E siccome spesso questo ci è molto difficile (e certamente è molto difficile per me), occorre innanzitutto lasciarsi salvare, guarire, perdonare da Dio. Per questo la preghiera non è inutile, ma è il mezzo fondamentale per essere in contatto quotidiano e costante con Lui. Stare in silenzio per imparare a drizzare gli orecchi del cuore e ascoltare la voce di Dio che ci parla attraverso la nostra coscienza... in un soffio di silenzio. Invocare il Signore che ci mandi lo Spirito... (“Quale padre, se il figlio gli chiede un uovo gli darà uno scorpione? Se dunque voi che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!” (Lc, 11, 11-13).

E infine la Comunità, palestra di fraternità, strumento importante per la nostra crescita, luogo dove i fratelli e le sorelle vigilano sul mio convertirmi da essere uno che si fa i fatti propri a uno che impara ad avere cura degli altri. Aiutiamoci l’un l’altro a imparare a fare nostra la povertà, il dolore di tanti, e in tutti vedere il volto di Gesù, i suoi occhi che, chiedendo con la voce di poveri, implorano quella pietà che un giorno speriamo che Lui avrà per noi.