festa
di Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell’Universo
Domenica
prossima è la festa di Cristo Re. La seconda lettura, di San Paolo,
ci dà la visione escatologica di Cristo che ricapitola in sé
ogni cosa, riconsegnando al Padre, alla fine dei tempi, l’umanità
salvata. La prima lettura e il salmo presentano Dio come il Buon Pastore,
mentre nel brano di Vangelo Gesù presenta sé
stesso come giudice dell’Universo.
Quali
riflessioni dobbiamo fare oggi?: Prima di
tutto cosa vuol dire che Cristo è re, che tipo di regalità
è la sua. E quindi cosa implica per noi riconoscere che Cristo è
re, come ri-orientare la nostra vita... Questo è infine il senso
del nostro spezzarci il pane della Parola di Dio, aiutarci a
indirizzare ogni giorno la nostra vita nelle sue vie..
Cristo è
re, lo dice lui stesso: “Quando il Figlio dell’uomo verrà
nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono
della sua gloria”. E noi lo cantiamo
nella Messa, talora lo gridiamo: “Tuo è il regno, tua la potenza
e la gloria nei secoli”. Bisogna però stare attenti, perché
facilmente si pensa che Gesù si sia conquistato sì la regalità
con la croce ma che, una volta conquistata, la sua regalità sia
come quella di tutti, fatta di gloria, potenza
e dominio. Invece no, il brano di Vangelo di oggi
ci dice che il Cristo risorto è lo stesso che ha detto “Sono
venuto per servire e non per essere servito” e “questo è
il mio corpo spezzato per voi”. La sua regalità è ancora
fatta di servizio, di dono di sé, di amore
per gli ultimi. Gesù è re perché gli sta a
cuore ogni persona: pur tra la folla si accorge di Zaccheo, sente
che l’emoroissa gli ha toccato il mantello, e così via; non è
il Dio delle folle, ma delle persone. Gesù è re
nell’ostinazione dell’amore perché nessuno è condannato
da Gesù, ma tutti trovano una parola e uno sguardo d’amore. Se ha parole
dure verso i farisei è per la loro chiusura mentale e perché
usano la religione per altri fini. Gesù è re nella
povertà: non ha un trono, e nemmeno un luogo dove posare
il capo. Non ha ricchezze perché queste spesso appesantiscono il
cuore. Gesù è re servendo la verità:
“Io sonore, per questo sono venuto nel mondo,
per rendere testimonianza alla verità”. Gesù è
un re che ama i piccoli, i poveri, gli ultimi, al punto che
addirittura si identifica con loro:
“tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più
piccoli, l’avete fatto a me”. Un re che si traveste nello straccione, nell'escluso
di sempre, nello straniero, nel solo e nel depresso, nel carcerato in
attesa di giudizio (non specifica se innocente!). Gesù è
un re al contrario, rispetto ai criteri umani, un re che si mette a lavare
i piedi dei suoi sudditi, un re più sconfitto di tutti gli sconfitti,
un re senza trono e senza scettro, appeso nudo ad una croce, un re che necessita
di un cartello per identificarlo, un re senza potere. Questo è il
nostro Dio, un Dio sconfitto.
Molto
probabilmente preferiremmo un Dio severo, potente, da tenere buono, un
Dio che non pieghi i nostri affetti e non ci costringa
a conversione. A noi cristiani invece è chiesto di “vivere regalmente”
allo stesso modo in cui ha vissuto Gesù. Anche a noi è chiesta
una regalità fatta di amore,
attenzione, accoglienza, perdono.Pertanto,
l'opzione
preferenziale per i poveri non è in realtà un’opzione,
un'alternativa di libera scelta, ma un obbligo per
La
festa di Cristo Re può essere una festa pericolosa. Se dico "Cristoè
re" affermo che la (mia) storia è sottoposta al suo giudizio,
che non può in alcun modo essere scavalcato. Sarebbe del
tutto insensata una regalità irrilevante per l'uomo. La mia
vita e il suo esito dipendono, al di là di
ogni scappatoia, dalla valutazione di Gesù Cristo. Nella descrizione
che Gesù fa del giudizio finale, si osservi chi è giudicato
e in base a quali criteri. Gesù
dice: “Davanti a lui verranno radunati
tutti i popoli”, tutti i popoli, di ogni nazione, credenti e
non credenti, senza distinzione. La distinzione la farà Gesù,
ma passerà all’interno dei popoli e sarà basata su un criterio
che prescinde dall’appartenenza a questo o quel gruppo. Un criterio che
per noi non sarà una sorpresa: è come un esame scolastico
di cui sappiamo in anticipo le domande! Gesù ci dice in sostanza
che la salvezza, cioè il vivere in
comunione con lui per l'eternità, dipende dall'essere stato in comunione
con lui in questa vita, non attraverso delle pratiche religiose,
ma attraverso l'esercizio della carità.
Tornando
al giudizio finale, un’altra cosa da notare bene è che gli
interventi richiesti da Gesù non sono impossibili, ma a misura delle
nostre forze. Gesù, non dice: “Ero malato e mi avete
guarito…ero carcerato e mi avete liberato”. Dice solo: “Mi avete
visitato”. Per condividere non è necessaria nessuna ricchezza
o capacità speciale, ma un cuore aperto e compassionevole. L’essenziale
è avere occhio e cuore per accorgersi del bisogno e intervenire
con le forze che abbiamo in quel momento. Qui potremmo da un lato riflettere
sull’importanza fondamentale della carità e della condivisione immediata:
abbiamo tante cose, persino superflue e dannose, sprechiamo tanto cibo,
soldi, vestiti, lusso, tempo, che potremmo
invece condividere con chi ne ha bisogno. Ognuno di noi e ogni famiglia può
e deve crescere nella carità concreta in tutti i modi possibili.
Dall’altro lato dobbiamo riflettere su un impegno sociale e politico, per
fare la nostra parte, anche se piccola, per la conversione del mondo,
per l'inversione dei meccanismi che creano miseria, per sostenere i passi,
le leggi, le opinioni, le scelte per la giustizia e la possibilità
di vita per tutti gli uomini nostri fratelli.
Si noti, a questo proposito, che l’accusa del Signore contro i reprobi
non è di avere attivamente oppresso i poveri, ma di
non aver fatto nulla per loro, di essere rimasti
chiusi nel disimpegno. Nell’ottica
di Gesù, il disimpegno è il peggiore dei peccati!
Questa
è quindi la prospettiva: non prenderemo parte al suo regno e non
ci salveremo per essere italiani, ma neppure
cileni o tanzaniani. Non ci salveremo per essere
cristiani, o cattolici, o preti, o frati francescani, per appartenere
alla Comunità Una o alla Comunità di San Fermo, alla parrocchia
dell’Assunta o di Santa Lucia o di Santa Chiara. È chiaro che per
Gesù non è neppure importante quanto avremo pregato, da soli
o in gruppo, o a quante celebrazioni eucaristiche avremo
partecipato. Il Signore ci chiederà semplicemente se lo avremo
riconosciuto, lui, il Cristo, nascosto nel povero, nel debole, nell’affamato,
nel solo, nell’anziano abbandonato, nell’ammalato, nel forestiero, nel
disgraziato, nel parente scomodo. Noi saremo giudicati sull'amore, non
sulle parole, i propositi, i sentimenti, le preghiere, ma sull'amore concreto
verso il prossimo bisognoso. L'aiuto concreto al prossimo bisognoso è
la via che conduce a Dio e alla sua salvezza eterna, perché Gesù
ritiene fatto a Sé, quello che noi facciamo al prossimo.
Sappiamo
quindi le domande che ci verranno poste nel
grande esame finale di maturità per il Regno di Dio, ma il compito
non è ugualmente facile. Vorremmo tutti,
credo, un giorno, sentirci dire: "Vieni, benedetto del Padre mio".
Quel giorno verrà, e non possiamo
fare finta che non venga. Occorre imparare a vedere il bisogno intorno
a noi, e vedere il Cristo in ogni sorella e fratello bisognoso. Occorre
dilatare
il nostro cuore e scoprire la gioia dello spendere la nostra vita per gli
altri e per il Regno. E siccome spesso questo ci
è molto difficile (e certamente è molto difficile
per me), occorre innanzitutto lasciarsi salvare, guarire, perdonare da
Dio. Per questo la preghiera non è inutile, ma è il
mezzo fondamentale per essere in contatto quotidiano e costante con Lui. Stare
in silenzio per imparare a drizzare gli orecchi del cuore e ascoltare
la voce di Dio che ci parla attraverso la nostra coscienza... in un soffio
di silenzio. Invocare il Signore che ci mandi lo Spirito...
(“Quale padre, se il figlio gli chiede un uovo gli darà uno scorpione? Se
dunque voi che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto
più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro
che glielo chiedono!” (Lc, 11,
11-13).
E
infine