Traccia
di commento alle letture di domenica 29 aprile 2007 – IV domenica di Pasqua,
anno C
È la domenica del “buon pastore”, sulla quale abbiamo preparato il commento anche tre anni fa con delle condivisioni personali precedute da dei flash veloci sui tanti spunti di riflessione offerti dalle letture.
Questa volta vorremmo soffermarci di più su quello che la parola di Dio dice al nostro essere comunità cristiana.
La prima lettura si conclude dicendo che “i discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo”. Una conclusione bellissima e a sorpresa di un momento in cui gli apostoli avevano battuto la faccia contro l’ostilità dei Giudei (non tutti, però) che avevano rifiutato di accogliere la “novità” del Cristo e avevano sobillato le “donne pie di alto rango e i notabili della città”, suscitando una persecuzione contro Paolo e Barnaba.
Nonostante il rifiuto, “i
discepoli erano pieni di gioia”. Perché? È ovvio,
se rileggiamo poche righe sopra: “si
rallegravano e glorificavano la parola di Dio e abbracciarono la fede tutti
quelli che erano destinati alla vita eterna”.
Non è roba da poco: ERANO DESTINATI ALLA VITA ETERNA!! Non
è questo un motivo sufficiente per essere pieni di gioia? Perché
dobbiamo essere chiari: o la storia di Gesù è tutta una panzana
raccontataci da quei pazzi criminali di apostoli e evangelisti, pazzi e
criminali per aver dato al mondo una inutile speranza, oppure veramente
Gesù era il Cristo, il Figlio di Dio, era davvero risorto da morte
e apparso a Pietro, a Tommaso, a Giovanni e a tutti gli altri, aveva veramente
compiuto dei segni che solo un inviato da Dio poteva compiere, … e allora
dobbiamo ricordarci che siamo destinati alla vita eterna, e non possiamo
non essere pieni di gioia, … nonostante tutti i casini della vita!
Ed è una notizia così grande che gli apostoli non possono fare a meno di andarla a gridare a tutto il mondo. Cominciano dai “vicini”, quelli che leggevano regolarmente la Bibbia in cui questa salvezza era annunciata, ma poi, visto il rifiuto di molti Giudei, specie quelli che contavano di più, si rivolgono ai “lontani”, ai pagani, quelli che di questa storia di salvezza non sapevano niente. E i pagani la accolgono con entusiasmo. Segno che gli apostoli erano convincenti nel portare in giro non una predicazione ben preparata, bensì la loro esperienza diretta e personale. E segno anche che per accogliere la Buona Notizia non serve una grande preparazione, ma una semplice fiducia. Come dice frère Roger, “in ognuno di noi il meglio si costruisce attraverso una fiducia molto semplice. Anche un bambino vi riesce” (lettera 1999-2001).
Ecco quindi un invito chiaro a riscoprire la Buona Notizia per la nostra vita, come singoli e come società, e a sentire il bisogno di comunicare intorno a noi la gioia di questa Buona Notizia. Tante volte i preti, e anche noi, lamentiamo che si vede sempre meno gente in chiesa e che i giovani si allontanano dalla fede. Ma noi, e intendo non solo la Chiesa delle istituzioni, dei preti e dei vescovi, ma soprattutto quella dei cristiani, della gente comune, che Buona Notizia portiamo in giro? Come la portiamo? Come cerchiamo di far capire che avvicinarsi al Cristo è bello e vale la pena spenderci energie di cuore?
Intanto riscopriamola, questa Buona Notizia. Che siamo
destinati alla vita eterna. Che Gesù, il Cristo, ci ha liberati
dalla schiavitù della legge fatta di regole e regoline
per darci prospettive più ampie, quelle dell’amore (ricordo le parole
del salmo 118 che dicono “Corro per la via dei tuoi comandamenti, perché
hai
dilatato il mio cuore”). Che Dio ci soccorre e perdona, sempre. È
una Buona Notizia di gioia confermata dalle parole di Gesù riportate
nel Vangelo di Giovanni che abbiamo letto oggi “Io
do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà
dalla mia mano”.
Ciascuno di noi si impegni quotidianamente a riscoprirla,
questa Buona Notizia, a riscoprire che, … nonostante i problemi di salute,
… i dispiaceri, … i problemi che mi dà mio marito o i miei figli,
… il lavoro che mi soffoca, … la pugnalata di quello che mi ha stroncato
la carriera, … le delusioni che mi do da solo quando mi rendo conto che
sono sempre povero, sporco, carogna e faccio una fatica boia a vivere i
frutti dello Spirito fatti di mitezza, benignità, controllo di sé,
pace, … nonostante la ferita sempre aperta delle guerre senza fine e delle
torme di profughi che scappano senza niente dalle loro terre, … nonostante
gli orrori delle decapitazioni da una parte e delle torture da un’altra,
… nonostante tutto, c’è, lì sotto, mezzo nascosto sotto i
casini della mia vita e quelli del mondo, un motivo di gioia da tirare
fuori.
Una volta riscoperta, questa gioia, questa Buona Notizia, non possiamo tenercela tutta solo per noi, va comunicata, raccontata, trasmessa. Certo, l’annuncio vero e proprio del Vangelo spetta prima di tutto ai vescovi e ai sacerdoti, a quelli che hanno risposto ad una chiamata specifica e che hanno deciso di dedicare la loro vita interamente a questo annuncio. Ma noi non possiamo non dare una testimonianza.
Una testimonianza anche diretta, a cominciare tra
di noi, su quale e’ il pezzetto di Buona Notizia che ciascuno ha scoperto
e va scoprendo nella propria vita. Ma soprattutto una testimonianza indiretta,
attraverso la nostra vita, il nostro sorriso, la nostra allegria e affabilità
(Paolo scrive ai Filippesi “Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto
ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli
uomini”). Una testimonianza che, come quella di Paolo e Barnaba, non cerca
l’approvazione della società, dei notabili e delle pie donne di
alto rango. Una testimonianza rivolta a tutti, a cominciare da chi è
credente, specie quando vediamo che si lascia sopraffare dal pessimismo
e dalla tristezza, per arrivare a chi è “lontano”, specie se sensibile
ai valori evangelici e in ricerca di qualcosa che dia un senso più
alto e ampio alla propria vita. Occorre testimoniare che si è felici,
nonostante tutto, e che essere cristiani non vuole dire essere musoni,
inquadrati, spenti, ma vivi, vivaci, forti. San Paolo scrive a Timoteo:
“Dio infatti non ci ha dato
uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza. Non vergognarti
dunque della testimonianza da rendere al Signore nostro”. Occorre
testimoniare, soprattutto ai giovani e ai lontani, che riusciamo ad essere
solidali e aperti ai problemi del mondo, arrabbiandoci anche per le ingiustizie,
ma senza odio, senza incupirci, dimostrando con la vita che si è
felici di vivere, anche alle soglie della vecchiaia.
Voglio concludere con alcune frasi di frère Roger, che sempre riesce a coniugare mirabilmente fiducia, gioia, speranza e amore fraterno, e, ricordiamocelo, sempre rivolto ai giovani. Nella lettera del 2000, “Stupore d’una gioia”, dice: “Non ci sono, ovunque, delle persone umili che preparano le strade del futuro? Ciò che li attrae è che una speranza si diffonda. … Lo Spirito Santo effuso in ogni essere umano, offre libertà e spontaneità. Ridona il gusto della vita a chi lo perde. Viene a liberare dallo scoraggiamento. … Nei grandi affanni di un’esistenza, lo Spirito Santo è un sostegno, una consolazione. In lui le sorgenti di giubilo, di una gioia leggera, sono sempre offerte. E questa gioia ci rende più vicini a coloro che attraversano la sofferenza”.
Prego il Signore che ci doni di riscoprire la meraviglia
della sua Buona Notizia, di ritrovare sempre il gusto della vita e di avere
stabilmente un sottofondo di gioia leggera, frutto del nostro permettere
che lo Spirito Santo soffi dentro di noi, e di saper valorizzare questi
doni essendo vicini a quelli che attraversano la sofferenza.
Il
ricordino di questa preghiera è ancora un piccolo segnalibro, adatto
giusto ad un libriccino di preghiere o di meditazione. Sul davanti l’immagine
di un capriolo fotografato l’anno scorso sopra il rifugio Valmasque.
I versetti di Abacuc “Il
Signore Dio è la mia forza, egli rende i miei piedi come quelli
delle cerve e sulle alture mi
fa camminare” ci ricordano che Dio ci ha dato i piedi per camminare,
e non solo sulle strade lisce. Ricordano anche un po’ l’immagine del Buon
Pastore che spinge le pecore all’aperto, come dice Giovanni all’inizio
del Cap. 10. Non le tiene chiuse nell’ovile, le manda fuori … e cammina
davanti a loro.
Sul retro un pensiero di frère Roger, “Procedi insieme ai tuoi fratelli. Sei chiamato a realizzare con loro una parabola di comunità”, che ci invita a procedere non da soli ma insieme ai fratelli, realizzando così una “parabola” di comunità, un qualcosa, per come capisco io l’uso di questo termine da parte sua, che magari non è un qualcosa di perfetto, ma che già delinea e fa intuire quale dovrebbe essere il risultato finale.