Grazie
per quest'invito che mi ha “costretto” nelle settimane passate a fare
il punto e a vivere meglio e più profondamente questo tempo di Avvento,
così prezioso e così importante. Una brevissima Premessa: L’Avvento è un tempo liturgico tipico dell’Occidente. L’Oriente ha solo una breve preparazione di pochi giorni al Natale, perché la festa delle feste è la Pasqua. Non sappiamo con certezza, andando a cercare nella storia, quando è nato l’Avvento. C'erano due pratiche, nei primi secoli, una che faceva precedere i giorni del Natale da digiuni e penitenze, e un'altra da preghiere liturgiche che esprimevano un'attesa orante del Natale. I filoni della preparazione al Natale che hanno iniziato l'Avvento come lo concepiamo noi ora sono due, uno che puntava alla memoria storica dell'evento della nascita di Gesù in Palestina e l'altro come attesa della venuta finale del Signore (avvento escatologico). Per i primi cristiani era viva l'attesa del ritorno del Signore a giudicare l'umanità intera, alla fine dei tempi, ma poi, andando avanti, si sono accorti che questo ritorno non era immediato, per cui quest'attesa del ritorno finale del Cristo si è fatta meno pressante. Il Concilio Vaticano II ha scelto di conservare ambedue i caratteri, con una precisa focalizzazione. Dalla prima domenica di avvento al 16 dicembre è sottolineato il secondo aspetto, quello della venuta finale, orientando i credenti all’attesa della venuta gloriosa di Cristo. Dal 17 al 24 invece la liturgia è focalizzata sul mistero dell’Incarnazione, sulla nascita del Messia nella Storia, in terra di Palestina. L’unità dei due momenti è data dalla lettura quasi quotidiana di Isaia, perché in lui, più che negli altri profeti, si trova una eco della grande speranza che ha confortato il popolo eletto durante i secoli duri e decisivi della sua storia. Le sue parole sono un annuncio di speranza incrollabile per l’umanità di tutti i tempi: Dio viene nelle pieghe e nelle piaghe della nostra vita e della storia del nostro tempo. Ma come viene a noi? Veniamo alla liturgia di oggi, prima domenica di Avvento. Mi sono soffermata soprattutto sul Vangelo di oggi, quello di Matteo al capitolo 24 (Mt 24,37-44): |
In
quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come furono i giorni di Noè,
così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che
precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e
prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla
finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del
Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà
portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una
verrà portata via e l’altra lasciata. Vegliate dunque, perché non
sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire
questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il
ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche
voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il
Figlio dell’uomo». |
Questo è forse è il giudizio più severo uscito dalla bocca di Gesù. Indica una totale anestesia, la chiusura di tutti i sensi. Come quando si è in sala operatoria, o si dorme. Se non ci si accorge di nulla come si potrà cogliere la venuta del Figlio dell’uomo? Agli occhi del Signore siamo gente che “non si accorge di nulla” (Mt 24, 39). Se non ci si accorge di nulla non ci si accorge neanche del Signore che viene, nel tempo, nella Storia e nella nostra vita. Quello che accadeva al tempo di Gesù accade anche ai giorni nostri. La routine quotidiana ci distoglie dall'attenzione alle cose profonde, vere, quelle interiori, della nostra vita e della nostra storia, e del Signore che dentro la Storia e dentro la nostra vita viene ogni giorno. Quelle azioni della vita quotidiana sono di per sé azioni necessarie e onorabili, danno senso alla vita, risvegliano l’attenzione verso la ricchezza della realtà; tuttavia agli occhi di Gesù possono essere praticate come un sedativo che tranquillizza, ma spegne; calma, ma non pacifica. Se non ci si accorge di quanto potremmo vedere, come riusciremo ad accorgerci di Dio che non si vede? La buona notizia dell’inizio di questo Avvento è che il Figlio di Dio viene “come un ladro” (Mt 24, 43). Il Signore si descrive non solo con le immagini rassicuranti del buon pastore o del buon samaritano, ma anche a quella per niente piacevole del ladro, come ben sa chi si è trovato la casa scassinata. Egli è un ladro che viene a scassinare la casa della nostra vita. Arriva all’improvviso, eludendo ogni difesa del padrone di casa. Il ladro sa trovare le cose preziose nonostante gli stratagemmi per nasconderle (anche utilizzando sensori speciali per localizzare l'oro o le banconote). Per fortuna il Signore usa a nostro beneficio le capacità del ladro; perciò riuscirà a portare alla luce i tesori che per paura abbiamo nascosto e nemmeno ricordiamo di possedere. Come l’amico più gentile, Cristo sta alla porta e bussa, aspettando che gli si apra (Ap 3, 20). Ma se intuisce che la nostra casa sta diventando impenetrabile, egli entra come un ladro, abile a scansare allarmi e scassinare serrature; sicuro di trovare un tesoro prezioso e necessario, da portare alla luce per il bene di tutti. La metafora è spiazzante, ma Dio, in Gesù, viene come un ladro che non ruba niente ma ci dona tutto. Ci dà la consapevolezza di ciò che noi abbiamo e che non sappiamo riconoscere. Ci dona sé stesso, in lui il Regno irrompe nella storia: è presente tra noi. Il Signore è venuto, viene e verrà. È venuto nella Storia, viene oggi e verrà alla fine, alla fine della nostra vita e alla fine dei tempi. Noi, oggi, abituati ad un tempo velocizzato, a fare tutto di corsa, non riusciamo più a cogliere il valore dell'attesa. . L’attesa è sentita come tempo morto, una perdita di tempo. L’attesa invece è lavoro spirituale che prepara il futuro, il domani, l'attimo successivo, anticipandolo, facendoci restare consapevoli di fronte a ciò che sta avvenendo, sperandolo, invocandolo. L’attesa è una soglia tra oggi e domani, tra tempo ed eternità, tra la storia in cui viviamo e il Regno di Dio. Nell’attesa il futuro già abita il presente, almeno nel nostro spirito, e opera cambiamenti già nel presente, qui e ora. Gesù in questo brano si rifà alla narrazione presente in Gen 6,5-7,24. La generazione dei contemporanei di Noè non è descritta né come malvagia né come empia, ma solo come incosciente, inconsapevole. I contemporanei di Noè “mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito” e in questo non vi è nulla di reprensibile. E non vi è nemmeno se vi aggiungiamo ciò che esplicita Luca nel passo parallelo: “compravano, vendevano, piantavano, costruivano” (Lc 17,28). Si tratta della quotidianità, delle attività vitali quotidiane di ogni persona, di cose che sono da fare, senza alcun dubbio. Il problema non è il che cosa, ma il come. Con il parallelo del diluvio, Gesù mette in guardia a non annegare nella banalità di un orizzonte cieco, cioè a non guardare solo davanti al proprio naso ma anche un pochino più in là, più dentro alla nostra vita. L’annotazione che i contemporanei di Noè “non si accorsero di nulla” (Mt 24,39), che è soltanto di Matteo, mette il dito sulla piaga della non vigilanza, e dunque dell’irresponsabilità. Pensiamo ad esempio al pianeta. Facciamo tante cose ma non ne facciamo alcune che sono molto importanti, non piantare alberi, lasciare le luci accese, sprecare energia, usare più di quanto ci è necessario, ecc. La non vigilanza vuol dire non farsi carico di cose vere e buone che sono attorno a noi e di cui noi siamo responsabili; senza farci colpe inutili, dobbiamo prevenire, vigilare, agire. Secondo i midrashim,
cioè i commenti esegetici ebraici (che io trovo interessantissimi), che
interpretano il racconto del diluvio, Noè era sbeffeggiato, deriso e
giudicato pazzo dai suoi contemporanei perché compiva un’opera
insensata, che gli altri non capivano. Si dice che essi ponevano
domande irridenti a Noè chiedendogli che bisogno avesse di ciò che
stava costruendo, che cosa avesse in testa, e non si rendevano conto
che erano loro stessi che ne avevano bisogno, perché chi restò fuori
dell'arca fu travolto dal diluvio. Noè seppe discernere il suo presente
e così salvò se stesso e il futuro: il discernimento dell’oggi salva il futuro:
“Per mezzo di Noè un resto sopravvisse sulla terra quando venne il
diluvio”, come ci dice il Siracide (Sir 44,17). Lo sguardo di Dio, di
cui Noè è messo al corrente, vede ciò che la situazione presente di
benessere e di tranquillità, prepara. Dio, e con lui Noè, vede al di là
del momentaneo, di quello che ha davanti al naso. La follia, o il
genio, o la santità, o forse un po’ di tutte e tre queste cose portano
Noè a compiere un gesto coraggioso che salverà il futuro, ma che lo
porta ad affrontare l’incomprensione e il disprezzo, come sempre
avviene a chi vede al di là del quotidiano, del presente, o vede ciò
che quel presente tiene in serbo per il futuro o vede in che cosa si
convertirà quel presente. Anche noi, come Noè, siamo chiamati ad essere attenti, superando l'incomprensione e il disprezzo. Cosa possiamo fare noi oggi per salvare la Terra? Ce lo possiamo chiedere, anzi, ce lo dobbiamo chiedere, perché di Terra ce n'è una sola, e ne siamo tutti corresponsabili. Sembra che abbiamo solo dei pazzoidi a governare il mondo, ma ci sono anche milioni e milioni di persone che pensano, riflettono e coltivano saggezza. Allora bisogna in qualche modo mettere insieme queste risorse e fare in modo di cambiare, di fare come Noè, di fare un'arca per traghettare verso il futuro, perché con questo ritmo nel giro di 50 anni chi sarà sulla Terra avrà gravissime conseguenze sulla vita, tra le terre che si troveranno sott'acqua e le situazioni di inquinamento. Occorre agire e velocemente: il Signore ci ha dato la Terra perché la coltiviamo e la custodiamo, non perché consumiamo le sue risorse in maniera folle, sia per la conservazione delle risorse stesse sia, e soprattutto, per il modo in cui lo facciamo, sfruttando in maniera assurda, a livello di schiavismo, le persone più povere e i bambini, come quelli che estraggono il coltan con le mani nelle miniere. Questo ci deve portare ad una maggiore consapevolezza, ad una responsabilità più grande, ad una maggiore sobrietà nello stile della nostra vita, all'abitudine al riutilizzo, al riciclo, alla riparazione di quello che ci serve. La drammaticità della situazione dei contemporanei di Noè consiste nel fatto che perirono e non si resero conto di nulla.
Perirono due volte: fisicamente, perché spazzati via dal diluvio, ma
anche spiritualmente, perché non capirono e non si resero conto di
nulla, mentre ne avrebbero avuto la possibilità. Noè ha visto, pensato
e agito, mentre gli altri sono andati avanti come pecore. Così come
spesso facciamo noi, ad esempio quando lasciamo che i nostri bimbi
eccedano nel mangiare cibi e bevande zuccherate e poi ce li troviamo
diabetici, tanto per fare un esempio purtroppo frequente. La parte finale del testo (vv. 42-44) è esortativa e con tre imperativi dice in che cosa consista la vigilanza: “vegliate”, “cercate di capire” (letteralmente: “sappiate”), “siate pronti”. La motivazione, anch’essa tre volte ripetuta, è sempre l’ignoranza del giorno e dell’ora della parusía. Non essendovi scampo a tale ignoranza, l’unica sapienza è tenere gli occhi ben aperti, essere svegli, non intontirsi e non cadere nell’ottundimento dei sensi; è cercare di essere pronti, attenti, dunque consapevoli e responsabili, non come i contemporanei di Noè. Sì, il Figlio dell’uomo verrà come un ladro (“Ecco, io vengo come un ladro”: Ap 16,15; cf. 3,3): se il quando è incerto, la sua venuta è certezza. Si veglia, dunque, e ci si tiene pronti, e si attende una persona, cercando di ravvivare nell’oggi il desiderio della sua venuta. Sto accompagnando alcune persone anziane nei loro ultimi giorni, anche qui della parrocchia, portando l'eucarestia, e a una che si interroga molto su questo, ed ha anche un po' paura, ricordavo che Santa Teresa di Avila, dottore della Chiesa, quando stava molto male e le chiedevano se aveva paura di morire, rispondeva “sono tranquillissima; sono sicura che sarò giudicata dal mio migliore amico”. E lei ha tirato un sospiro di sollievo. Il Signore viene, come un ladro perché non sappiamo quando, ma viene come il migliore amico. Di questo dobbiamo essere consapevoli e grati. La vigilanza cristiana nasce in rapporto con la persona di Gesù Cristo che è venuto e che verrà: è lo spazio vitale della fede, della speranza e della carità. Ma anche lo spazio di una umanità desta, sveglia, attenta, luminosa. Così l’annuncio della venuta gloriosa del Signore proietta una luce che giudica e orienta anche il nostro modo di vivere il quotidiano fatto di gesti ripetuti, di relazioni consuete, di abitudini che necessitano però di essere illuminati e vivificati per non divenire la tomba del nostro vivere. =================
E
ora vorrei proseguire con qualche flash, pensando all'Avvento come
tempo di attesa e tempo di santità. Il giorno dei santi di quest'anno,
Enzo Bianchi, il priore della Fraternità di Bose, ha messo sul loro
sito un commento alla solennità, in cui ricordava che il patriarca di
Costantinopoli ha riconosciuto quattro santi, quattro monaci del monte
Athos, tra cui uno che Enzo Bianchi e altri fratelli avevano conosciuto
venticinque anni fa, grazie a un incontro indimenticabile, dopo ore di
ascensione lungo una mulattiera che s’inerpicava dal mare fino alla sua
cella. Si chiamava Efrem, o meglio papa Efrem, e già in vita irradiava
una luce diffusa sul mondo cristiano. L'Avvento è anche un tempo per accorgersi e per desiderare in profondità. Occorre
l'attenzione vigile delle sentinelle, per accorgersi della sofferenza
che preme, della mano tesa, degli occhi che cercano i nostri occhi,
delle lacrime silenziose. E dei continui doni che ci avvolgono ogni
giorno, della bontà e della bellezza che abita in ciascuno, della luce
che Dio ci offre. Mi viene in mente una frase di Dostojewski «Il vostro male è di non rendervi conto di quanto siete belli!». Occorre renderci conto di quanto dobbiamo ringraziare e lodare per tutti i doni che abbiamo ricevuto.
Non che non si debba vedere quello che non va, ma è importante fare
memoria di tutto il bene che ogni giorno riceviamo, a cominciare dalla
vita quotidiana. La nostra testimonianza di cristiani oggi si gioca
molto anche su questo aspetto, oltre che sulla relazione con gli altri
e sulla condivisione con chi ha più bisogno di noi. L'Avvento è anche il tempo del mio Natale.
Nelle feste liturgiche, l’evento della Pasqua di Cristo, la festa delle
feste, è reso presente, il futuro è annunciato. La storia si concentra
nell’istante presente: una condensazione dell’eterno, una scintilla di
Cielo. Se
vogliamo allargare lo sguardo e comprendere meglio il brano di Vangelo
di oggi, dobbiamo inserirlo nel suo contesto, che è il capitolo 24,
l'inizio dell'ultimo discorso di Gesù, prima di essere arrestato.
Questo capitolo 24 iniziava con Gesù, che è uscito dal tempio e, di
fronte ai discepoli che ne ammirano lo splendore, dice: “non rimarrà pietra su pietra che non sarà distrutta”.
È un'affermazione che suona come una bestemmia, se si pensa ai 40 anni
di lavoro per costruirlo e alla ricerca dello splendore nella
costruzione. Perché questo? Ricordiamo che c'è anche l'episodio
dell'offerta della vedova, che si dissanguava, per offrire tutto quello
che aveva, al tesoro del tempio. Allora per Gesù, un'istituzione
religiosa che, anziché aiutare i deboli, si fa mantenere dai deboli e
sfrutta i deboli in nome di Dio, non ha diritto all'esistenza. Per cui
Gesù dichiara la fine di tutto questo: ecco non rimarrà pietra su
pietra che non sia distrutta. Che
cos'è questo figlio dell'uomo? È il titolo che più appare nei vangeli,
insieme a figlio di Dio. L'espressione viene presa dal libro del
profeta Daniele, nel capitolo settimo, dove il profeta, in un sogno,
vede sorgere dal mare, il mare Mediterraneo, quattro bestie. Il
linguaggio usato è quello apocalittico, oggi per noi poco
comprensibile, ma molto chiaro per le persone di quei tempi, perché
usato spesso. Le bestie sono immagini dei poteri politici, conosciuti
per la loro ferocia, uno più brutale dell'altro. La prima bestia
rappresenta l'impero Babilonese, poi quello dei Medi e quello dei
Persiani. La quarta è talmente orrenda che il profeta non sa neanche
come descriverla, e rappresenta Alessandro Magno. L'Avvento viene a dirci che col Natale Gesù nasce sulla Terra ma in noi nasce l'uomo nuovo, la donna nuova, ma questo passa attraverso il riconoscimento che noi abbiamo dell'altro, un riconoscimento che permetta all'altro di vivere. Questo ci deve anche far riflettere sui nostri sprechi e su quanto poco a volte basta per fornire delle medicine essenziali in certi paesi poveri; ad esempio in Centrafrica bastano 10 centesimi per curare o prevenire un morbillo che spesso porta alla morte di un bambino. Gesù
è il figlio di Dio in quanto manifesta Dio nella sua condizione umana,
ma è il figlio dell'uomo, in quanto rappresenta l'uomo nella sua
condizione divina. E questa condizione divina è un'offerta a tutti
quelli che lo accolgono e che lo vogliono seguire. I nostri fratelli
d'Oriente parlano di “divinizzazione”: il nostro frequentare Dio
“divinizza” il nostro essere e ci porta a fare come quel papa Efrem
incontrato da Enzo Bianchi, come raccontato prima, che era già
trasfigurato sulla Terra, nel cuore, negli occhi, e dal Monte Athos
vedeva una Terra piena di santi che noi non sappiamo vedere. Il diluvio non fu la fine del mondo, ma fu l'inizio di un'umanità nuova. E perché questa umanità nuova inizi, Gesù ha bisogno di collaborazione, della nostra
collaborazione, per umanizzare questa umanità con le nostre scelte di
vita quotidiane. Questo tempo, il nostro tempo, siamo chiamati a
viverlo da persone “trasfigurate”, consapevoli che Dio entra ogni
giorno nella nostra vita per farla nuova, che ci chiede di “trasudare”
la sua presenza, il suo Spirito, perché questo mondo già qui sia
migliore. ================= Vorrei concludere parlando di alcune belle notizie, notizie positive, di bene, che raccolgo e che provo a pubblicare, ma che purtroppo vengono pubblicate solo in parte, perché lo spazio per le belle notizie non è grande, per cui facilmente non le vediamo. Un titolo con cui raccoglierle è: “Tempo di speranza”: Dio viene nell’umanità che si umanizza. Vi do solo dei brevi flash: Il movimento delle “sardine”, giovani promesse del bene comune, che esprimono l'indignazione delle coscienze contro il contagio dell'odio per costruire un orizzonte sociale nuovo. Di loro parla Enzo Bianchi in un articolo su La Repubblica del 25 novembre. E poi la notizia dei tre braccianti immigrati di Rosarno che sono andati a pranzo col Papa. Un'esperienza indimenticabile per questi tre giovani, che non hanno avuto alcun problema a pregare insieme a tutti gli altri, alla Messa in San Pietro, pur essendo tutti e tre musulmani. E in questo episodio c'è anche da notare la generosità della ditta di trasporti calabrese che non si è fatta pagare il viaggio in pullman per questi tre ragazzi ma lo ha offerto gratis: anche questo un bel segnale di speranza! Un'altra bella notizia è quella di un ragazzo di 14 anni, Marcel Belmonte, già alto quasi 2 metri, che ha ricevuto un premio nella sua scuola, di Noto, per aver dimostrato le sue doti umane e cristiane con un compagno di classe, un ragazzo ghanese, che era approdato alle coste siciliane dopo una traversata in mare, nel corso della quale aveva assistito impotente alla tragica morte del fratellino più piccolo. Il ragazzo, che all'inizio non si fidava di nessuno, è stato pian piano conquistato dall'amicizia di Marcel ed è riuscito ad inserirsi bene nella classe. Un'altra notizia riguarda una giovane infermiera, in Stati Uniti, che ha donato il fegato ad un piccolo paziente di soli 7 mesi, salvandogli la vita. Il bimbo aveva una malattia che non permetteva il flusso della bile e da mesi non si trovava un donatore. L'infermiera, dopo aver fatto le analisi necessarie e verificato di essere compatibile col bimbo, si è sottoposta all'intervento, durato 14 ore. Ha poi spiegato: «Meritava di vivere e l’ho fatto». Un'altra notizia ancora la riporta su Avvenire Eraldo Affinati con un articolo (del 28 novembre 2019) intitolato “Italiani senza timbro che insegnano l'Italia”. Parla di Omar, un sedicenne di Torpignattara di origine egiziana e non riconosciuto come italiano, benché nato in Italia e che parla con spiccato accento romanesco. Questo ragazzo, che parla anche arabo, tutti i giorni fa scuola a Ismail, un bimbo tunisino arrivato di recente in Italia, non accompagnato e ospite di un centro di accoglienza, insegnandogli l'Italiano. Scrive Affinati: “La società reale, è molto più avanti di quanto crediamo. A guidare le fila del nuovo consorzio umano, traghettando tutti noi verso la metà del Terzo Millennio, saranno proprio questi ragazzi, uno appena arrivato nel Bel Paese, pronto a imparare la nostra lingua per iscriversi a scuola, trovare un lavoro e chissà magari sposarsi e fare dei figli, l’altro che gliela sta insegnando, perché lui in Italia ci è nato, ci è cresciuto, ci è vissuto, ma è ancora in attesa di ottenere la cittadinanza.” L'ultima
notizia, che vi racconto quasi per intero, è quella data in un articolo
di Marina Corradi su Avvenire del 10 novembre scorso, in cui si
riportano i risultati di ricerche fatte da antropologi e genetisti
dell'Università La Sapienza, di quella di Vienna e della Stanford
University. Questi ricercatori hanno preso in esame i resti di 127
uomini sepolti in siti archeologici a Roma e nel Lazio, risalenti a un
periodo compreso fra i 12mila anni fa e l’età post imperiale. ================= Ci
lasciamo dunque con questi inviti, alla vigilanza, alla responsabilità,
all'attesa e all'accoglienza del Cristo nella storia e nella nostra
vita personale, all'attenzione ai segni di speranza e di santità sparsi attorno a noi. Buon Avvento, Buon Natale!
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