17 giugno 2010
Traccia di riflessione e preghiera sulle letture di
domenica 20 giugno 2010 (12a domenica del T.O.)


Salmo 62
Il desiderio di Dio

Salmo. Di Davide, quando dimorava nel deserto di Giuda.

O Dio, tu sei il mio Dio, all'aurora ti cerco,
di te ha sete l'anima mia,
a te anela la mia carne,
come terra deserta, arida, senz'acqua.

Così nel santuario ti ho cercato,
per contemplare la tua potenza e la tua gloria.
Poiché la tua grazia vale più della vita,
le mie labbra diranno la tua lode.

Così ti benedirò finché io viva,
nel tuo nome alzerò le mie mani.
Mi sazierò come a lauto convito,
e con voci di gioia ti loderà la mia bocca.

Quando nel mio giaciglio di te mi ricordo
e penso a te nelle veglie notturne,
a te che sei stato il mio aiuto,
esulto di gioia all'ombra delle tue ali.

A te si stringe l'anima mia
e la forza della tua destra mi sostiene.

Anche sei anni fa era esattamente il 17 giugno, quando avevamo commentato queste letture. Per commentare il salmo avevamo letto un’intervista a George Harrison, in cui lui spiegava la sua sete di Dio che gli aveva ispirato la canzone “My Sweet Lord”. E poi avevamo ascoltato la canzone, traducendo le bellissime parole... “mio dolce Signore”... “veramente voglio vederti”... “veramente voglio essere con te”...
Del resto noi crediamo in Dio, e in un Dio che è Padre, che è Amore. Cosa si può desiderare di più che incontrarlo, vederlo, farsi abbracciare da Lui?

Mi piace ancora una volta ricordare quel canto di Taizé che per me è bellissimo: “De noche iremos, de noche, que para encontrar la fuente, solo la sed nos alumbra”. È la sete che ci illumina, anche quando la mente non vede alcuna traccia. E, in relazione al tema generale dell’incontro con Dio, mi viene a mente un passo del Cantico dei Cantici che racconta il desiderio ardente dell’incontro con l’amata: “Alzati, amica mia, mia bella, e vieni! O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce”. E poi quel versetto dell’Apocalisse: “Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me”.
Solo con una vera sete di Dio ci è possibile cogliere i segni della sua presenza, scovarlo nascosto in un cantuccio, sentirlo che bussa discretamente alla nostra porta.
Se Dio è invece per noi solo un’idea, non ci importerà di cercare niente di più di Lui di quello che già sappiamo... ma cosa mai coglieremo della Sua realtà, come potrà mai la nostra vita staccarsi dal quotidiano, dal fare, dal dovere, dalla ricerca ossessiva di un appagamento che non verrà mai?. Significativo un episodio sull’autobus di un mesetto fa: un ragazzino chiede ad una donna (forse sua madre o forse la nuova compagna del padre... chissà?) se e quanto prega ogni giorno. E lei risponde “Non prego nemmeno Gesù, tanto non fa quello che gli chiedo”. Vero: Gesù come macchinetta dispensatrice di benefici funziona proprio male, e non vale la pena perdercisi dietro!
Invece è la sete di Dio che ci può far capire più nel profondo il brano di Vangelo di stasera, che ce lo può rendere luminoso, per noi, oggi.
 
 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 9,18-24)Tu sei il Cristo di Dio. Il Figlio dell’uomo deve molto soffrire.
Un giorno, mentre Gesù si trovava in un luogo appartato a pregare e i discepoli erano con lui, pose loro questa domanda: “Chi sono io secondo la gente?”. Essi risposero: “Per alcuni Giovanni il Battista, per altri Elia, per altri uno degli antichi profeti che è risorto”. Allora domandò: “Ma voi chi dite che io sia?”. Pietro, prendendo la parola, rispose: “Il Cristo di Dio”. Egli allora ordinò loro severamente di non riferirlo a nessuno. “Il Figlio dell’uomo, disse, deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi esser messo a morte e risorgere il terzo giorno”. E a tutti diceva: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà”.

 

Torniamo un minuto al brano. Gesù domanda: “Ma voi chi dite che io sia?”. Pietro risponde bene “il Cristo di Dio”. Gesù è sicuramente contento che i suoi discepoli lo riconoscano per quello che è: il Messia inviato da Dio, Dio fatto uomo, il Salvatore. Ma Gesù ci tiene a precisare il significato di Messia. Non il re e il condottiero che libera Israele dal giogo di Roma, ma quello che sarà riprovato da tutti quelli che contano, che dovrà soffrire molto, che verrà messo a morte, e che il terzo giorno resusciterà dai morti. E Gesù ci tiene anche a precisare il modo per essere suoi seguaci: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà”. Tutto alla rovescia di quello che gli ebrei si aspettavano. Tutto alla rovescia di quello che ancora oggi una grande parte dei cristiani, di noi, si aspetta. Ma, se lo riconosciamo come il Messia, vogliamo andare più a fondo nel conoscerlo, e non possiamo né dobbiamo fermarci davanti alle nostre difficoltà a capire.

E qui mi pare importante spendere due parole sulla croce. Spesso si pensa che il cristiano debba cercare il dolore e la sofferenza, che senza croci e dolori non ci si possa salvare. E una certa spiritualità cristiana ha spinto fortemente in questa direzione. Ma notiamo che qui Gesù dice: “prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”. Gesù ci chiede cioè di non voler evitare le inevitabili fatiche e sofferenze che la vita ci dà, ogni giorno, quotidianamente, ma di prenderle e portarle con lui, con fiducia. E non è neppure detto che una croce sia per forza sofferenza: quante persone conosciamo che hanno problemi a camminare, magari per una polio infantile, eppure vivono sereni questa loro croce. E così per tanti altri tipi di croce. Del resto Gesù ci dice anche che il suo giogo è soave e il suo carico leggero e, altrove, sottolinea l’aspetto della gioia dei suoi discepoli, dicendo “nessuno vi potrà togliere la vostra gioia”. Per concludere, Gesù non ci chiede di andarci a cercare le sofferenze, ma di prendere con fiducia la nostra croce e seguirlo,.... magari aiutandoci l’un l’altro a portare le croci più pesanti. Questa è la sintesi dell’essere seguaci di Gesù.

Credo che ora però dobbiamo fare un balzo nel tempo. Quello che abbiamo letto nel brano di Vangelo è il Gesù storico, quello che ha fatto la domanda a Pietro che lo vedeva in carne ed ossa. Ma, dopo, Gesù è stato crocifisso, è morto, è risorto il terzo giorno ed è apparso più volte ai suoi discepoli e a molta gente. Infine è asceso là da dove era venuto, e siede alla destra del Padre, qualunque cosa questo significhi per le nostre percezioni limitate. Però, non solo ci ha lasciato lo Spirito, ma ci ha anche garantito la sua presenza tra noi, come si legge in (Mt 28,20) “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”, o in (Mt 18,20) “Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. Questa è la nostra fede, la fede in un Dio fattosi uomo e ancora presente tra noi. Per questo la domanda fatta a Pietro ha senso anche per noi, oggi: “Ma voi chi dite che io sia?”. E anche a noi, oggi, Gesù dice “che io sia”, e non “che io fossi” o “che io sia stato”. Il tempo del verbo resta al presente.
È una domanda che potrebbe apparire banale, ma che può (e deve, secondo me) essere densa di significato. Per rendere l’idea, vi chiedo di ricordare a quando eravate fidanzati, o sposati da poco. Se il vostro marito o moglie o fidanzato vi avesse chiesto “chi sono per te?”, non avreste risposto, sbuffando, “che domanda! Sei Mario Rossi, nato a Persiceto il 31 dicembre del 1953”, ma sareste stati un po’ in silenzio e poi, sottovoce e abbracciati, avreste detto “tu per me sei....”, continuando, forse, con un lungo elenco di definizioni.
Anche nei confronti di Gesù, rispondere a questa domanda richiede silenzio e intimità, e soprattutto richiede ascoltare il cuore, e non la mente raziocinante. La risposta a questa domanda non ve la posso suggerire io, perché Gesù ci chiede prima di tutto una risposta individuale, che può essere poi condivisa, ma che parte dal cuore di ciascuno di noi. Per questo vi propongo di assaggiare un esercizio di preghiera che potrete poi fare di nuovo a casa, da soli, senza nessuna fretta. Ora non potremo dedicarci tanto tempo, ma spero basti a farvi venire voglia di riprenderlo. L’esercizio si chiama “I mille nomi di Dio” ed è preso dal libro Sàdhana di Tony de Mello.

I devoti indù memorizzano i mille nomi di Dio in sanscrito, ciascuno dei quali è pieno di significato e rivela un particolare aspetto della divinità, e fanno di questi nomi una forma di preghiera. Quello che vi propongo è che inventiate voi mille nomi per Gesù, con la più assoluta libertà, così come il salmista chiama Dio “mia roccia”, “mio scudo”, “mia fortezza”, “mio canto”, “mio pastore”.

Quindi prima di tutto fate silenzio interiore......  Voi ora siete qui......  E sapete che Gesù è presente...  Immaginatelo seduto vicino a voi... oppure come un punto al centro della vostra fronte... come vi viene meglio... ma sapete che c’è.... “Chi sono io per te?”.
Date sfogo alla vostra creatività, nella pace interiore, nella calma.... “Gesù, mia gioia”.... “Gesù, mia pace”... “Gesù, mia forza”... .... .... ....
Recitate uno dei nomi che vi affiorano al cuore ad ogni respiro.... Se ce n’è uno che vi attira di più, ripetetelo più volte, oppure, dopo averlo pronunciato una volta, soffermatevi per un po’ in silenzio, con amore, e poi passate ad un altro.... riposatevi in questo e poi passate ad un altro ancora....

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Ora comincia una parte dell’esercizio che potreste trovare più commovente. Immaginate di sentire Gesù che inventa mille nomi per voi. Cosa provate nel sentirvi chiamare con quei nomi? Sapete, spesso ci rifiutiamo di ascoltare parole amorevoli da Dio. Non riusciamo a credere che Dio ci ami incondizionatamente e di un amore infinito. Non ci lasciamo amare da Lui e pensiamo che dica su di noi solo cose negative, come peccatore, ecc., oppure che non dica nulla. Invece abbandonatevi alla fiducia nel Suo amore e ascoltate con quali parole vi chiama.

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Ancora un passo avanti... Immaginate Gesù che vi chiama con gli stessi nomi che voi avete usato per lui, escluso solo quelli che si riferiscono direttamente alla sua divinità. .... Non abbiate paura di esporvi all’intensità del suo amore... E non vi preoccupate se le parole usate dal Cristo possono essere frutto di una vostra invenzione. È probabile che Dio usi la vostra immaginazione, le vostre parole e simboli, per toccare il vostro cuore, per comunicarvi luce, ispirazione, gioia, vigore. E siate certi che l’amore di Dio per voi, in Gesù Cristo, è totalmente al di là di qualunque cosa che noi possiamo immaginare.

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Ora terminiamo l’esercizio, facciamo un canto e poi, nei pochi minuti che restano, chi vorrà potrà condividere una preghiera al Signore.
 


All'aurora ti cerco