28 maggio 2023
Domenica di Pentecoste


"La Buona notizia di Giovanni per una comunità del 21° secolo"

"Rinascere dallo Spirito"
Incontro di Gesù con Nicodemo


Buona Pentecoste a tutti! La Pentecoste è la festa di tutti noi che proviamo a sentirci discepoli di Cristo, chiamati a vivere la nostra vita secondo lo Spirito e non secondo la carne. Oggi per riflettere insieme sul nostro essere discepoli ci soffermiamo sull’incontro tra Gesù e Nicodemo (Gv 3,1-21). Premetto che devo gran parte di quanto vi dirò ad un intervento di Bruno Maggioni. Cominciamo dunque leggendo il brano:

Incontro di Gesù con Nicodemo (Gv 3,1-21)
[1] Vi era tra i farisei un uomo di nome Nicodèmo, uno dei capi dei Giudei. [2] Costui andò da Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro; nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui». [3] Gli rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio».
[4] Gli disse Nicodèmo: «Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». [5] Rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. [6] Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito. [7] Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall’alto. [8] Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito».
[9] Gli replicò Nicodèmo: «Come può accadere questo?». [10] Gli rispose Gesù: «Tu sei maestro d'Israele e non conosci queste cose? [11] In verità, in verità io ti dico: noi parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo ciò che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza. [12] Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? [13] Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. [14] E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, [15] perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
[16] Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. [17] Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. [18] Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. [19] E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. [20] Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. [21] Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio»..

Siamo all’interno di quello che i biblisti chiamano "il ciclo delle istituzioni" che inizia e termina a Cana di Galilea: “Il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea…. Questo, a Cana di Galilea, fu l'inizio dei segni compiuti da Gesù” (Gv 2,1.11) e “Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino…. Questo fu il secondo segno, che Gesù fece quando tornò dalla Giudea in Galilea” (Gv 4,46.54). Se consideriamo le tematiche degli episodi presenti in questo blocco ci accorgiamo che riguardano importanti istituzioni dell’Antico Testamento:
  • Gv 2,1-11: nel primo segno di Cana dietro la simbologia delle nozze si nasconde il tema dell’Alleanza che viene sostituita;
  • Gv 2,13-25: nella cacciata dei mercanti dal tempio Gesù afferma di essere egli stesso il vero tempio che sostituisce l’antico;
  • Gv 3,1-21: nel dialogo con Nicodemo Gesù parla di una nuova nascita per cui lo Spirito sostituisce la Legge;
  • Gv 3,22-36: la testimonianza del Battista presenta la sostituzione dei mediatori dell’Alleanza, dove all’amico dello sposo subentra lo sposo stesso;
  • Gv 4,1-45: l’incontro con la Samaritana permette di sviluppare il tema del culto in spirito e verità che sostituisce l’antico culto del tempio;
  • Gv 4,46-54: la guarigione del figlio dell’ufficiale regio; qui non si tratta di una vera e propria sostituzione, ma dell’allargamento del popolo di Dio ai pagani.
In questa sezione Gesù incontra tre personaggi: un dottore fariseo, una donna samaritana, un funzionario pagano, tre figure espressive di mondi sociali, culturali e religiosi differenti. Nicodemo è il primo di questi.

Nella sezione del vangelo in cui questi tre incontri si inseriscono (2,1-4,54), compaiono due termini che si rincorrono e si pongono fra loro in tensione: segni e credere.
A Cana di Galilea Gesù compie il primo dei segni: «Rivelò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in Lui» (2,11). Al Tempio i Giudei chiedono a Gesù: «Quale segno ci mostri per agire così?» (2,18). A Gerusalemme «molti credettero nel suo nome vedendo i segni che faceva, ma Gesù non credeva in loro» (2,23-24).
Anche Nicodemo riconosce Gesù dai segni che compie (3,2), un riconoscimento che però è insufficiente rispetto al credere che Gesù esige.
Nell'episodio del funzionario pagano, Gesù rimprovera chi cerca i segni: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete» (4,48). L'episodio della Samaritana si conclude con due affermazioni sulla fede: «Molti Samaritani di quella città credettero in Gesù a motivo delle parole della donna...» (4,39); «Molti di più credettero in Lui per la sua parola» (4,41). Qui la vera fede nasce dalla testimonianza e dall'incontro, non dai segni.

La conclusione è che si assiste a una tensione tra segni e fede. Gesù rimprovera la fede che cerca segni e tuttavia li compie. Il dialogo con Nicodemo si colloca al cuore di questa tensione.
Sull’esempio di Gesù siamo chiamati non a cercare segni, ma essere segni!

Io sono segno, sacramento di Cristo? Quale significato ha la mia vita oggi?

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La suddivisione del Vangelo in capitoli e sezioni, creata dalle traduzioni dei testi originali, scritti tutti di continuo, ci fa perdere una piccola perla: Nicodemo compare sulla scena in 3,1, ma la sua comparsa è preceduta da una annotazione generale (2,23-25) che ne costituisce lo sfondo necessario: “Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c'è nell'uomo. C’era un uomo tra i farisei….
L'atteggiamento che Nicodemo assume di fronte a Gesù non è soltanto suo, ma è espressione di un atteggiamento che molti a Gerusalemme condividevano. «Molti credettero nel suo nome... ma Gesù non credeva in loro» (2,23): Nicodemo fa parte di questi molti. Dove sta la debolezza della loro fede tanto da indurre Gesù a non fidarsi di loro? Che cosa vede Gesù nel cuore di questi credenti, Lui che «conosce quello che c'è nel cuore dell'uomo»?

Le due domande non riguardano solo Nicodemo né soltanto i molti di Gerusalemme, ma ogni uomo che si confronta con Gesù e con i segni che Egli compie. Sta nella forza di queste domande la perenne contemporaneità del colloquio di Gesù con Nicodemo.
Si parte dal nome Nicodemo, composto da Nicos (vincitore) e demos (popolo), ovvero vincitore del popolo: egli è un capo dei Giudei e probabilmente faceva parte del Sinedrio, è un rabbino, un maestro di Israele, uno studioso delle Scritture, è certamente la persona più colta che Gesù ha incontrato, un conoscitore del diritto e della teologia. Appartiene alla cerchia dei farisei; il termine fariseo indica il separato, erano i fedelissimi osservanti della Legge che facevano della loro maniacale e pignola osservanza la questione fondamentale della loro vita. Per essere fedeli a tutte le pratiche religiose e a tutte le devozioni inevitabilmente si separavano da tutto il resto del popolo che non potevano seguire tutti i comandamenti, erano infatti riusciti ad estrapolare dalla Legge ben 613 precetti da osservare fin dall’inizio della mattina fino alla conclusione della giornata. Ricordate la parabola del fariseo e del pubblicano? Gesù non condanna il fariseo perché aveva detto cose false ma perché si vantava di ciò che faceva e non riconosceva il dono di Dio.
Nicodemo lo ritroveremo in altri due momenti. Uno è in Gv 7,50-52, quando i capi dei Giudei rifiutano l'autorevolezza di Gesù: “Allora Nicodemo, che era andato precedentemente da Gesù, ed era uno di loro, disse: «La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?». Gli risposero: «Sei forse anche tu della Galilea? Studia, e vedrai che dalla Galilea non sorge profeta!»". L'altro momento è in Gv 19,39 quando insieme a Giuseppe d’Arimatea calarono il corpo di Gesù dalla croce per poterlo seppellire.

Nicodemo si reca da Gesù di notte. Questa non è solo una indicazione temporale quanto piuttosto teologica: la notte per i rabbini era il tempo dello studio e della meditazione, ma soprattutto in Giovanni la notte rappresenta ancora il momento in cui sono le tenebre ad avere la meglio. Per Giovanni Nicodemo era ancora nella notte perché in lui prevalevano le tenebre sulla luce.
L’iniziativa dell'incontro è comunque di Nicodemo: è lui che viene da Gesù ed è lui che parla per primo. Tuttavia il protagonista è Gesù: è Lui infatti che conduce il discorso ed è di Lui che sempre si parla. Nicodemo, invece, appena svolto il suo ruolo e poste le sue domande, scompare. Il narratore lo dimentica lasciando in sospeso la sua vicenda personale: ha compreso il significato delle parole di Gesù? Ha accolto l'invito a nascere di nuovo e dall'alto? Nulla è detto.

Nicodemo in realtà non viene da Gesù con una domanda, ma con una conclusione, sua e di altri: «Sappiamo». Non è un uomo in ricerca, ha già concluso e già sa. Egli è sicuro, e forse sta proprio anche in questa sua sicurezza la ragione non ultima della sua incomprensione. Non bastano i segni compiuti da Gesù per chiudere il discorso su di Lui, come hanno già fatto anche i molti di Gerusalemme (2,23). I segni possono bastare per dire che Gesù è un maestro e che la sua missione viene da Dio, ma non cambiano lo schema messianico abituale né colgono veramente la persona di Gesù. Nicodemo dice cose vere su Gesù: è un maestro, è venuto da Dio, Dio è con Lui (3,2). Tutte cose che Gesù non rifiuta, ma che restano alla superficie, chiuse in una visione teologica volta al passato.

Nicodemo non è la figura dell’oppositore che rifiuta Gesù, ma la figura di quella parte del giudaismo che è disponibile a considerarlo profeta e taumaturgo, incapace però di lasciarsi sorprendere dalla sua inattesa novità. Questa lettura di Gesù è al tempo stesso benevola e innocua. Non richiede alcun cambiamento teologico. Gesù è un grande profeta, certamente meritevole di essere difeso dalle offese e dalle calunnie che lo colpiscono. Non è, però, il portatore di una rivelazione che fa cadere le abituali concezioni di Dio.

Chi è Dio per me? Sono disponibile a lasciarmi sorprendere da Dio?

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Tre volte parla Nicodemo, tre volte Gesù. Ogni intervento di Gesù è indicato come risposta, ma tuttavia a guidare il discorso è Gesù e non Nicodemo: infatti ogni intervento di Gesù è preceduto da "amen, amen" tradotto “in verità, in verità” (meglio sarebbe “ti assicuro”), espressione solenne che in tutti i vangeli è riservata alle grandi rivelazioni.
Stupendo è lo sviluppo del discorso con Nicodemo che parte con un “sappiamo” ma il vero discorso prende l'avvio dalla risposta di Gesù, che annuncia un detto enigmatico, frainteso da Nicodemo, che piano, piano sparisce nella notte dopo la terza domanda senza aver capito nulla di ciò che Gesù gli aveva detto. È questa la struttura portante dell'intero dialogo: Gesù si rivela e l’uomo non comprende.
Nel dialogo fra Gesù e Nicodemo si trovano almeno tre parole suscettibili di un doppio significato: anothen (dall’alto/di nuovo), gennao (nascere in senso spirituale/essere generato fisicamente), pneuma (vento/spirito). Giovanni gioca sul duplice significato di questi termini. Si tratta di una tecnica letteraria, che però manifesta un significato teologico, addirittura un modo di leggere il mondo e l’esistenza: una medesima realtà può essere compresa a livello carnale e a livello spirituale. L’uomo è prigioniero del primo livello, ma per divenire credente deve passare al secondo. Dall'alto e dal basso, potere e non potere, rivelazione e incomprensione, carne e spirito, luce e tenebra (tutte espressioni che ricorrono nel colloquio) non sono la traccia di due mondi contrapposti. Più semplicemente intende mettere in luce da una parte l'impotenza dell'uomo lasciato a sé stesso, dall’altro la gratuità del dono che gli viene offerto.
Le rivelazioni di Gesù si fanno sempre più ampie, a mano a mano che il discorso procede, il dialogo lascia sempre più spazio al monologo, e alla fine resta soltanto la rivelazione di Gesù. Siamo di fronte alla verità non c'è più spazio per le domande né per eventuali risposte, ma solo per il sì e per il no.


Tra le tante domande della mia vita Dio cerca solo il mio “Sì”, sono disposto a pronunciarlo ogni giorno della mia vita?


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Di fronte al riconoscimento di Nicodemo, Gesù non segue Nicodemo nel suo discorso, non ribatte parlando direttamente di sé, accettando, correggendo o rifiutando l’opinione che quell’uomo ha formulato su di Lui, ma sposta la questione dai segni che Egli compie alle condizioni per vedere il regno. Nicodemo vuole capire chi è Gesù, vuole riportarlo all’interno della Tradizione e della corretta teologia ebraica; al contrario per Gesù il vero problema è proprio il modo di pensare il Regno di Dio, cioè la presenza di Dio nel mondo e in Israele, in particolare la sua azione ultima e decisiva. Si può comprendere l'evento di Gesù unicamente se si è disposti a rivedere a fondo il proprio modo religioso di pensare Dio e la sua azione e, spostando il discorso sul Regno, Gesù non ha portato Nicodemo fuori strada, ma lo ha messo sulla strada giusta.

Unica condizione necessaria per “vedere il Regno di Dio” e per comprendere chi è Gesù è nascere anothen (dall’alto/di nuovo): oggi noi di fronte a questo botta e risposta rimaniamo ammirati, apprezzandone la bellezza e la forza di suggestione; Nicodemo invece, il cui punto di vista è completamente diverso, ne resta sconcertato e non ne comprende il significato teologico e spirituale.
Il verbo generare che qui compare sei volte nelle parole di Gesù è sempre in forma passiva: non è l’uomo che genera sé stesso, né un uomo viene alla vita in forza di qualche suo merito, né in forza di qualche personale ricerca, ma è la forza di Dio (dall’alto) che lo genera; la generazione è pura gratuità. “Non si entra nel Regno di Dio né per via di conquista né in forza del genio, anche se religioso. Ci si entra come si entra nella vita: attraverso la grazia dell'amore, come un neonato” (Mollat). La metafora della rinascita suggerisce, inoltre, la novità di ciò che avviene. Chi nasce non ha già un passato alle spalle, ma si affaccia alla vita quasi dal nulla. La nascita non è un passaggio dal vecchio al nuovo, ma l'apparizione di una novità. Vi è una radicale mutazione, occorre un cominciare da capo, quasi dal nulla.

Ogni giorno sono chiamato ad essere generato di nuovo dall’alto per vedere il Regno di Dio: quali segni di vita nuova ho visto e vedo in me ogni giorno?

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Nicodemo non comprende la parola di Gesù, mostrando in tal modo che la sua iniziale presunzione di sapere («sappiamo») è, in realtà, un «non sapere». Tuttavia è costretto a porre una domanda intorno a una questione che credeva già conclusa: «Come può un uomo già vecchio...?» (3,4). Sia Gesù sia Nicodemo ricorrono al verbo “potere”, ma mentre Nicodemo si preoccupa di come sia possibile la rinascita, Gesù invece si preoccupa di come sia possibile vedere il Regno: è questo per Lui il punto problematico.

Questo fraintendimento permette a Gesù di precisare e giustificare la propria affermazione, introducendo al contempo due novità: “Se uno non è generato dall'acqua e dallo Spirito non può entrare nel Regno di Dio”; non dice più “vedere” il Regno, ma “entrare dentro” il Regno. Le due espressioni indicano che l'uomo, se non è rigenerato, non ha gli occhi per vedere, non soltanto: gli manca la forza per entrare. La seconda modifica: la formula “dall’alto e di nuovo” si trasforma nella formula “dall’acqua e dallo Spirito”.
Lo Spirito è il protagonista della rigenerazione, la sola forza in grado di operarla. È lo Spirito che dona all’uomo la luce per vedere il Regno e la forza per entrarvi. Senza lo Spirito l’uomo resta chiuso nel cerchio dell’incomprensione e dell’impotenza. Nonostante la sua appartenenza religiosa e la sua sapienza, nonostante la sua benevolenza nei confronti di Gesù, Nicodemo continua a non comprendere. La ragione è detta da Gesù nella forma di un principio generale, che non ammette eccezioni, una sorta di necessità: “è necessario che siate rigenerati dall’alto.

In Giovanni l’espressione “carne e spirito” non suppone una visione dualistica dell'uomo, ma la contrapposizione è fra l’uomo lasciato a sé stesso e l’uomo animato dallo Spirito di Dio: nel primo caso l’uomo è incapace di vedere, di capire, di andare oltre l’apparenza e la materialità delle cose, e la sua lettura del mondo e della storia, soprattutto dell’evento di Gesù, è necessariamente superficiale e riduttiva; nel secondo l’uomo diventa capace di una lettura “spirituale” del mondo e dell’evento di Gesù, il suo sguardo sa penetrare nel profondo della realtà che si vede per cogliere i segni di Dio (discepoli di Cana).

Nicodemo continua a pensare la rinascita di cui Gesù parla, come un evento fisico, visibile e raccontabile al pari di ogni altro fenomeno, come un miracolo, ad esempio; ora giocando sul duplice significato di pneuma (vento e spirito), Gesù fa riflettere il suo ostinato interlocutore sulla natura dello Spirito e delle realtà spirituali che Egli opera. Il vento lo riconosci non perché lo vedi e lo afferri, ma per il rumore che fa e gli effetti che produce. Ci si aspetterebbe: così è lo Spirito, ma Gesù conclude il paragone diversamente: “Così è chiunque è rigenerato dallo Spirito”. La rigenerazione dall’alto è un evento misterioso, come è misteriosa la forza dello Spirito che la compie. Non vedi come avviene, però puoi vedere i suoi effetti: un modo nuovo di guardare, di ragionare, di vivere.

Mi rendo conto di essere un uomo nuovo, una donna nuova?

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Di fronte alla nuova domanda di Nicodemo che mostra ancora una volta la sua incapacità a capire, Gesù ribatte mettendo a sua volta in risalto l'incomprensione del suo interlocutore e del gruppo che rappresenta (verbi al plurale).
La terza e ultima affermazione solenne di Gesù è diretta a Nicodemo ed è introdotta al singolare (“ti dico”), ma poi sorprendentemente Gesù conclude la sua asserzione al plurale, come già Nicodemo all’inizio del dialogo: “Noi parliamo di ciò che conosciamo e testimoniamo ciò che abbiamo veduto..”. Ora è Gesù che viene qui presentato come una figura rappresentativa: non è solo Lui che parla, ma Lui e la sua comunità.

Così ambedue i personaggi presenti sulla scena vengono ben delineati: alle spalle di Nicodemo c’è il suo gruppo, alle spalle di Gesù c’è la sua Chiesa. Il lettore è invitato a comprendere che il dialogo non è circoscritto a un tempo e a un luogo, non è chiuso nella singolarità di un evento storico particolare, ma si dilata nel tempo e si fa contemporaneo, prolungandosi nel confronto fra la Chiesa e la sinagoga, la Chiesa e il mondo, un mondo che cerca Dio e vuole una risposta dai discepoli di Cristo.


La mia vita è risposta al desiderio del mondo di incontrare Dio?


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Nicodemo esce di scena, ha esaurito la sua duplice funzione: quella di mostrare l’impotenza dell’uomo e quella di mostrare che i segni non bastano per capire la novità di Gesù; insieme a Nicodemo e alle sue domande scompaiono anche le categorie del Regno, della rinascita e dello Spirito, sostituite da altre immagini e vocaboli: credere, avere la vita eterna, venire alla luce.

Al centro del monologo conclusivo vi è Gesù colto nel mistero della croce e l’uomo colto nel dramma della sua decisione di fede o di incredulità. Tutto è detto alla terza persona singolare, come una serie di affermazioni di cui non si vuole scoprire il soggetto e l'ascoltatore. Anche Gesù sembra uscire di scena per lasciare spazio alla testimonianza della comunità e ciò che viene detto non riguarda più Nicodemo e i farisei ma tutti gli uomini.

La prima grande affermazione cristologica è che Gesù è in grado di rivelare agli uomini il mistero di Dio; la seconda conduce direttamente al centro dell’evento salvifico, cioè al paradosso della Croce.
L’affermazione prende l'avvio da un episodio che si legge nel libro dei Numeri (21,6-9), mostrando in tal modo una qualche continuità fra il paradosso del Crocifisso e le antiche scritture.
In entrambi i casi la salvezza si attua mediante un “innalzamento”, immagine cara a Giovanni per dire la sua profonda comprensione del Crocifisso. «Quando sarò innalzato – si legge in 12,32 – attirerò tutti a me»: l'innalzamento dice visivamente la modalità della morte di Gesù (sollevato da terra sulla Croce) e il significato del suo morire (sollevato in alto verso Dio), mostrando insieme l’umiliazione e il trionfo. Se lo guardi dal basso, vedi nel Crocifisso già i tratti del Risorto (vedi uno sconfitto innalzato); se lo guardi dall'alto, vedi nel Risorto i tratti del Crocifisso, come appunto Gesù mostrerà all'incredulo Tommaso.

La grande rivelazione da capire e alla quale aderire – credere significa appunto capire e aderire – è la Croce vista come vittoria, dono e vita. Credere nell'Innalzato è la rigenerazione dall’alto e dallo Spirito, un modo capovolto, del tutto nuovo, di guardare Dio e l’uomo. Cristo crocifisso è Colui che svela l'immenso amore di Dio per il mondo, ed è Colui che salva e dà la vita a chiunque crede in Lui.
Dice infatti Gesù: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”. In queste parole traspare la stupita meraviglia del credente che si trova di fronte a un amore divino che nessuno avrebbe osato immaginare.

La salvezza è espressa qui con la categoria della vita eterna, o meglio la vita dell’eterno; vita in Giovanni fa sempre riferimento a Cristo poiché è l’Unigenito innalzato, e soltanto Lui, che incarna la vita di Dio e può perciò comunicarla all’uomo.
In secondo luogo questa vita divina è una realtà già presente nel cristiano poiché qui non si tratta di una quantità di vita ma di una qualità: la vita eterna non è una vita dalla durata illimitata, ma una vita spesa per amore e l’uomo può accogliere questa vita soltanto nella fede e può manifestarla ponendosi nell'esistenza in un modo nuovo: un nuovo modo di conoscere, vedere, valutare, costruire rapporti, amare. La vita divina è l’amore e lontano dall’amore l’uomo esiste, ma non vive: «Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli» (1Gv 3,14).


Vivere nello Spirito di Cristo è vivere ogni momento per amore e nell’amore: per me è proprio così?


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In conclusione il discorso si sposta sul tema del giudizio e della incredulità ed in questo contesto si inserisce la terza affermazione cristologica: “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare (condannare) il mondo, ma perché il mondo fosse salvato per mezzo suo”. Dio ha inviato il Figlio a salvare, non a giudicare, ma tuttavia la sua venuta opera un giudizio: non è però Dio che giudica, ma è l'uomo che si giudica con la propria scelta di credere o non credere, con il suo rifiuto o la sua accoglienza del dono di Dio, l’uomo si costruisce salvato o condannato, luce o tenebra. È un tema importante questo in Giovanni: perché ci sono persone che conoscono e non credono, perché io conosco e non credo? Chi agisce in modo scorretto è perennemente in cerca di giustificazioni, anche religiose, per salvare ciò a cui non vuole rinunciare e Giovanni colloca in questo attaccamento e in questa ostinazione la radice dell’incredulità, che non si manifesta soltanto come rifiuto, ma anche come insofferenza.

Il dialogo fra Gesù e Nicodemo ha ripetutamente sottolineato l’incapacità dell’uomo, non rigenerato dallo Spirito, a capire la novità di Gesù, che non permette più di rimanere chiusi nel proprio passato religioso. Il pericolo dell’uomo religioso è di interpretare Gesù all’interno di un sapere già noto, di categorie tradizionali. Il lungo monologo, che conclude l'episodio, è sceso ancor più profondamente nel cuore dell'uomo e nel mistero dell'incredulità. L'uomo prigioniero di opzioni sbagliate e tuttavia responsabili, preferisce la menzogna e respinge la verità che lo inquieta. L'uomo rifiuta la rivelazione di Dio non soltanto perché cieco e impotente, ma anche perché prigioniero di un amore deviato.

Sento in me la fatica di credere e di vivere la vita dell’eterno che Dio mi ha dato?