Attesa - Silenzio
Iniziamo oggi il campo con l'incontro su Attesa e Silenzio. Per questo tema mi sono ispirato a due libri, uno di Paolo Scquizzato sull'Introduzione alla meditazione silenziosa [1]
e l'altro di Silvia Ostertag, allieva di W. Jager, monaco benedettino,
maestro zen ed esperto di pratica meditativa, intitolato "Silenzio
Vitale" [2].
E questo accade anche col silenzio: se ne faccio esperienza me ne ricorderò e ne avrò desiderio.Forse ci si può chiedere se è l'attesa che suscita il desiderio o al contrario se è il desiderio che suscita l'attesa. Provo a spiegarmi: normalmente abbiamo l'attesa per qualcosa che aspettiamo e che quindi desideriamo, ma può essere anche il contrario, cioè che il desiderio di una cosa di cui già abbiamo avuto esperienza mi susciti un'attesa nella speranza di rivivere o di risperimentare quel momento. Paolo Scquizzato dice che “nel
silenzio meditativo mi pongo in atteggiamento di libera e nuda attesa,
non di ciò che mi aspetto o desidero, ma di ciò che deve compiersi.
Occorre per questo che sia lasciata ogni altra occupazione, ogni altra
aspettativa e si sia totalmente rivolti a ciò che deve, vuole e può
accadere”. Devo cioè essere nel mio qui e ora, possibilmente in
silenzio, silenzio interiore che si raggiunge facendo tacere la mente e
il suo continuo chiacchiericcio, che soprattutto agli inizi continuerà
ad esserci: lo accolgo, ma mi ri-centro sul silenzio concentrandomi sul
mio respiro.
L'atto del meditare, infatti, altro non è che dare uno spazio al divino in sé, spazio lasciato libero dal mio ego. “Dove non c'è più io, c'è Dio", amava ripetere la mistica Caterina da Genova. È ciò che Simon Weil definisce l'attesa senza oggetto. Finché attendiamo ciò che crediamo di conoscere ci raggiungeranno, infatti, solo fantasmi. L’attesa
deve essere vuota, gratuita, non dettata dalla richiesta, ma di ciò che
vuole giungere. Attesa dell’imprevedibile. Sì, l’attesa senza oggetto è
apertura all’imprevedibilità. Non attendo ciò che desidero, ma ciò che
credo sia bene per me.
Semplificando questo concetto si può forse dire che il meditare è uno spazio interiore libero da me stesso, dalla mia testa, dai miei filtri, aperto a ciò che la vita in quel momento ha in dono per me, o meglio a ciò che la vita in quel "qui ed ora" è per me. Il silenzio è la "conditio sine qua non" perché la meditazione abbia un senso: è molto più del semplice fare silenzio, del tacere. Il silenzio è nuda attenzione alla realtà, al respiro, alle sensazioni fisiche, è l’attitudine della mente che permette di realizzare lo stacco nei confronti delle mille fonti di confusione e agitazione in cui siamo abitualmente immersi e con cui siamo soliti identificarsi: impegni quotidiani preoccupazioni, ricordi del passato, paure, progetti per il futuro, angosce, desideri. "Quando l'uomo riposa in sé come nel nulla, non è limitato da altro ed è sconfinato, e Dio versa in lui la sua gloria", afferma Martin Buber ne "Il cammino dell'uomo". Se entriamo in questa preghiera silenziosa, il divino, che risiede nel nostro intimo, si rivelerà in tutto il suo splendore perché non più nascosto dai nostri tentativi di comprenderlo con la mente, dagli innumerevoli nomi con cui l'abbiamo sovraccaricato. I nomi di Dio infatti, più che rivelarlo, lo nascondono; per gli islamici il centesimo nome di Dio rimane nascosto, impronunciabile, inaccessibile. Egli è tutto totalmente altro. È necessario ridurre al silenzio ogni aspetto razionale, perché pensare il divino non significa farne esperienza, bensì sancirne la fine. Padre Vannucci, nel suo "Invito alla preghiera", diceva: il silenzio è quello spazio in cui il divino non è più invocato, ma presente. Cercare il silenzio significa creare in noi lo spazio entro cui possiamo vedere la realtà non deformata da schemi e dove possiamo essere, svilupparci e crescere. Il silenzio ci fa nudi ed esposti, senza protezione. Ma in questa nudità assoluta, in questo affidamento totale all'energia dell'universo, scopriamo il nostro vero nome: il nome che Dio ha pronunciato, che collega la nostra finitezza all'infinito. Se si è silenziato l'uso della ragione, allora si può anche rinunciare a porsi le grandi domande dell’ esistenza e comprendere che la vita non è una grande questione che ha bisogno di risposte, ma esperienza da vivere nella sua totalità: questo può essere una grande liberazione. Imparare a fare silenzio, allora, significherà permettere che la vita faccia il suo corso senza il bisogno continuo di interferire con essa. Oggi, nei nostri gruppi e nelle nostre comunità, spesso guardiamo a quante persone sono venute, a quante parole, quanti discorsi abbiamo fatto, quanti documenti abbiamo proposto, per poi constatare che forse l'unico grande assente è proprio la presenza, che come ci dice anche la Bibbia, non si dà nel tuono o nella tempesta, ma nel mormorio di un vento leggero (1 Re 19,9–13). In questo silenzio, una volta crollato tutto ciò che pensavamo di essere, emergerà finalmente ciò che siamo per davvero, la nostra vera identità, il Sé autentico, che era nascosto dietro le nostre definizioni. Simon Weil diceva: vivere un'attesa vuota di oggetto, compiere l'atto del desiderare senza l'oggetto del desiderio, nella consapevolezza che, nel momento in cui vivremo questo vuoto, potrà finalmente raggiungerci qualcosa che avrà il sapore dell'impossibile. Non c'è bisogno, per dare ascolto al silenzio, di volare nel deserto e neppure di stare seduti in un'antica Chiesa, oppure di andare in un bosco. Lo si può fare in qualsiasi momento lo si voglia: entrare nel silenzio in se stessi. Lì dentro di noi c'è un luogo simile ad un bosco silenzioso, lì c'è un tacere ampio e profondo. All’inizio sarà sicuramente un'esperienza breve, ma quell'essere stato nel silenzio avrà avuto comunque un effetto, così come ogni minima esperienza di silenzio, quando ci si riflette, ha sempre creato un effetto almeno per un po' di tempo. Stare in silenzio, quindi, non vuol dire solo stare zitti, ma lasciare andare i sentimenti e far tacere i pensieri: questo per il silenzio è la cosa decisiva. Il silenzio purifica il sentire, il pensare delle nostre identificazioni forzate, proprio in quanto il sentire, l’ascolto in quel momento sono avvolti dal silenzio. Per facilitare il raggiungimento del silenzio interiore, è importante assumere un atteggiamento corporeo con la schiena eretta, non rigida, ma sciolta e il portamento diritto aperto della testa che permetta libero flusso della respirazione. Quanto più l'attenzione fluisce nel respiro, quanto più il respiro riempie la percezione, tanto più la tensione si unisce con il respiro stesso: sempre più questo processo diventa lui stesso il silenzio e alla fine non c'è altro che silenzio [3]. Vi cito ora tre brevi brani tratti da poesie, riflessioni di quest’ autrice:
Dopo questa introduzione, che capisco forse un po’ pesante, volevo dire che io ne ho fatto una breve esperienza, sempre guidata e ne sono stato bene. Farla da soli è un po’ difficile, bisogna essere molto allenati. Per questo, per chi vuole, per domani propongo 10/15 minuti di meditazione silenziosa. E Gesù in tutto questo dove lo mettiamo?
Volevo concludere lasciandovi un pensiero di Padre Turoldo [7]:
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Paolo Scquizzato, Se non lo cerchi lo trovi - Introduzione alla meditazione silenziosa, Edizioni Paoline, 2023.