Campo San Giovenale di Peveragno
martedì
2 agosto2011
[1]C'era tra i farisei
un uomo chiamato Nicodèmo, un capo dei Giudei. [2]Egli andò
da Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che
sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti può fare i segni che
tu fai, se Dio non è con lui». [3]Gli rispose Gesù:
«In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall'alto,
non può vedere il regno di Dio». [4]Gli disse Nicodèmo:
«Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può
forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?».
[5]Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti
dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel
regno di Dio. [6]Quel che è nato dalla carne è carne e quel
che è nato dallo Spirito è Spirito. [7]Non ti meravigliare
se t'ho detto: dovete rinascere dall'alto. [8]Il vento soffia dove vuole
e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è
di chiunque è nato dallo Spirito». [9]Replicò Nicodèmo:
«Come può accadere questo?». [10]Gli rispose Gesù:
«Tu sei maestro in Israele e non sai queste cose? [11]In verità,
in verità ti dico, noi parliamo di quel che sappiamo e testimoniamo
quel che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza.
[12]Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete
se vi parlerò di cose del cielo? [13]Eppure nessuno è mai
salito al cielo, fuorché il Figlio dell'uomo che è disceso
dal cielo. [14]E come Mosè innalzò il serpente nel deserto,
così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, [15]perché
chiunque crede in lui abbia la vita eterna». [16]Dio infatti ha tanto
amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque
crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. [17]Dio non ha mandato
il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si
salvi per mezzo di lui. [18]Chi crede in lui non è condannato; ma
chi non crede è già stato condannato, perché non ha
creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. [19]E il giudizio è
questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito
le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. [20]Chiunque
infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non
siano svelate le sue opere. [21]Ma chi opera la verità viene alla
luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte
in Dio.
|
Oggi vediamo un altro incontro con Gesù, quello di Nicodemo, che presenta delle somiglianze con quello del giovane ricco su cui abbiamo riflettuto ieri. Anche qui l’iniziativa parte da Nicodemo,
desideroso di interrogare Gesù per capire, comprendere di più.
Nicodemo è un fariseo, uno dei capi, uno stretto osservante della
Legge, probabilmente un membro del sinedrio. Dunque un "maestro d’Israele",
come lo definisce Gesù stesso al versetto 10.
La risposta di Gesù è brusca: «In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio». Ha capito l'incertezza di Nicodemo ma non rifiuta un incontro ambiguo: è venuto per tutti perché tutti siano salvi. Ma allo stesso tempo capisce che il dialogo con Nicodemo è possibile solo nella misura in cui egli si lascerà scalfire le sue certezze teologiche. Gesù quindi va subito al nocciolo della questione e invita Nicodemo a guardare bene e a vedere in quello che Gesù fa e dice una "diversità" rispetto a quella che ha visto e sentito dai profeti che lo hanno preceduto. Se Nicodemo non coglie questa diversità non c’è niente da fare. Se noi non cogliamo questa diversità non c'è niente da fare: Gesù resta un profeta come tanti e noi siamo ancora all'Antico Testamento. Occorre rinascere: questa è la
condizione per entrare nel Regno che Nicodemo sta aspettando. Nicodemo
non capisce: «Come può un uomo nascere quando è
vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre
e rinascere?». La seconda risposta di Gesù ribadisce il
concetto: è necessario rinascere, e questo è possibile mediante
lo Spirito, di cui si possono sentire gli effetti, come il vento, ma che
non può essere catturato e inquadrato.
Nicodemo resta ancora perplesso: «Come
può accadere questo?». E qui Gesù mostra la sua
amarezza per non essere creduto, direi in generale dalla categoria dei
farisei, quelli che passano per "maestri" in Israele: «...voi
non accogliete la nostra testimonianza. Se vi ho parlato di cose della
terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo?».
E ribadisce di parlare non per sentito dire, ma per conoscenza diretta,
pungolando Nicodemo perché abbia fede in lui: «In verità,
in verità ti dico, noi parliamo di quel che sappiamo e testimoniamo
quel che abbiamo veduto». In fondo Nicodemo era venuto da lui
perché aveva visto che i segni che Gesù faceva erano compatibili
solo col fatto che Dio fosse con lui!
Gesù allo stesso tempo esce da qualsiasi riserbo con Nicodemo e svela l'essenza del mistero della salvezza: «...come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna». Nicodemo viene rimandato all’esperienza dell’Esodo: la rinascita nello Spirito scaturisce dalla fede in Cristo innalzato sulla croce. Questo mi richiama un bel libro di Giovanni Vannucci, «Cristo e la libertà» edito dalla Fraternità di Romena, che ho letto un mesetto fa e in cui si delineano tanti aspetti della novità assoluta che Cristo ha portato e che è importante sottolineare oggi in relazione all'incontro con Nicodemo. Uno di questi è legato all'esperienza del passaggio del Mar Rosso da parte del popolo ebreo, messo a confronto con l'episodio di Gesù che cammina sul mare di Galilea. Il mare rappresenta sempre l'inconscio, la parte tenebrosa del nostro essere. Tutto il nostro cammino verso la luce non è altro che diventare consapevoli di noi stessi, capire il perché delle nostre azioni, capire quali forze si muovono dentro di noi, scoprire la vita che ci anima e ci unisce a Dio nel profondo di noi stessi. Imparare a conoscere lo sconosciuto che è in noi è camminare sulle acque. Ma tra i due episodi c'è una grande differenza. Nel passaggio del Mar Rosso è il popolo che attraversa il mare, come popolo, mentre Gesù lo fa individualmente. Gli ebrei affermano: "io sono figlio del popolo eletto". Gesù invece dice "io sono figlio dell'uomo e figlio di Dio", perché anche ciascuno di noi possa dire "io sono figlio dell'uomo e figlio di Dio". Se nella storia della salvezza è stato importantissimo che il popolo ebreo vivesse come popolo l'alleanza con Dio, il Cristo, nella pienezza dei tempi, ci dice che il cammino verso la luce e la salvezza è un cammino individuale. Certo che è importantissimo l'aiuto fraterno, così come ci si aiuta in montagna a superare passaggi difficili, ma nondimeno il percorso va fatto da ciascuno. E del resto Gesù lo dice chiaramente anche quando parla del giudizio finale: "così sarà anche alla venuta del Figlio dell'uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno sarà preso e l'altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una sarà presa e l'altra lasciata" (Mt 24, 39-41). Non basta appartenere alla Chiesa Cattolica o alla Comunità Una: è ciascuno di noi che deve rinascere dall'alto, rinascere nello Spirito e aprirsi alla luce. E infine la rivelazione più sconcertante: "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui". Non è chiaro se questa frase e quello che segue subito dopo sia stato detto da Gesù a Nicodemo o aggiunto da Giovanni: la Bibbia di Gerusalemme chiude le virgolette prima, mentre la traduzione interconfessionale le chiude dopo, ma per noi può essere indifferente. Il Cristo è venuto a dirci che Dio ci ama di un amore smisurato e che ci vuole tutti con sé. Sempre nel libro «Cristo e la libertà», Vannucci si chiede: che religione c'era prima di Cristo? La risposta che dà è che prima di Cristo tutte le religioni, sia quella ebraica che quelle cosiddette "pagane", erano in sostanza "religione del Padre", dove padre è inteso alla maniera antica, cioè quella del capo autoritario che comanda su tutta la famiglia: in tutti i casi c'era un Dio, che fosse Jahve o Jupiter o Zeus o Brahma o altro, che incuteva timore e verso il quale gli uomini si sentivano servi. Gesù, mentre ci rivela l'amore smisurato di Dio, ci rende coscienti del fatto che non siamo servi, ma figli. Per questo possiamo dire che Gesù ha introdotto la nuova, vera, religione, la religione del Figlio. Nella religione del Padre, gli uomini comuni, il "popolo di Dio", come si diceva spesso, sono sottomessi ai capi carismatici, ai grandi sacerdoti che danno le indicazioni per la vita, continuando l'autorità del padre. E questo è stato senz'altro importante nell'evoluzione della coscienza del tempo. Ma con Gesù, nella religione del Figlio introdotta nella pienezza dei tempi, questo non è più valido, è limitativo. Il Cristo ci dice: "E non fatevi chiamare "maestri", perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo." (Mt 23, 10) e anche: "Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi" (Gv 15, 15). C'è un capovolgimento, dice Vannucci, un passaggio dalla coscienza di schiavitù a quella di figli, amici di Cristo, figli di Dio come lui. Nella religione del Figlio c'è un capovolgimento: nell'Antico Testamento è in evidenza l'Onnipotente, quello che ti punisce se non obbedisci; nel Nuovo Testamento emerge l'Onnisciente, colui che ha imparato dal patire. L'Onnipotente si rivela come il Misericordioso, come l'Amore senza limiti, e l'uomo non deve più avere paura. Dobbiamo invece imparare dal Figlio a donare la nostra vita. Ma come si possono afferrare queste cose?
Solo con il silenzio e l'ascolto, lasciando lavorare lo Spirito dentro
di noi, perché ci faccia rinascere. Mi piace un altro paragone che
fa Vannucci, quello dell'indemoniato a cui Gesù chiede "Qual'è
il tuo nome?" e l'indemoniato risponde "Legione", perché erano molti
i demòni dentro al poveretto. È un po' la nostra situazione,
nel senso che noi abbiamo dentro una grande varietà di "io", di
personalità, di forze che ci spingono e tirano di qua e di là.
Un giorno prevale l'io entusiasta, sicuro che da domani la mia vita sarà
molto più vispa e attiva. Il giorno dopo prevale l'io pigro e sfiduciato,
sicuro che le cose non possono che peggiorare. Un momento sento grande
generosità verso il mio prossimo e in un altro momento sospetto
e risentimento. A volte chi mi guida è l'io che fa le cose per gli
altri senza volersi fare notare, e altre volte prende i comandi l'io che
cerca il riconoscimento. Siamo fatti a immagine di Dio, ma questa immagine
è offuscata da quella legione di personalità diverse. Cristo
è l'immagine perfetta di Dio, l'uomo pienamente realizzato. Noi
siamo tutti esseri in cammino per la realizzazione dell'immagine di Dio,
siamo uomini e donne ancora da realizzare, siamo cristiani in continuo
divenire, che cercano di far emergere la vera immagine di Dio da sotto
la legione di io diversi. La consapevolezza di questo è un primo
passo importante per il nostro cammino. La rinascita nello Spirito è
un processo lento, che richiede pazienza, fiducia. Occorre, come dice Gesù
negli ultimi versetti del brano letto, accogliere la luce, lasciarsi illuminare.
Non dobbiamo aver paura di scoprire i nostri lati oscuri, le nostre meschinità,
pigrizie, egoismi, vanità. Solo facendoli venire alla luce e diventandone
consapevoli possiamo pian piano ridurne la forza. Se so di avere un ginocchio
che ogni tanto cede, quando cammino per monti eviterò i passi che
lo mettono in crisi. E se per caso lo sento scrocchiare una volta, non
mi spavento più che tanto, e riprendo il cammino con più
attenzione. La luce fa diradare le oscurità, il sole fa evaporare
le nebbie.
Chissà che risonanza avranno avuto in Nicodemo le parole di Gesù? Lo ritroviamo accanto a Giuseppe d’Arimatea al momento della sepoltura di Gesù, poi non se ne sa più niente. Non pare che sia diventato né discepolo né apostolo. Gesù lo ha lasciato libero di decidere se sperimentare la rinascita a una nuova vita nello Spirito o continuare a cercare la salvezza nell'osservanza puntuale della legge, che mantiene gli uomini in uno spirito di schiavitù. Cristo non forza la nostra libertà. E per me? Sono messo dinanzi ad una verità:
la realizzazione della mia vita non dipende anzitutto dai miei sforzi e
dall'osservanza precisa di regole di comportamento, ma dalla mia docilità
all’ascolto della Parola viva che mi trasforma. Si tratta di fare lo sforzo
per rendersi disponibili all’azione rigenerante dello Spirito di Gesù.
|
Spunti per la revisione personale e la condivisione
|