Domenica 17 ottobre 2021



Incontro di Comunità di inizio anno 2021-2022
presso Centro "Il Mosaico" di Rivarolo


«Le parole - la Parola»


Mi è stato chiesto di ricominciare questo nuovo anno con una riflessione che partisse non da un brano noto di Vangelo o da una lettera di S.Paolo ma dalle parole di papa Francesco e subito ho pensato, sorridendo: “ci siamo proprio ridotti male se questa comunità, che ha fatto della sua laicità una caratteristica irrinunciabile, si ritrova a discutere, a riflettere, sulle parole di un papa”. Però, al di fuori delle battute, papa Francesco è un papa semplice, che sa parlare a tutti e che sa dire cose che si legano alla vita di ogni giorno di persone e famiglie come quelle che sono nella nostra Comunità.

Ho quindi scorso un certo numero di discorsi di papa Francesco, e ho notato che lui spesso usa la “tecnica” di indicare delle parole che forniscono una sintesi di quello che vuole dire. Ad esempio, a parte le parole su cui mi soffermo oggi, trovo importanti quelle che ha sottolineato lo scorso settembre nell'incontro col corpo diplomatico a Bratislava, durante il suo viaggio in Slovacchia e Ungheria, paesi che hanno una visione ben diversa da quella di papa Francesco sul tema dell'accoglienza. Proprio a loro papa Francesco ha parlato di accoglienza, ricordando la loro tradizione di accoglienza nell'offrire il pane e nell'offrire il sale, due elementi che nel Vangelo hanno significati profondi: il pane spezzato, condiviso, e il sale che dà sapore alla vita (“siate voi il sale della Terra”). Oppure quando si è rivolto alle famiglie e ha detto che tre parole non devono mai mancare in una famiglia: “scusa”, “grazie” e “per piacere”. E infine anche il discorso sulla pandemia, nell'enciclica “Fratelli tutti” riguardo al “prendersi cura”, del mondo e degli altri, e alla “fraternità”.

Ora, questa nostra esperienza rivarolese di piccola Comunità ha sempre aspirato a saper leggere i segni dei tempi o, come abbiamo spesso ribadito, ha sempre cercato di “incartare il vangelo nel foglio di un giornale quotidiano” per rimanere attaccata all’esperienza quotidiana della gente e di tutti noi.

Oggi il quotidiano ci parla di cose molto importanti: tra poche ore inizierà ufficialmente, con la Messa di padre Marco [Tasca], la fase diocesana del cammino sinodale che ha come titolo “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”.

Riprendo quindi le parole di Francesco, il quale ha detto che “il Sinodo non è un parlamento, il Sinodo non è un’indagine sulle opinioni”.

Noi non siamo qua per fare un dibattito (ad esempio sulle gerarchie, sui pastori, ecc.), ma siamo qua per condividere, capire, vivere pienamente questa straordinaria esperienza di Chiesa come comunità dei discepoli, siamo qua per ricominciare a “camminare insieme”, per vedere che questo cammino sinodale sia anche un cammino nostro, personale e comunitario. Io quindi proverò oggi a declinare le parole di questo discorso di papa Francesco sulle nostre vite, e ogni volta che il papa usa la parola “Chiesa”, voi dovete provare a metterci anche la parola “Comunità”, in modo da rendere il discorso più vicino alla nostra vita quotidiana. Questo accostamento è importante perché l'esperienza della Chiesa, ce lo dice San Luca, è un'esperienza di comunità.

E ancora le parole di papa Francesco: “il Sinodo è un momento ecclesiale, e il protagonista del Sinodo è lo Spirito Santo. Se non c’è lo Spirito, non ci sarà Sinodo. Nell’unico Popolo di Dio, perciò, camminiamo insieme, per fare l’esperienza di una Chiesa che riceve e vive il dono dell’unità e si apre alla voce dello Spirito”. Quindi la prima idea, insita nella parola “sinodo” (“sin” in greco significa “con” e “odos” significa “strada” o “via”) è “camminiamo insieme”.

Già qui mi viene un pensiero: “camminiamo insieme, sì, ma verso dove?”. Infatti, nel brano di Vangelo della Messa di oggi [Mc 10, 35-45], Gesù sta andando a Gerusalemme e i discepoli camminano con lui, ma mentre Gesù sa di andare a dare la vita, i discepoli vanno pensando ad avere i posti d'onore nel futuro Regno, ad avere il potere di dominare gli altri, cioè la gloria del mondo: non avevano capito niente!. Il posto alla destra e alla sinistra di Gesù viene invece preso da due terroristi, uno dei quali si converte all'ultimo minuto. Era per loro il posto alla destra e alla sinistra del Signore, perché quella è la gloria: dare la vita per amore!

Noi, verso dove vogliamo camminare insieme? Direi che dobbiamo camminare insieme verso essere persone aperte alla voce dello Spirito, perché questo è veramente importante.

E a questo proposito voglio condividere una mia esperienza di questo ultimo anno: un anno fa mi sentivo un quarantenne pronto a spaccare il mondo, e oggi, dopo l'esperienza tremenda del Covid dell'anno scorso, mi sento un sessantenne alla vigilia di andare in pensione. Però lo spirito no, lo spirito è eterno, è giovane, è in movimento, va dove vuole. Il corpo può essere stanco, si può faticare a respirare per un piccolo sforzo, ma lo spirito no: se io sono aperto alla voce dello Spirito sono giovane, sono in movimento, pronto a mettere la mia vita nelle mani del Signore.

Tre parole guida

Il titolo del sinodo è: Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. Per questo sono queste tre le parole che guideranno anche la nostra riflessione di oggi: comunione, partecipazione e missione. Vorrei declinarle per noi qui ed oggi.

Comunione

Innanzitutto “siamo chiamati: all’unità, alla comunione, alla fraternità che nasce dal sentirci abbracciati dall’unico amore di Dio”, dice papa Francesco. Se io mi sento abbracciato dall'amore di Dio, io mi sento in comunione col fratello e la sorella che cammina accanto a me.

Come viviamo la comunione? Certamente la pandemia, in questo anno e mezzo, ci ha allontanato, ha impedito che ci incontrassimo: il “distanziamento sociale”, se ci ha consentito di evitare o ridurre molto il pericolo di ammalarci, ha però colpito duramente i sentimenti di fraternità. Ancora oggi, quando il sacerdote invita a scambiarci uno sguardo di pace, io fatico a limitarmi a sorridere solo con gli occhi alle persone che ho intorno. Come ritornare ad avere momenti di comunione, condivisione, correzione fraterna? Come ho vissuto questi che sono valori fondanti del nostro essere comunità in questo momento così complicato? Forse ci siamo abituati a chiuderci nelle nostre famiglie dimenticando di essere stati chiamati ad essere “famiglia di famiglie”? Io personalmente sento che mi sono un po' lasciato andare, che quasi quasi mi sto abituando a limitare i miei momenti di revisione a Silvia e francamente mi chiedo se sento ancora il bisogno urgente di confrontarmi con fratelli e sorelle come voi per crescere ancora nella fede come sono cresciuto negli ultimi 42 anni. Io devo tutto a questa esperienza particolare, a questa spiritualità particolare, a questa gente particolare che mi ha fatto crescere nella fede. Ne sento ancora il bisogno?

Missione

La seconda parola è “missione”. Papa Francesco dice: la Chiesa ha ricevuto «la missione di annunziare e instaurare in tutte le genti il regno di Cristo e di Dio, e di questo regno costituisce in terra il germe e l’inizio» (Lumen gentium, 5).

Non dimentichiamoci mai che ciò che ci rende Chiesa, comunità dei discepoli, è la missione: la testimonianza sta nel DNA di ogni battezzato ed è la tensione ad annunciare la bella notizia di un Dio che ci ama incondizionatamente ed infinitamente.

Magari noi pensiamo: “Sono vecchio, non ce la faccio più”... ma sentiamo anche noi l'importanza di essere testimoni, di essere quel “sale della Terra” capace di dare sapore alla vita? Non occorre fare grandi cose! Occorre portare una buona parola, un “eu-agghelio”, evangelo, un bel messaggio, ricordare a tutti la bella notizia di un Dio capace di morire per me!

La Chiesa, la Comunità, deve tornare a parlare, a dire questa buona parola agli uomini e le donne che camminano sulle strade di questo mondo. Per noi questo lo si farà nel piccolo, ma dobbiamo tornare ad incarnarci nel mondo, anche solo con qualche piccola parola capace di illuminare le coscienze, facendo attenzione a quello che ci accade intorno, senza imporre nulla, neanche la nostra presenza, ma nella piccolezza, con l'esempio: lasciar risplendere in noi la luce di Cristo e del Vangelo.

Ma domandiamoci anche quale Dio presentiamo, quale tipo di umanità testimoniamo: purtroppo la pandemia, che ci ha chiuso a lungo nelle nostre case, rischia di ridurre il nostro mondo alle quattro mura che ci circondano, dove rischiamo di trovarci bene senza aver bisogno di altro. E contribuire così al fenomeno che mi pare di vedere, la crescita intorno a noi dell’egoismo e dell’esclusione. Forse anche noi rischiamo di cadere nell’egoismo personale, familiare, comunitario, nazionale, di razza, escludendo di volta in volta tutti coloro che non sono “dei nostri”, che la pensano diveramente da noi. C'è questo clima, purtroppo.

Credo che io debba e noi tutti dobbiamo trovare il modo di poter dire questa parola, anche in ambiti diversi, che è accoglienza, solidarietà, amicizia fraterna e così via. Perché Dio non è quello che se ne sta in cielo. Pensiamo al brano stupendo del Vangelo di domenica scorsa: al ricco che gli chiede “cosa devo fare per avere la vita eterna?” Gesù gli ricorda i comandamenti, ma non quelli che riguardano Dio, bensì tutti gli altri: non uccidere, non rubare, non frodare, non dire falsa testimonianza, non commettere adulterio... A Dio non importa niente che noi crediamo in lui, ma gli importa che noi crediamo nell'uomo! E allora la missione è quella, non annunciare a parole il Vangelo, ma testimoniarlo concretamente, in gesti di solidarietà, di amicizia, di accoglienza.

Partecipazione

La terza parola è “partecipazione”. Il papa invita a “partecipare” al Sinodo. Dopo il Concilio, papa Paolo VI aveva istituito il Sinodo dei vescovi per mantenere viva l'esperienza del Concilio, ma papa Francesco ora dice che devono partecipare tutti i battezzati, e magari anche altri. Egli afferma: Comunione e missione rischiano di restare termini un po’ astratti se non si coltiva una prassi ecclesiale che esprima la concretezza della sinodalità in ogni passo del cammino e dell’operare, promuovendo il reale coinvolgimento di tutti e di ciascuno”. È questa l'idea di Chiesa; è questa l'idea di Comunità.

Celebrare un sinodo è veramente proficuo se diventa espressione viva dell’essere Chiesa, di un agire caratterizzato da una partecipazione vera. Dice ancora papa Francesco: “Partecipare tutti: è un impegno ecclesiale irrinunciabile, è un’esigenza della fede battesimale”.

Partecipare nonostante gli acciacchi e l’età, per dire con la nostra vita “ci sono”. Ci sono nel mondo, nella realtà, così come era scritto sulla maglietta ad un campo UPA: “dove sono ci sono”. Partecipare alla comunità per crescere spiritualmente perché ogni momento è quello buono per la mia vera conversione, partecipare per condividere le meraviglie di Dio sulle nostre vite, partecipare per prendere a carico la fede dei fratelli e delle sorelle e per camminare insieme verso il Padre. Superare i momenti in cui non ne abbiamo voglia, in cui siamo stanchi, in cui vorremmo restre chiusi nel nostro piccolo, e invece crederci e partecipare. Siamo qua per riprendere e per dirci “voglio esserci”.

Tre pericoli

Formalismo

Poi il papa sottolinea tre pericoli. Il primo è il “formalismo. Si può ridurre il sinodo ad un evento straordinario, ma di facciata, al contrario, dice papa Francesco, il Sinodo è un percorso di effettivo discernimento spirituale che intraprendiamo per meglio collaborare all’opera di Dio nella storia. E questo lo dice al livello di tutta la Chiesa.

Ma io mi domando: quante volte ci riempiamo la bocca con la parola comunità sottolineando questo particolare stile di vita evangelico ma poi nelle scelte quotidiane viviamo senza coerenza? La Comunità è un mezzo, un'opportunità, ma non la salvezza. Se quello in cui credo non diventa davvero scelta di vita quotidiana, coerente, per quanto riesco, con quanto il Vangelo mi dice, non serve. E così potrebbe essere anche per il Sinodo.

Intellettualismo

Il secondo pericolo è l'intellettualismo, il rischio di far diventare il Sinodo una specie di gruppo di studio, con interventi colti ma astratti sui problemi della Chiesa e sui mali del mondo; una sorta di “parlarci addosso”, dove si procede in modo superficiale e mondano, finendo per ricadere nelle solite sterili classificazioni ideologiche e partitiche e staccandosi dalla realtà del Popolo santo di Dio, dalla vita concreta delle comunità sparse per il mondo.

Anche noi come comunità con la scusa di una età ormai avanzata rischiamo di parlarci addosso e di parlare addosso alla gente ma di staccarci dalla vita, mentre è essenziale nella nostra particolare spiritualità l’incontro concreto con la realtà storica e locale. È lì che ci giochiamo la nostra salvezza, è lì che dobbiamo celebrare le meraviglie di Dio! Non potremo essere una Comunità sinodale se ci allontaniamo dal concreto. Rimaniamo quindi legati a quella spiritualità in cui siamo cresciuti, di essere attaccati al territorio, di essere legati alla gente!

Immobilismo

Il terzo pericolo, dice il papa, è l'immobilismo: siccome «si è sempre fatto così» è meglio non cambiare. Chi si muove in questo orizzonte, anche senza accorgersene, cade nell’errore di non prendere sul serio il tempo che abitiamo.

Attenzione, perché io davvero sento forte, per me e per noi, il pericolo di cadere nella routine, di fare le cose solo perché le abbiamo sempre fatte. Non dobbiamo avere paura della novità, la parola del vangelo deve scuotere le nostre vite quando si assopiscono; che ci si dia il coraggio di sognare l’impossibile, anche che “un cammello passi per la cruna di un ago”, perché tutto è possibile a Dio anche salvare me! Bisogni fidarci dell'amore di Dio, bisogna aprirci alla novità e fidarci!

Penso all'ultimo incontro dei catechisti a Bolzaneto in cui si lamentava che ci sono troppo pochi bambini a Messa. Ma non lo si vedeva anche prima della pandemia che i bimbi non recepivano niente di quello che si diceva a catechismo perché poi a casa i bambini ricevevano altre idee dalla famiglia? Domandiamoci invece se non possiamo cambiare qualcosa, noi catechisti, il prete, la comunità parrocchiale, per rendere la parrocchia un luogo accogliente, la Messa un momento bello, per noi prima di tutto ma anche per i bambini e le famiglie. Chiediamoci se testimoniamo la bellezza del Vangelo!

Tre opportunità

Infine papa Francesco indica tre opportunità da poter cogliere, dicendo: Viviamo dunque questa occasione di incontro, ascolto e riflessione come un tempo di grazia, fratelli e sorelle, un tempo di grazia che, nella gioia del Vangelo, ci permetta di cogliere almeno tre opportunità.

Ecco, appunto, anche noi viviamo la nostra vita, gli anni, i giorni che ci sono dati come un tempo di grazia, perché basta un solo momento per poter dire al Signore: “sì, Signore, ho capito che mi ami e provo ad amarti”. Ogni momento è un momento di grazia!

Chiesa sinodale

La prima è quella di incamminarci non occasionalmente ma strutturalmente verso una Chiesa sinodale, un luogo aperto, dove tutti si sentano a casa e possano partecipare. “Non occasionalmente ma strutturalmente”, cioè sempre e insieme. Questo è il pensiero, il sogno di papa Francesco, che speriamo sia condiviso da molti: quello di una Chiesa sinodale, cioè capace di camminare insieme. Camminare insieme, non ciascuno verso i propri obiettivi personali, ma sostenendoci l’un l’altro per vivere pienamente come figli di Dio.

Anche noi, quindi, proviamo a diventare una Comunità sinodale, capace di camminare insieme, sostenendoci l'un l'altro, per imparare, a 55, 60, 70, 80 anni, a vivere da figli di Dio. È in sostanza il cammino della condivisione, della presa a carico, della correzione fraterna, cose che conosciamo, ma che dobbiamo non abbandonare mai.

Chiesa dell’ascolto

Il Sinodo ci offre poi l’opportunità di diventare Chiesa dell’ascolto: di prenderci una pausa dai nostri ritmi, di arrestare le nostre ansie pastorali per fermarci ad ascoltare. Ascoltare lo Spirito nell’adorazione e nella preghiera.

Anche noi, come Comunità, dobbiamo cercare di essere attenti a quanti ci circondano, accogliere in ogni momento chi ha bisogno di una parola di conforto, al mercato, al lavoro, con i figli e nipoti. Senza dimenticare però di prenderci una pausa per fermarci nell’ascolto della Parola!

Chiesa della vicinanza

Dice ancora papa Francesco: Torniamo sempre allo stile di Dio: lo stile di Dio è vicinanza, compassione e tenerezza. Dio sempre ha operato così. Se noi non arriveremo a questa Chiesa della vicinanza con atteggiamenti di compassione e tenerezza, non saremo la Chiesa del Signore. E questo non solo a parole, ma con la presenza, così che si stabiliscano maggiori legami di amicizia con la società e il mondo. In una riflessione sul brano del Samaritano che si ferma e si prende cura dell'uomo malmenato, Francesco diceva che sta lì la vicinanza: una Chiesa che non si separa dalla vita, ma si fa carico delle fragilità e delle povertà del nostro tempo, curando le ferite e risanando i cuori affranti con il balsamo di Dio. Non dimentichiamo lo stile di Dio che ci deve aiutare: vicinanza, compassione e tenerezza.

La Comunità ha da sempre avuto questo stile, anche se poi magari noi personalmente non siamo stati così: è bene non dimenticare mai, nonostante i nostri limiti, che il nostro cuore batte per la gente, in particolare per coloro che si sentono lontani dalla Chiesa. Una Chiesa (e una Comunità Una) che si accosta ad ogni uomo ferito per curarlo con la parola del vangelo, con la solidarietà fattiva, con la lotta per cambiare le strutture di peccato di questo mondo, innanzitutto in noi e poi nella società, in quelle che vengono chiamate “strutture di peccato”.

La Parola

Ripensando ad un episodio di papa Francesco, quando un gruppo di giovani lo acclamava “Francesco, Francesco” e lui aveva risposto che avrebbero dovuto piuttosto acclamare “Gesù, Gesù”, mi sono detto che non potevo fermarmi oggi alle parole di Francesco vescovo di Roma, ma che era importante riagganciarmi alla Parola.

Il brano di Vangelo di oggi termina con la frase: «il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti». E allora mi domando: come vivere il Vangelo di oggi? Come salvare il mondo? La ricetta è di per sé semplice, ma che poi purtroppo non abbiamo voglia di adottarla. L'ho trovata al capitolo 23 del Vangelo di Luca ed è il brano che leggeremo tra 13 mesi per la Festa di Cristo Re dell'anno C per dire che Gesù è Re.

La Parola: salvare il mondo

Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi sé stesso, se è lui il Cristo di Dio, l'eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell'aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c'era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei». Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L'altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

Notiamo quello che accade: la folla se ne va, i capi dicono “salvi sé stesso”, senza neanche rivolgersi direttamente a lui ma parlando tra di loro, i soldati dicono “salva te stesso” e uno dei malfattori appeso alla croce dice “salva te stesso e anche noi”. Cosa sta al cuore di questa lettura? Il nostro Dio è un Dio che ci ama: quando tutti gli dicono di salvarsi, se può, lui rimane attaccato a quella croce, perché ciò che è importante è salvare il mondo. “Salva te stesso” equivale a “pensa a te stesso”, equivale all'egoismo, e l'egoismo non salva il mondo, ma per salvare il mondo serve l'amore. Gesù stesso afferma: “Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,45).

Questa è la scelta da fare, oggi come ogni giorno, scegliere Dio anziché il mio io, la ricchezza o la comodità, scegliere la strada dell'amore anziché quella dell'egoismo. Sì, credo che il vangelo di oggi sia davvero meraviglioso: siamo salvi perché “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio” (Gv 3,16). Dio ha amato il mondo e ci ha insegnato ad amare. Ed è stupendo che il “buon ladrone”, o “terrorista pentito”, o forse quello che ha capito che Gesù era un innocente, non gli chieda niente se non “ricordati di me”. Cerca un rapporto con Gesù. Se vogliamo salvare il mondo, se vogliamo salvare noi dobbiamo scegliere l'amore e non l'egoismo.